Il vertice tra i capi di Stato e di governo comunitari tenutosi giovedì 10 dicembre a Bruxelles, oltre ad aver approvato il bilancio dell’Unione Europea e quindi anche la parte relativa al Recovery Fund, hanno dato il via libera – dopo una lunga discussione e almeno tre versioni del testo – ad una nuova serie di sanzioni contro la Turchia, in risposta alle sue “azioni illegali e aggressive” nel Mediterraneo orientale ai danni di Grecia e Cipro.
La questione riguarda le cosiddette Zone Economiche Esclusive marittime, dove si trovano numerosi giacimenti di gas, per i quali l’Unione Europea accusa la Turchia di aver compiuto attività di perforazione e trivellazione, ancora in corso, nelle acque cipriote, come si legge nelle conclusioni del Consiglio UE.
Per questo motivo, l’UE ha confermato la propria intenzione di voler imporre nuove sanzioni nei confronti di persone o entità responsabili, o coinvolte in attività di trivellazione non autorizzate nel Mediterraneo orientale, con l’obiettivo di rafforzare la sua egemonia politica ed economica all’interno della competizione tra potenze nello scacchiere Euro-Mediterraneo.
Da notare, inoltre, che, come specificato nell’ultimo punto del documento, la questione turca nel Mediterraneo orientale sarà oggetto di un confronto nel 2021 con la nuova amministrazione statunitense del Presidente Joe Biden, confermando il coinvolgimento degli USA nella regione, dopo la visita dell’ex Segretario di Stato Mike Pompeo a Nicosia per battezzare l'accordo sul programma per la cooperazione militare tra Cipro, Grecia e Israele.
Nelle prossime settimane, verrà ampliata la “lista nera” stabilita a novembre 2019, a seguito dell’approvazione del regime di sanzioni sempre da parte del Consiglio Europeo nell’ottobre dello stesso anno. In questo elenco figurano due dirigenti della Turkish Petroleum Corporation (TPAO), nei confronti dei quali è stato stabilito il divieto di rilascio del visto verso i Paesi membri UE e il congelamento dei beni.
L’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, è stato quindi incaricato di “presentare una relazione sullo stato di avanzamento delle relazioni politiche, economiche e commerciali tra UE e Turchia” e “sugli strumenti e le opzioni su come procedere, anche con un’estensione del campo di applicazione delle sanzioni”.
Questo documento, da redigere nei primi tre mesi del 2021, verrà poi sottoposto a marzo dell’anno prossimo all’attenzione del Consiglio Europeo, il quale dovrà prendere in esame le proposte avanzate da Borrell e decidere effettivamente l’estensione delle sanzioni.
Il primo a felicitarsi della decisione, raggiunta dal summit tra i capi di Stato e di governo, è stato il Presidente francese Emmanuel Macron, il quale ha sancito che “la fermezza dimostrata contro la Turchia è il segno di un nuovo approccio verso Ankara”, tuonando che “l’UE resta aperta al dialogo ma non accetta più una politica di destabilizzazione verso i suoi Stati membri” (Grecia e Cipro, ndr).
I dissapori tra Parigi e Ankara non sono una novità e le tensioni tra i due Paesi sono andate intensificandosi da diversi mesi a questa parte. Ad agosto, a seguito della collisione tra la fregata greca Limnos e la nave da esplorazione turca Oruc Reis nel Mar Egeo, la Francia aveva deciso di rafforzare temporaneamente la sua presenza militare nel Mediterraneo orientale.
Un interventismo confermato dal Presidente Macron a settembre con l’invio nell’area della fregata Lafayette e di due caccia Rafale, a supporto di unità navali cipriote. Ovviamente, a Macron non interessava difendere la sovranità di Cipro sulle proprie acque, ma gli interessi economici della Total, una delle aziende protagoniste delle esplorazioni dei giacimento di gas, insieme all’Eni.
A fine ottobre, è arrivata la crisi diplomatica con la decisione da parte della Francia di ritirare il suo ambasciatore ad Ankara dopo le dichiarazioni di Erdogan, il quale aveva affermato che il Presidente francese avrebbe bisogno di controlli mentali per il suo comportamento nei confronti dei musulmani e dell’Islam.
Una tensione allarmante, soprattutto considerando il fatto che Francia e Turchia sono entrambi membri della NATO, ma che in Libia si sono ritrovati a sostenere fronti opposti: la Francia, insieme all’Egitto, ha appoggiato il generale Haftar contro al-Sarraj, supportato dalla Turchia e anche dall’Italia.
Il Presidente Macron si è fregiato anche del “lavoro diplomatico” svolto dal Consiglio Europeo quando “ad ottobre aveva teso la mano alla Turchia ponendo solo alcune condizioni” affinché cessasse le attività di esplorazione e trivellazione, giudicate dal capo di Stato francese vere e proprie “azioni provocatorie e inaccettabili”.
Già in quell’occasione, segnalavamo il comportamento contraddittorio dell’UE che aveva deciso di imporre sanzioni immediate nei confronti della Bielorussia di Lukašėnko, lanciando alla Turchia soltanto un avvertimento.
Ora il cerchio si stringe contro quest’ultima, per l’iniziativa del pugno di ferro contro Ankara condotta dal fronte capitanato da Macron, il quale ha già annunciato che “a marzo rivedremo il quadro delle relazioni commerciali ed economiche con la Turchia, riservandoci ogni strumento per rispondere a un proseguo di questa politica aggressiva”.
Ma non tutti i Paesi dell’UE sono d’accordo con la linea dettata da Macron e dalla sua mania di grandeur. Infatti, nel documento del Consiglio Europeo non figura l’embargo alla vendita di armi alla Turchia, una misura richiesta e sollecitata da tempo da Atene, alla quale però si sono da subito opposte Germania, Italia e Spagna.
La Germania è il primo partner commerciale europeo della Turchia, mentre l’Italia vanta un interscambio commerciale di almeno 14,8 miliardi di dollari e, con 7,1 miliardi di esportazioni, è il quinto fornitore della Turchia, secondo i dati del 2019.
L’export riguarda in particolare la vendita di armi e munizioni italiane alla Turchia, che da novembre 2019 a luglio 2020 ha raggiunto gli 85 milioni di euro, massimo storico dal 1991, come riporta la Rete Italiana Pace e Disarmo. Nonostante l’impegno a sospendere la vendita di armi ad Ankara a causa dei bombardamenti in Siria contro i curdi, assunto dal ministro Di Maio nell’ottobre 2019, nei primi sei mesi del 2020 questo export si attesta a quasi 60 milioni di euro.
Gli affari militari tra Italia e Turchia si inseriscono nel quadro della collaborazione politica tra i due Paesi, caratterizzata da “eccellenti relazioni”, come le ha definite il ministro della Difesa Lorenzo Guerini durante l’incontro a Roma con il suo omologo turco Hulusi Akar.
Dal canto suo, il Presidente turco Erdogan ha lanciato una stoccata all’intero Consiglio Europeo, cosciente dei diversi approcci tra i membri UE: “Il vertice non ha soddisfatto le aspettative di alcuni Paesi, perché non erano giustificate. Alcuni governi di buon senso hanno sventato il piano mostrando un approccio positivo”.
La delusione è stata espressa dalla cancelliera tedesca Angela Merkel: “Ci saremmo augurati dei rapporti più costruttivi con la Turchia”, dovendo però riconoscere che “a causa delle trivellazioni illegali, abbiamo dovuto prendere decisioni difficili”.
Servile nei confronti di Berlino, anche il Premier italiano Giuseppe Conte si è fatto portavoce della linea soft nei confronti della Turchia, augurandosi una “de-escalation del confronto”.
L’intento di Erdogan è quello di indebolire l’avversario – l’Unione Europea – cercando di evitare a qualunque costo il rafforzamento delle posizioni intorno all’asse francese e sapendo che in tre mesi il Consiglio non arriverà ad una sintesi condivisa e definitiva tra la posizione più aperta al dialogo e quella più restrittiva.
Inoltre, è ben consapevole che gli interessi in campo riguardano “relazioni politiche ed economiche radicate sia con gli Stati Uniti che con l’Unione Europea, che nessuna delle due parti può ignorare o certamente rischiare di perdere”, il che – almeno secondo i suoi auspici – dovrebbe far pendere l’ago della bilancia verso l’impostazione italo-tedesca.
Nelle conclusioni del Consiglio Europeo, quest’ultima ipotesi sembra non esser poi così remota in quanto viene riaffermato “l’interesse strategico della UE nello sviluppo di relazioni cooperative e reciprocamente vantaggiose con la Turchia”, confermando i finanziamenti per gli hotspot carcerari in cui vengono confinati i migranti, in particolare rifugiati siriani, che fanno parte del piano da 6 miliardi di euro concordato nel 2016.
L’area Euro-Mediterranea si conferma ancora una volta teatro dei conflitti e della competizione tra le potenze politiche ed economiche per interessi strategici nell’intera regione. Nessuna è disposta a cedere il passo, ma si prepara allo scontro sia attraverso sanzioni economiche e commerciali sia tramite provocazioni militari. La situazione complessiva è quella di stallo; quando e come questo si romperà, non è facile a dirsi.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento