Il pezzo firmato da Fabrizio Casari coglie in maniera cristallina la speculazione che i governi occidentali stanno tentando di porre in essere sul corpo dilaniato del Libano (e coglie con altrettanta precisione il ruolo che da lustri Hezbollah svolge nella regione).
Tuttavia, il problema – grosso – dell'analisi di Casari e di tanta controinformazione che si è ritagliata il proprio spazio in rete è l'analisi dei fatti che, quando si tratta di Medio Oriente, spesso assume le tinte del brand di Tom Clancy finendo per andare a parare sul complottismo.
Ci riferiamo ai passaggi in cui Casari avvalla l’ipotesi di un coinvolgimento diretto israeliano nel disastro avvenuto a Beirut, che certamente è plausibile dato lo storico delle azioni dello Stato Ebraico nella regione e non solo; tuttavia questo è l'unico fatto verificabile di quanto esposto nell'articolo di Altrenotize.
Il resto dei dati ha riscontri piuttosto deboli.
Procedendo con ordine:
– il paragone dell'energia sprigionata dalla detonazione con un terremoto di magnitudo 4,4 Richter trova pochi riscontri, decisamente più citato sulle testate internazionali è il dato di 3,3 Richter.
– Il riferimento a un ordigno atomico a basso potenziale, in gergo definito "tattico", sconta l’improbabilità di occultare una detonazione nucleare stanti gli attuali sistemi di controllo delle radiazioni, di cui praticamente tutte le “potenze” medio-grandi sono dotate e che nella zona hanno occhi sempre aperti, visti i tentativi costanti di denunciare l’esistenza/uso di armi di distruzione di massa da parte dei regimi invisi agli interessi imperialisti.
Questo senza contare il fatto che un’area soggetta a fallout nucleare risulterebbe del tutto interdetta all’accesso umano per qualche tempo anche nel caso di ordigni a basso potenziale, a Beirut invece i soccorsi si sono mobilitati tempestivamente compresi quelli portati da gente comune, dunque priva di qualsiasi, seppur blanda, protezione contro le radiazioni.
– A sostegno del ruolo attivo di Israele, Casari, basandosi sul riscontro reale delle due esplosioni, fa proprio il parere di tale Hussein Karim, secondo cui le forze armate israeliane avrebbero eseguito l’attacco mediante l’impiego di due missili, identificati nei modelli “Gabriel” e “Delilah”. In entrambi i casi, si tratta di missili di corta/media crociera, con portata che non supera i 400km.
Il “Gabriel” è una famiglia di missili sviluppata a partire da fine anni ‘60 per l’impiego antinave. Israele attualmente ha in servizio la versione 5, l’ultima. Nel merito della testata esplosiva non si trovano riferimenti precisi, ma basandosi sui dati della versione precedente è probabile che si tratti di 200/250kg di alto esplosivo.
Il “Delilah” è invece un missile aviolanciato progettato per colpire bersagli fissi e in movimento a terra e sull’acqua. Ha una portata di 250km e una testata di 30kg di alto esplosivo.
Le caratteristiche di entrambi difficilmente li mettano nelle condizioni di provocare la distruzione che si è abbattuta sul porto di Beirut, in particolare incenerire letteralmente parte della banchina portuale e polverizzare ¾ del magazzino localizzato sulla medesima (le foto si trovano facilmente in rete) in cui era stoccato il famigerato nitrato d'ammonio.
Altro dettaglio tecnico dei due missili che complica il quadro ipotizzato da Casari è quello della rispettive velocità, che si attestano nell’ordine dei 700/800 km/h di picco che ne rende difficoltosa l'osservazione a occhio nudo, ma molto meno la ripresa da parte di videocamere, che nella zona abbondavano come testimonia il mare di video apparsi quasi in tempo reale in rete che immortalano il disastro da più angolazioni.
– Ultimi ma non per importanza i dati tattici e strategici.
Una simile operazione da parte israeliana avrebbe provocato movimenti dell’aviazione/marina che non sarebbero passati inosservati, soprattutto ai russi che a far data dall’intervento in Siria detengono, se non il controllo totale, comunque uno spettro chiaro dei movimenti delle forze armate israeliane, in particolare per quel che concerne l’aviazione.
Strategicamente non si capisce cosa guadagnerebbe da una simile azione la classe dirigente israeliana. Anche considerando seriamente l’ipotesi che Netanyahu abbia scelto di sposare l’azione da “cane pazzo” per divincolarsi dal pantano in cui si è ficcato a seguito delle indagini per corruzione e della costante escalation di violenze verso i palestinesi, è improbabile che un’azione militare così azzardata avrebbe passato il vaglio dello stato maggiore israeliano, non solo per la palese gratuità vero i civili libanesi, ma per i rischi di essere rapidamente smascherata, ponendo lo Strato Ebraico nella condizione di subire pesanti ritorsioni non circoscrivibili come in passato.
Questo perchè gli ultimi 15 anni hanno quasi completamente eroso il predominio militare israeliano in Medio Oriente. Nel 2006 è caduta l’imbattibilità dell’esercito a terra con la sconfitta in Libano portata da Hezbollah, dal 2015 è venuta meno anche la superiorità nei cieli con le innumerevoli intercettazioni russe nello spazio aereo siriano e l’abbattimento di un paio di F-16 ad opera diretta della contraerea di Assad.
Insomma, Israele minaccia la guerra ogni 3x2 ma non la vuole – tranne giusto contro i palestinesi di Gaza – perchè sa di non avere più i mezzi per vincerla senza incassare ingenti perdite e danni materiali.
A fronte di tutte queste considerazioni e di altri casi simili verificatisi in giro per il mondo, per ora l’ipotesi più verosimile è, dunque, quella del tragico “incidente”, con tutto il corollario di responsabilità istituzionali a carico della classe dirigente locale di cui siamo abituati anche a casa nostra per altro.
*****
Le tremende esplosioni che hanno squarciato il porto di Beirut appaiono, man mano che i giorni passano e le parole s’intrecciano, sempre meno fatalità e sempre più volontà precisa di qualcuno. A confermare questa lettura ci sono interessi evidenti e specifiche tecniche difficili da confutare. Il racconto della fabbrica di fuochi d’artificio non ha retto; nessuno dotato di un minimo si logica e di senno installa una fabbrica di fuochi pirotecnici in un’area ad alto traffico di persone e merci. Allora,vista la scarsa credibilità di questa pista, in soccorso del depistaggio internazionale è arrivata la storia della nave ormeggiata in porto (ovviamente russa, ma solo perché non vi sono navi cinesi che operano in zona).
Ciò che si è voluto spacciare come versione più credibile è l’ipotesi che si sia trattato di una violentissima esplosione di nitrato, ma i dati tecnici a supporto non sembrano confermare. Perché una esplosione di nitrato produce fumo nero e non bianco e rosso come si vede nei filmati. Inoltre, indipendentemente dalla quantità di nitrato, in nessun modo una sua esplosione può sviluppare la forma “a fungo” che si è vista nei video, tipica invece di una esplosione atomica, anche a bassissimo potenziale. Da ultimo, per un cortocircuito, per il fuoco o per alta temperatura il nitrato non esplode: serve un detonatore con innesco. E comunque, per quanto forte sia l’esplosione del nitrato, essa non determinerà mai un terremoto di 4,5 gradi della scala Richter, come quello registrato a seguito delle esplosioni.
Le esplosioni, va ricordato, sono state due e non simultanee. La probabilità che acquista forza di ora in ora è che si sia trattato di due missili, il secondo dei quali lanciato dopo l’arrivo dei soccorritori. Secondo Hussein Karim, esperto di esplosivi, il primo sembra un missile antinave del tipo Gabriel, il secondo del tipo Dalila. Dunque si sarebbe trattato di un attentato israeliano.
Se questa pista sarà confermata dalle indagini dell'esercito libanese, ci sarebbe da indignarsi. Ma non da stupirsi: non sarebbe infatti la prima volta che Israele colpisce in modo vigliacco e sanguinoso i paesi circostanti e lo stesso Iran. Non c’è paese arabo, sciita o sunnita, che abbia avuto il privilegio di essere risparmiato dalle aggressioni israeliane. E meno che mai ci si potrebbe stupire ora, dopo che Netanyahu ha in qualche modo rivendicato l’attacco e quando Tel Aviv gode del massimo sostegno politico e militare statunitense dalla sua nascita che la mette al riparo da ogni tipi di reazione militare e politica.
Ma quali che siano le ipotetiche, specifiche responsabilità israeliane, risultano evidenti i progetti di destabilizzazione del Libano che Stati Uniti, Francia e Israele propugnano con forza. L’obiettivo della nuova campagna di destabilizzazione in Libano è Hezbollah, il “partito di Dio”, l’organizzazione politico-religiosa sciita che ha come guida Nasrallah. Appare probabilmente un dettaglio il fatto che tra sciiti e drusi il 42% della popolazione libanese si senta rappresentato proprio dal “Partito di Dio”.
Hezbollah deve la sua popolarità in Libano sia al sostegno attivo alla popolazione che alla sua capacità di difendere l’indipendenza e la sovranità territoriale del paese dei cedri grazie ad un dispositivo militare di primissimo ordine. Ben lo sa Israele, che venne già severamente castigata nel 2006, quando invase il Libano e venne costretta alla ritirata proprio da Hezbollah, che inferse un duro colpo all’immagine di presunta invincibilità di Thasal. Del resto, quando una guerriglia affronta un esercito, se non viene distrutta ha vinto: mentre quando un esercito affronta una guerriglia, se non la distrugge ha perso. Hezbollah non solo non venne sconfitto, meno che mai disarmato, anzi aumentò notevolmente le sue capacità militari a spese dell'esercito israeliano e della popolazione dell'Alta Galilea.
Quattordici anni dopo la situazione non è cambiata: Hezbollah, in stretta alleanza con Assad, con la Russia e con l’Iran, ha svolto un ruolo importantissimo nella difesa della Siria dal terrorismo di Isis, Al Nusra ed Esercito libero siriano, tutti impegnati con ruoli diversi nel cancellare il legittimo governo siriano e consegnare ad Israele ben più che le alture del Golan. Nemmeno mezzo milione di morti ed un paese distrutto sono stati sufficienti a sconfiggere la Siria e, dopo quella del 2006 in Libano, Israele somma un’altra sconfitta nel suo progetto di occupazione di ogni lembo di terra mediorientale.
Insomma Hezbollah è oggi, agli occhi delle masse arabe, il simbolo della resistenza araba contro Israele, una nuova pagina della dottrina militare mediorientale che ha nella guerriglia organizzata e nell'insediamento popolare una forza prima sconosciuta. Che non vede più Tsahal, l'esercito israeliano, come dominatore incontrastato della regione, monito e minaccia per ogni rivendicazione politico-militare araba, deterrente internazionale contro la messa in discussione degli equilibri geopolitici di tutto il Medio Oriente e del Golfo Persico. Il Partito di Dio riscuote oggi di un credito politico e d'immagine presso tutto il mondo arabo che potrebbe dar luogo ad emulazioni in diverse realtà, quella palestinese innanzi tutto.
Le strumentalizzazioni della cosiddetta “crisi politica libanese”, che altro non è se non l’impossibilità da parte del falangismo cristiano maronita (alleato di Israele) di eliminare la componente sciita dall’arena politica, sono una parte fondamentale nelle operazioni di depistaggio mediatico. Il tentativo dell’Occidente è quello di provocare una nuova “primavera araba” che, come già in passato, viene organizzata da anni di preparativi e di infiltrazioni, di finanziamenti e direzione politica straniera. Sentiremo parlare di “rivolte spontanee”, di “lotta alla corruzione” di rivolta contro la componente religiosa sciita, di rifiuto del controllo iraniano del Libano tramite Hezbollah. Sembrano tesi verosimili ma non c'è nulla di vero. Sono le coordinate informative dell’ennesimo colpo di stato travestito da rivolta popolare già andato in onda in Egitto, Tunisia, Giordania, Iran.
Non a caso il Presidente francese, Macron, si è recato con straordinario tempismo a Beirut, volando come un falco sulle macerie a sostenere la famiglia Hariri, che come la Francia é legatissima all’Araba Saudita e ai suoi petrodollari. Non è un caso che Beirut abbia affidato l’esplorazione offshore di gas e petrolio a un consorzio capeggiato dalla francese Total con l’Eni e la russa Novatek. Il piano di salvataggio del Libano, prima della deflagrazione al porto, era stimato 10-15 miliardi di dollari, oggi è molto di più. Un fiume di denaro che l’Occidente non vuole vada ad Hezbollah: ecco perché è piombato su Beirut.
Macron ha condizionato gli aiuti internazionali alla resa incondizionata all’Occidente della sovranità libanese, rassicurando però i libanesi sulle loro sorti e sui loro soldi qualora decidessero di restituire alla Francia il dominio coloniale come lo ebbe dal 1923 al 1943. Che prova a mettere insieme Grecia ed Egitto ma si prende il NO deciso da Ankara, che umilia Parigi anche in Libia. La sponsorizzazione del consorzio composto da Grecia, Egitto, Cipro e Israele, prevede la realizzazione del gasdotto EastMed per costituire un blocco di interessi del fronte anti-Ankara ha nel Libano un altro decisivo pezzo del puzzle del sistema “alla francese”. Divertente che Macron, un omino incapace di piegare i gilet gialli, pensi di sconfiggere Hezbollah e Turchia. La grandeur dell’Eliseo ha preso un colpo di calore.
Ciò che si è voluto spacciare come versione più credibile è l’ipotesi che si sia trattato di una violentissima esplosione di nitrato, ma i dati tecnici a supporto non sembrano confermare. Perché una esplosione di nitrato produce fumo nero e non bianco e rosso come si vede nei filmati. Inoltre, indipendentemente dalla quantità di nitrato, in nessun modo una sua esplosione può sviluppare la forma “a fungo” che si è vista nei video, tipica invece di una esplosione atomica, anche a bassissimo potenziale. Da ultimo, per un cortocircuito, per il fuoco o per alta temperatura il nitrato non esplode: serve un detonatore con innesco. E comunque, per quanto forte sia l’esplosione del nitrato, essa non determinerà mai un terremoto di 4,5 gradi della scala Richter, come quello registrato a seguito delle esplosioni.
Le esplosioni, va ricordato, sono state due e non simultanee. La probabilità che acquista forza di ora in ora è che si sia trattato di due missili, il secondo dei quali lanciato dopo l’arrivo dei soccorritori. Secondo Hussein Karim, esperto di esplosivi, il primo sembra un missile antinave del tipo Gabriel, il secondo del tipo Dalila. Dunque si sarebbe trattato di un attentato israeliano.
Se questa pista sarà confermata dalle indagini dell'esercito libanese, ci sarebbe da indignarsi. Ma non da stupirsi: non sarebbe infatti la prima volta che Israele colpisce in modo vigliacco e sanguinoso i paesi circostanti e lo stesso Iran. Non c’è paese arabo, sciita o sunnita, che abbia avuto il privilegio di essere risparmiato dalle aggressioni israeliane. E meno che mai ci si potrebbe stupire ora, dopo che Netanyahu ha in qualche modo rivendicato l’attacco e quando Tel Aviv gode del massimo sostegno politico e militare statunitense dalla sua nascita che la mette al riparo da ogni tipi di reazione militare e politica.
Ma quali che siano le ipotetiche, specifiche responsabilità israeliane, risultano evidenti i progetti di destabilizzazione del Libano che Stati Uniti, Francia e Israele propugnano con forza. L’obiettivo della nuova campagna di destabilizzazione in Libano è Hezbollah, il “partito di Dio”, l’organizzazione politico-religiosa sciita che ha come guida Nasrallah. Appare probabilmente un dettaglio il fatto che tra sciiti e drusi il 42% della popolazione libanese si senta rappresentato proprio dal “Partito di Dio”.
Hezbollah deve la sua popolarità in Libano sia al sostegno attivo alla popolazione che alla sua capacità di difendere l’indipendenza e la sovranità territoriale del paese dei cedri grazie ad un dispositivo militare di primissimo ordine. Ben lo sa Israele, che venne già severamente castigata nel 2006, quando invase il Libano e venne costretta alla ritirata proprio da Hezbollah, che inferse un duro colpo all’immagine di presunta invincibilità di Thasal. Del resto, quando una guerriglia affronta un esercito, se non viene distrutta ha vinto: mentre quando un esercito affronta una guerriglia, se non la distrugge ha perso. Hezbollah non solo non venne sconfitto, meno che mai disarmato, anzi aumentò notevolmente le sue capacità militari a spese dell'esercito israeliano e della popolazione dell'Alta Galilea.
Quattordici anni dopo la situazione non è cambiata: Hezbollah, in stretta alleanza con Assad, con la Russia e con l’Iran, ha svolto un ruolo importantissimo nella difesa della Siria dal terrorismo di Isis, Al Nusra ed Esercito libero siriano, tutti impegnati con ruoli diversi nel cancellare il legittimo governo siriano e consegnare ad Israele ben più che le alture del Golan. Nemmeno mezzo milione di morti ed un paese distrutto sono stati sufficienti a sconfiggere la Siria e, dopo quella del 2006 in Libano, Israele somma un’altra sconfitta nel suo progetto di occupazione di ogni lembo di terra mediorientale.
Insomma Hezbollah è oggi, agli occhi delle masse arabe, il simbolo della resistenza araba contro Israele, una nuova pagina della dottrina militare mediorientale che ha nella guerriglia organizzata e nell'insediamento popolare una forza prima sconosciuta. Che non vede più Tsahal, l'esercito israeliano, come dominatore incontrastato della regione, monito e minaccia per ogni rivendicazione politico-militare araba, deterrente internazionale contro la messa in discussione degli equilibri geopolitici di tutto il Medio Oriente e del Golfo Persico. Il Partito di Dio riscuote oggi di un credito politico e d'immagine presso tutto il mondo arabo che potrebbe dar luogo ad emulazioni in diverse realtà, quella palestinese innanzi tutto.
Le strumentalizzazioni della cosiddetta “crisi politica libanese”, che altro non è se non l’impossibilità da parte del falangismo cristiano maronita (alleato di Israele) di eliminare la componente sciita dall’arena politica, sono una parte fondamentale nelle operazioni di depistaggio mediatico. Il tentativo dell’Occidente è quello di provocare una nuova “primavera araba” che, come già in passato, viene organizzata da anni di preparativi e di infiltrazioni, di finanziamenti e direzione politica straniera. Sentiremo parlare di “rivolte spontanee”, di “lotta alla corruzione” di rivolta contro la componente religiosa sciita, di rifiuto del controllo iraniano del Libano tramite Hezbollah. Sembrano tesi verosimili ma non c'è nulla di vero. Sono le coordinate informative dell’ennesimo colpo di stato travestito da rivolta popolare già andato in onda in Egitto, Tunisia, Giordania, Iran.
Non a caso il Presidente francese, Macron, si è recato con straordinario tempismo a Beirut, volando come un falco sulle macerie a sostenere la famiglia Hariri, che come la Francia é legatissima all’Araba Saudita e ai suoi petrodollari. Non è un caso che Beirut abbia affidato l’esplorazione offshore di gas e petrolio a un consorzio capeggiato dalla francese Total con l’Eni e la russa Novatek. Il piano di salvataggio del Libano, prima della deflagrazione al porto, era stimato 10-15 miliardi di dollari, oggi è molto di più. Un fiume di denaro che l’Occidente non vuole vada ad Hezbollah: ecco perché è piombato su Beirut.
Macron ha condizionato gli aiuti internazionali alla resa incondizionata all’Occidente della sovranità libanese, rassicurando però i libanesi sulle loro sorti e sui loro soldi qualora decidessero di restituire alla Francia il dominio coloniale come lo ebbe dal 1923 al 1943. Che prova a mettere insieme Grecia ed Egitto ma si prende il NO deciso da Ankara, che umilia Parigi anche in Libia. La sponsorizzazione del consorzio composto da Grecia, Egitto, Cipro e Israele, prevede la realizzazione del gasdotto EastMed per costituire un blocco di interessi del fronte anti-Ankara ha nel Libano un altro decisivo pezzo del puzzle del sistema “alla francese”. Divertente che Macron, un omino incapace di piegare i gilet gialli, pensi di sconfiggere Hezbollah e Turchia. La grandeur dell’Eliseo ha preso un colpo di calore.
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