di Michele Giorgio – Il Manifesto
«Il silenzio di fronte a questi atti di violenza porterà ad un ulteriore disprezzo delle leggi e del diritto internazionali e minaccerà ulteriormente la pace globale». L’Iran non si accontenta della linea tiepida dall’Unione Europea verso l’assassinio, la scorsa settimana, del suo più importante scienziato nucleare, Mohsen Fakhrizade.
Attraverso l’ambasciata a Roma si è rivolto all’Italia che sembra nascondersi dietro i comunicati di Bruxelles per evitare frizioni con Israele accusato da Tehran di aver realizzato l’attentato. L’Iran auspica che i politici e i mass media italiani esprimano «una viva condanna» dell’uccisione dello scienziato ritenuto da Tel Aviv responsabile del programma atomico iraniano e di piani per assemblare ordigni nucleari.
Tra le righe il comunicato dell’ambasciata iraniana sembra voler ricordare al governo Conte i passati rapporti tra i due paesi. E i benefici che l’Italia potrebbe ricavare dalla fine del regime di sanzioni che Donald Trump ha avviato contro l’Iran dopo l’uscita, nel 2018, degli Stati Uniti dal Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa), l’accordo internazionale sul nucleare.
E se Tehran da un lato ribadisce il suo «diritto di rispondere» all’attentato, dall’altro segnala di essere consapevole «delle cospirazioni dei nemici della pace», che puntano a creare una crisi per legare le mani alla diplomazia dopo l’uscita di scena di Donald Trump negli Usa. «Per l’Iran lo spazio per la diplomazia è ancora aperto» è scritto nel comunicato, con la precisazione che «per la Repubblica islamica il criterio è l’operato della nuova Amministrazione (Biden), la revoca delle sanzioni e il pieno ritorno degli Usa al Jcpoa». Chiamata in causa, Roma non è andata oltre la «forte preoccupazione» espressa da fonti anonime della Farnesina che hanno «auspicato» che si eviti in Medio Oriente ogni gesto destabilizzante e atto di escalation.
Il passo dell’ambasciata iraniana è avvenuto mentre a Tehran si svolgevano i funerali solenni di Fakhrizadeh, con la bara avvolta nella bandiera nazionale portata in processione al cimitero di Emamzade Saleh nel nord della capitale.
Presenti i vertici militari, dal generale Mohammad Hossein Bagheri e il comandante dei Guardiani della Rivoluzione, Hossein Salami, al numero uno della forza Quds dei Pasdaran, generale Esmaeil Ghaani, oltre al ministro della difesa Amir Hatami, quello dell’Intelligence, Mahmoud Alavi e il capo dell’Organizzazione iraniana per l’energia atomica, Ali-Akbar Salehi. Fakhrizadeh è stato onorato allo stesso livello del comandante Qasem Soleimani assassinato dagli Usa a inizio gennaio con un attacco mirato in Iraq.
Nei discorsi pronunciati alla cerimonia funebre un po’ tutti hanno fatto riferimento alla ritorsione che non tarderà a scattare contro Israele e Usa. Il portale Middle East Eye ha inoltre riferito che nel fine settimana Tehran ha contattato Abu Dhabi avvertendola che non esiterà a colpire gli Emirati nel caso di un attacco americano all’Iran.
Al momento i responsabili dell’attentato a Fakhrizadeh sembrano aver raggiunto il loro obiettivo di radicalizzare le posizioni iraniane a danno delle voci più moderate. «Alcuni dicono che attraverso il dialogo e i negoziati si possono intraprendere azioni per porre fine a tale ostilità. Questo non è possibile, perché i nostri nemici si oppongono alla natura dell’establishment della Repubblica islamica», ha detto il leader supremo dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, attraverso un suo rappresentante.
Parole che hanno gettato altra benzina sul fuoco degli attacchi che tanti portano in queste ore al presidente Hassan Rohani, considerato troppo morbido. Il deputato Ali Khezrian in Parlamento ha addirittura accusato il governo di «spionaggio» per aver autorizzato «ispezione sospette» dell’Aiea in alcuni siti nucleari del Paese.
Proseguono le indagini sull’attentato. Se all’inizio si era parlato di un commando di 12 persone coadiuvato da una cinquantina di basisti, ora i servizi di sicurezza propendono per una «complessa operazione» con «stile e metodo completamente nuovi», gestita da Israele e dal gruppo armato di opposizione in esilio dei Mojaheddin del Popolo, «usando equipaggiamenti elettronici». Gli investigatori hanno anche pubblicato le foto di quattro sospetti.
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