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15/07/2020

L’immondo pasticcio su Autostrade, per evitare la revoca

I compromessi possono essere a volte necessari, e comunque si dividono sempre i buoni, pessimi e innumerevoli vie di mezzo.

Quello trovato dal governo su e con Atlanti per il futuro di Autostrade per l’Italia – Aspi, la società privata concessionaria di gran parte della rete autostradale di proprietà pubblica – è un pasticcio immondo escogitato per salvare capra e cavoli: ossia la faccia della maggioranza di governo e i soldi dei Benetton.

Stando a quel che ha reso noto lo stesso governo, dopo una seduta fiume finita alla 5 di mattina, la concessione non viene revocata e resta ad Aspi. “In compenso” la quota azionaria in mano ai Benetton dovrà rapidamente scendere dall’88% attuale al 10% (che non dà diritto a un posto nel cda), al cui posto subentrerà prendendo il 51% Cassa Depositi e Prestiti, una società per azioni, controllata per circa l’83% da parte Ministero dell’economia e delle finanze e per circa il 16% da diverse fondazioni bancarie.

Sembra una semi-nazionalizzazione, ma non lo è affatto.

Il piano messo a punto dal ministro piddino Gualtieri prevede infatti la quotazione in Borsa della nuova Aspi senza più i Benetton (sganciata dalla holding Atlantia), sotto forma di public company ad azionariato diffuso esposta – come tutte le società per azioni di questo tipo – a scalate messe in atto da qualsiasi investitore finanziario (anche dagli stessi Benetton, ovviamente sotto altra “ragione sociale”).

L’operazione dovrebbe concludersi nell’arco di un anno, con una serie di corollari da realizzare nel frattempo. Autostrade per esempio dovrà intanto tagliare le tariffe più di quanto fino ad ora proposto (il 5%) e accettare di ridurre ulteriormente l’indennizzo previsto in caso di revoca delle concessioni.

Più generica e indeterminata, invece, la possibilità di rivedere prima o poi le clausole riguardanti le ipotesi di revoca per inadempimenti gravi.

Suona quindi come una battuta inoffensiva la “minaccia” del governo, secondo cui se Aspi non ottempererà a queste condizioni – concordate con la società – scatterà la revoca della concessione. Anche perché, da qui a qualche mese, chissà quale governo ci sarà e come la penserà in materia di concessioni pubbliche.

Il pessimo compromesso, dunque, salva la faccia solo a chiacchiere ai partiti della maggioranza. Qui lo scontro tra Pd e renziani da un lato e grillini dall’altro è stato sicuramente acceso, con i primi impegnati a difendere gli interessi dei Benetton e i secondi a cercare di portare a casa qualcosa che somigliasse a una “punizione” per la famiglia del “golfino”, al solo scopo di non perdere un altro pezzo rilevante della propria credibilità.

A rimetterci pochissimo sono proprio i Benetton, primi responsabili della strategia “industriale” basata su risparmio nella manutenzione, aumento continuo dei pedaggi e massimizzazione dei profitti che ha prodotto il crollo di Ponte Morandi e un’infinità di problemi su tutta la rete autostradale.

Le loro azioni verranno comprate da Cdp, probabilmente al valore di mercato al momento del passaggio di proprietà. E dunque senza quella svalutazione drastica che sarebbe derivata da una scelta più radicale da parte del governo.

Soprattutto, questo imbroglio consente di mantenere inalterata la “privatizzazione” della gestione di infrastrutture pubbliche, costruite con fondi statali e affidate a privati rapaci perché ne ricavino un ingiusto profitto.

Una revoca sarebbe suonata come una vera nazionalizzazione, come una minaccia agli altri gestori di concessioni pubbliche (da Gavio a Toto, ecc) e in definitiva in una radicale correzione di rotta rispetto alle politiche neoliberiste degli ultimi 30 anni, unitariamente perseguite da centrosinistra e centrodestra.

In definitiva, si tratta di un altro insulto alle 43 vittime della strage di Ponte Morandi, ai loro familiari, alle famiglie che hanno perso la casa a causa di crollo-demolizione-ricostruzione.

Il che dà effettivamente la misura delle “qualità morali” di questo governo e dei partiti che lo compongono, così come della cosiddetta “opposizione” di centrodestra (che voleva, senza nasconderlo neanche troppo, il mantenimento dello statu quo in mano ai Benetton, munifici finanziatori di tutti i partiti presenti in Parlamento).

P.s. L’argomento tirato fuori dai giornali padronali, per cui non si poteva revocare la concessione perché questo avrebbe comportato la perdita del posto di lavoro per migliaia di dipendenti di Aspi è semplicemente falso. Un falso per cui si sono spesi i migliori ideologi degli interessi privati – pensiamo per esempio a Ferruccio De Bortoli, venerato opinionista di via Solferino e dei “salotti buonissimi” – contando sull’ignoranza diffusa e il silenzio complice dei sindacati concertativi (CgilCislUil).

Persino nei passaggi di proprietà tra società private, infatti, è previsto il mantenimento dei posti di lavoro e dei contratti in essere (“clausola sociale”). Impegni che naturalmente quasi tutte le neo-aziende poi disattendono, ma che comunque sono obbligatori per legge.

Il concetto semplice da capire è infatti: se anche la concessione viene revocata, non è che tutto il lavoro intorno alle autostrade (caselli, incasso pedaggi, manutenzione ordinaria, gestione delle emergenze di traffico, funzioni amministrative, ecc) improvvisamente si ferma.

I dipendenti, nel passaggio societario, restano al loro posto e con i loro stipendi. Specie se a subentrare è lo Stato, anziché uno squalo privato.

E infatti, in tutto il pasticciare notturno, dei dipendenti non si è preoccupato nessuno. Dovranno preoccuparsi loro, come sempre, quando alla fine della temporanea presa di controllo pubblica, torneranno sotto il comando di uno squalo più furbo.

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