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15/07/2020

Gran Bretagna - Johnson obbedisce a Trump e scarica Huawei

Il mondo globalizzato non esiste più da qualche anno e si va sempre più delineando un quadro conflittuale tra grandi potenze, egemoni su macroaree. Su cui premono per espellere i competitori usando tutti gli strumenti – e sono davvero molti – a loro disposizione.

Ultima prova: la Gran Bretagna ha deciso di escludere completamente Huawei dalle reti infrastrutturali britanniche. Il ministro della Cultura Oliver Dowden, che ne dato l’annuncio parlando in Parlamento, ha ordinato che da fine 2020 gli operatori non potranno più acquistare apparecchiature da Huawei e avranno fino al 2027 per eliminare le apparecchiature dell’azienda dalle reti 4G e 3G, oltre a quelle già installate per il 5G.

Non si tratta dunque del semplice stop al 5G, di cui si discuteva da tempo, ma dello sradicamento della presenza del colosso cinese nella “perfida Albione”.

La decisione arriva ovviamente in seguito alla pressione Usa, che la stanno esercitando anche su tutti gli altri alleati-competitori europei (in primis Germania e Italia). E qui sono stati usati strumenti che non si vedevano all’opera da decenni.

Anche se la “relazione speciale” esistente tra Regno Unito e la ex colonia britannica chiamata Usa non è mai venuta meno, negli ultimi decenni la “globalizzazione” aveva facilitato la sottoscrizione di contratti giganteschi con fornitori e investitori che potevano far valere prezzi bassi, tecnologie di qualità e soldi cash. La Cina, insomma.

Tra il 2013 e il 2015, l’allora premier George Osborne firmò accordi commerciali per più di 30 miliardi di sterline, in particolare in occasione della visita di Xi Jinping a Londra. Erano i tempi in cui Li Ka Shing, boss di Hutchinson Whampoa, investiva 10 miliardi di sterline per l’acquisto della compagnia telefonica O2. E la Repubblica Cinese si impegnava ad acquisire una quota della futura centrale nucleare di Hinkley Point, nel Somerset, per 6 miliardi.

L’interscambio commerciale tra i due paesi era decollato, al punto che per Londra (era il periodo di David Cameron) il rapporto con l’Unione Europea sembrava meno importante, dando avvio al processo di “allentamento dei rapporti” poi sfociato nella Brexit.

Ma il peso della Gran Bretagna, pur elevato, non è certo più quello ante seconda guerra mondiale. E in un progressivo confronto competitivo tra le tre “potenze” (Usa, Cina, Unione Europea) diventa sempre più stretto il margine entro cui si può giocare in proprio. Bisogna decidere, come paese capitalistico, “da che parte stare”. Che è poi la domanda posta, con la consueta “gentilezza” dal ministro degli esteri Usa, ed ex capo della Cia, Mike Pompeo, soltanto un mese fa, al febbricitante Boris Johnson.

Ancora più brutalmente, Donald Trump aveva minacciato di espellere Londra dal sistema “Five Eyes” – cooperazione tra servizi segreti di Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda e Regno Unito – se Huawei avesse continuato a svilupparsi in Gran Bretagna.

Dunque non c’è nessuna ragione economica o tecnologica al fondo della attuale scelta inglese. E infatti solo l’accusa di “spionaggio” fatta nei confronti di Huawei e del governo cinese (accusa unilaterale e senza fornire un solo straccio di prova) dà la dimensione di una scelta politica e geostrategica.

Si vanno costruendo blocchi economico-militari, rompendo quel che resta del “libero commercio mondiale”. La crisi fatta esplodere – non “provocata” – dal Covid-19 sta accelerando questi processi, come vediamo anche nella politica italiana (ogni contrapposizione viene giocata per estromettere dal governo e comunque liquefare i Cinque Stelle, considerati chissà perché “meno affidabili” di tutti gli altri partiti presenti in Parlamento).

A malincuore, scrive stamattina il Global Times – tabloid in lingua inglese considerato organo ufficiale del Partito Comunista Cinese – “È necessario che la Cina contrattacchi alla Gran Bretagna, altrimenti non saremmo troppo facili da bullizzare? La rappresaglia dovrebbe essere pubblica e dolorosa per il Regno Unito”, anche se “non è necessario trasformarla in uno scontro tra Cina e Gran Bretagna”.

È chiarissimo il tentativo di rallentare l’escalation delle ritorsioni, ma è inevitabile che, se un Paese ti prende a schiaffi rompendo i contratti sottoscritti, non puoi far finta di nulla.

“Sul lungo periodo, il Regno Unito non ha ragioni per mettersi contro la Cina, con la questione di Hong Kong che sta svanendo”. Va ricordato che proprio Londra, per incrementare la portata delle proteste nell’enclave diventata centro finanziario mondiale di prima grandezza, aveva modificato il regime dei permessi di soggiorno per i cittadini di Hong Kong, portandoli da sei mesi a 5 anni, con la garanzia della concessione della cittadinanza britannica alla scadenza. Ma l’evoluzione della situazione nella ex colonia non incoraggia certo altre “ritorsioni” occidentali.

Perciò la Cina può segnalare con molta forza la propria incazzatura. Il bando su Huawei “non riguarda un’azienda o un’industria, ma è una questione che è stata altamente politicizzata”, ha scandito la portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Hua Chunying. La questione “minaccia la sicurezza degli investimenti cinesi nel Regno Unito e crea un problema che riguarda la nostra fiducia nel mercato britannico”.

Per la Gran Bretagna i problemi cominciano ora, ancora prima della “dolorosa rappresaglia” cinese. La disinstallazione delle apparecchiature Huawei – considerate dai tecnici le più efficienti e meno costose – non sarà un pranzo di gala.

A gennaio Londra aveva dato a Huawei un accesso limitato alle reti mobili di quinta generazione permettendo agli operatori di ridurre la quota del kit Huawei nelle parti non core della loro infrastruttura al 35% entro il 2023.

La marcia indietro costa, non soltanto in termini di spesa, ma di ritardo tecnologico. British Telecom e Vodafone UK, per esempio, stimano che per rimpiazzare le apparecchiature Huawei nelle loro reti mobili ci vorranno tra i 5 e i 7 anni.

A sostituirle si candida la svedese Ericsson, ma tutti sanno che non è la stessa cosa.

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