L’eurodeputato ed ex vicepresidente della Regione Lazio, Massimiliano Smeriglio, in una intervista a Il Tempo, quotidiano storico della destra romana, è tornato ad evocare un “Patto per Roma” in vista delle elezioni comunali del prossimo anno.
Un patto con la destra e il M5S, che dovrebbe riguardare “risorse, governance dell’area metropolitana, autonomia dei Municipi e poteri legislativi”.
Per capire di cosa stiamo parlando e della inquietante ipoteca che evoca sul destino della Capitale, è necessario, soprattutto per i non romani, dare qualche informazione in più.
La storia politica di Massimiliano Smeriglio inizia nella “Pantera”, cresce nei centri sociali, passa per Rifondazione Comunista, poi Sel/Sinistra italiana, vicepresidente della Regione Lazio con Zingaretti ed ora eurodeputato indipendente eletto con il PD al parlamento di Strasburgo.
Nel tempo è stato parlamentare (con Prc e Sel), presidente di municipio, assessore della Provincia, vicepresidente e assessore alla Regione, ideatore di progetti e organismi per “l’incontro di domanda e offerta nel mercato del lavoro” come Porta Futuro, Torno Subito, Fondo Futuro. Un deus ex machina di molti passaggi e svolte nella politica della “sinistra” a Roma.
La metafora del “Patto dell’amatriciana” che evochiamo nel valutare la proposta di Smeriglio sulle prossime comunali a Roma, ha anch’esso una storia politica della città.
Sono noti infatti il “Patto della Coda alla Vaccinara”, stipulato nel 2008 dall’assessore regionale Di Carlo (ambientalista nel centro-sinistra, recentemente deceduto) con l’affarista Cerroni sulla gestione dei rifiuti a Roma (una gallina dalle uova d’oro).
Venne poi il “Patto della Carbonara” siglato nel 2012 tra la destra di Alemanno, in quel momento al governo della città, e il PD romano, per una gestione non conflittuale di alcuni passaggi istituzionali ma che ebbe ricadute anche su alcuni settori economici, a cominciare dal cambio di gestione della “Città dell’altra economia” fino all’affarismo trasversale emerso nell’inchiesta su Mafia Capitale.
Veniamo così a quello che si profila come un nuovo patto trasversale per la gestione delle risorse di Roma Capitale. Conseguentemente alla storia politico/gastronomica romana, lo abbiamo definito come “Patto dell’Amatriciana”, che ancora non si è consumato ma solo evocato.
Il senso del patto veniva indicato da Massimiliano Smeriglio già a maggio del 2017, sempre sulle pagine de Il Tempo, in previsione delle elezioni regionali dell’anno successivo. Smeriglio scriveva che “chiunque si candiderà alla premiership del Paese e alla presidenza della Regione Lazio sottoscriva un ‘Patto’ per rimettere al centro la ‘questione romana’. Chiunque avrà nei prossimi anni ruoli di governo apicale dovrà assumere impegni precisi sul destino della città”.
Adesso il nostro torna a rinverdire quell’ipotesi, nuovamente attraverso le pagine de “Il Tempo”, riportato sulla sua pagina facebook affinché il messaggio arrivi chiaro e forte agli interlocutori del patto per Roma, ovvero la famelica “destra de panza e de governo” della Capitale.
“Esistono tre-quattro temi su cui non si capisce perché non si possa stipulare un patto tra le diverse coalizioni. Dovremmo dire e mettere per iscritto che su alcune cose si lavora insieme per il bene di Roma. Su queste cose chi perde sostiene convintamente il vincitore”, sostiene Smeriglio nell’intervista.
Ma questa ricostruzione ci serve solo per contestualizzare il segno di questa proposta, a nostro avviso irricevibile, che richiede una replica immediata e la concretizzazione di una alternativa politica, visibile e credibile, da parte dei movimenti sociali e delle forze popolari della sinistra romana.
Come è noto, in molti ambiti in questi mesi c’è stato un silenzioso ma frenetico lavorìo per capire ed eventualmente intercettare il fiume di finanziamenti europei che dovrebbero arrivare nei prossimi mesi.
Governo, regioni e amministrazioni delle città metropolitane dovranno concordare come spartirli, su quali progetti investire e come cogestirli con il variegato e vorace mondo delle imprese private.
Roma Capitale non può che essere uno degli snodi di questo flusso di finanziamenti e investimenti e, ad occhio, potrebbe essercene per tutti. Quindi perché farsi la guerra? Meglio una concertazione preventiva – un patto, appunto – che consenta a vinti e vincitori delle elezioni comunali di portare comunque qualcosa a casa e dare riscontro della propria “utilità politica” ai propri interessi sociali di riferimento.
Una prima mappatura degli interessi sociali da concertare nel Patto dell’Amatriciana porta a dire che le imprese guardano alla destra e alla Meloni, i piccoli imprenditori nei servizi guardano al M5S, l’accresciuto terzo settore delle imprese no profit, delle cooperative e dell’associazionismo, ecc. guarda al PD e alle sue strutture collaterali.
Quindi infrastrutture, servizi alle imprese e welfare privatizzato si configurano come i segmenti ai quali dare priorità negli investimenti su Roma Capitale.
Se il Patto dell’Amatriciana evocato da Smeriglio riuscisse ad assicurare ad ognuno di questi settori una parte dei finanziamenti europei in arrivo, agirebbe anche sul piano locale quella stessa logica che sta puntando a sostituire Conte con Draghi in nome di una “unità di scopo”, per gestire i soldi in arrivo senza troppi conflitti.
Da questa prima ed ancora approssimativa – ma non improbabile – radiografia, appare evidente come dal Patto su Roma evocato, resteranno ancora una volta esclusi lavoratori, servizi pubblici e da ripubblicizzare, periferie, settori popolari e ceti impoveriti prima dall’austerity e poi dall’emergenza Covid.
Ad essi pare destinato solo l’eventuale “effetto sgocciolamento”: diamo i soldi in alto e qualcosa, prima o poi, arriverà anche in basso. Una concezione pienamente liberista, e devastante, alla luce delle conseguenze sociali che ha prodotto.
Roma va riscattata socialmente e culturalmente in alternativa a un modello imprenditoriale vorace e di visione corta, che agisce in alto ma anche in basso, ormai e troppo spesso anche in alcuni settori della “compagneria”.
È anche per questa ragione, e magari per mandare di traverso l’Amatriciana al patto tra imprese private e imprenditori “sociali” del no profit e delle cooperative sociali, riteniamo che la sfida sulle elezioni comunali di Roma, ma anche in altre aree metropolitane come Milano, Torino, Napoli, Bologna, non potrà che puntare sulla rottura e l’alternativa verso questa nefasta eredità sul piano economico, sociale ed ideologico.
Potere al Popolo è nato e sta crescendo anche per dare concretezza a questa aspettativa.
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