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12/01/2021

La crisi politica e le trame dell’austerità

Mentre la curva della pandemia non accenna a dare segnali di tregua e le conseguenze economiche della crisi sanitaria si fanno sempre più drammatiche – come segnalano ad esempio le ultime stime del MEF, che indicano una disoccupazione oltre il 12% nel 2021 – una imminente crisi di Governo ha catturato ormai da diversi giorni il centro del palcoscenico. Il redivivo Matteo Renzi, leader di Italia Viva, sembra davvero intenzionato a far cadere il Governo Conte Bis, lamentando una serie di gravi mancanze dell’Esecutivo nella gestione degli ultimi mesi. Renzi e la sua ciurma, infatti, ribadiscono a ogni occasione che la loro battaglia non è per una poltrona in più ma esclusivamente sui contenuti, sulle idee, sui valori!

A onor del vero, dal ponte sullo Stretto ad Autostrade, pochi sono stati gli ambiti che sono stati risparmiati da una sparata estemporanea. Ma, volendo identificare quello che sembra il tema che sta più a cuore ai nostri, la principale accusa scagliata da Renzi contro il Governo di cui fa parte riguarderebbe il mancato accesso ai fondi del cosiddetto MES sanitario.

Renzi e il MES sanitario: una bugia dalle gambe corte

Renzi ha, infatti, rispolverato il tema della necessità di ricorrere al MES per incrementare la spesa sanitaria, assumere più personale e comprare più materiale, arrivando addirittura a dichiarare che se avessimo fatto ricorso al MES sei mesi fa ad oggi avremmo più persone vaccinate. Non è difficile capire la natura menzognera e volgare di queste parole. A tale scopo, occorre richiamare la distinzione tra le ‘voci di spesa’ programmate dal Governo in ambito sanitario, ossia l’ammontare di spesa che si presume di realizzare in materia di prodotti, personale e strutture, e le ‘coperture’, ossia le risorse per l’appunto necessarie per coprire le predette voci di spesa.

IL MES sanitario rappresenta esclusivamente una copertura finanziaria – in alternativa alle forme già disponibili – di determinate spese del comparto, ma non comporta di per sé una maggiore spesa. Non siamo noi a dirlo, ma il Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. Già mesi fa quest’ultimo aveva sgomberato il campo da equivoci dichiarando: “Vorrei chiarire che il MES non serve a fare spesa pubblica aggiuntiva. Cioè, lo si può anche fare ma comunque fa debito”.

Quando lo Stato programma un determinato ammontare di spesa pubblica (ad esempio, per acquistare beni e pagare stipendi a personale medico e paramedico), deve altresì specificare dove reperisce le risorse per farlo. Ebbene, ciò può avvenire attraverso le entrate (come le tasse) o attraverso il ricorso al debito. Il MES entra in gioco in merito a questa seconda opzione: lo Stato, infatti, può prendere a prestito le risorse o da risparmiatori e banche, attraverso l’emissione di ordinari titoli del debito pubblico, o dal MES stesso. Con la differenza non trascurabile che quest’ultimo, a fronte di un risparmio minimo in termini di interessi da pagare, implica un sovrappiù di austerità e pesanti condizionalità politiche, oltre a potenziali ripercussioni sulla nostra (in)stabilità finanziaria.

I famigerati 38 miliardi del MES rappresenterebbero una copertura alternativa, per giunta solo parziale, di spese il cui ammontare è indipendente dal fatto che siano finanziate in una maniera o l’altra. I soldi del MES, in altri termini, non sarebbero in alcun modo, come dice lo stesso Gualtieri, spesa aggiuntiva, e pertanto non servirebbero a potenziare il sistema sanitario. La spesa aggiuntiva, quella che effettivamente permetterebbe di assumere più medici e comprare più vaccini, si realizzerebbe se e solo se lo Stato programmasse una spesa maggiore in conseguenza dell’accesso al MES. A rafforzare queste considerazioni ci pensa l’Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB). Nel suo rapporto sulla politica di bilancio 2021, l’UPB ci dice che la spesa sanitaria prevista nella legge di bilancio per il 2021 è maggiore di quella stanziata per il 2020 di meno di un miliardo. In sostanza, meno di un miliardo – per la precisione 853 milioni – è l’aumento di spesa sanitaria in un periodo di crisi pandemica. Queste le righe dell’UPB: “Il DDL di bilancio determina il finanziamento del Servizio sanitario nazionale (SSN) per il 2021 in 121,37 miliardi, con un aumento di poco meno di un miliardo rispetto all’anno in corso (120,517 miliardi)”. Insieme alle parole del ministro Gualtieri, questo dato dimostra che l’eventuale apertura della linea di credito del MES sarebbe usata praticamente per intero per finanziare spese già stanziate, una parte di quei 121 miliardi che spendiamo ogni anno.

A queste osservazioni, i difensori dell’austerità e delle istituzioni europee potrebbero rispondere: tranquilli, prima si accetta il MES e dopo si aumenta la spesa sanitaria, proprio grazie alle risorse del MES. Questa obiezione, però, non regge: se usati per nuove spese, quei soldi farebbero corrispondentemente aumentare il debito pubblico, e il Governo ha già posto un limite all’aumento del debito nella previsione di deficit del 7% per il 2021, una previsione che include solo 800 milioni di maggiore spesa sanitaria, da cui è possibile discostarsi solo per ragioni sopravvenute, come nel caso dei vari decreti “Ristori”, che aumentano il deficit per ristorare le imprese chiuse ogni mese. In altre parole, la programmazione della spesa sanitaria per il 2021 è contenuta nella Legge di bilancio appena varata, e determina un ridicolo incremento della spesa sanitaria prevista a fronte del dramma della pandemia vissuto negli ultimi 10 mesi.

Ma questo tema, d’altronde, non pare interessare né Renzi né i suoi accoliti, dato il relativo silenzio con cui è stata approvata la Legge di bilancio.

Il vero obiettivo: realizzare le condizioni per il progetto dell’austerità

Abbiamo sgomberato il campo dall’eventualità remota che la possibile crisi di Governo sia dovuta al desiderio di una sua componente di spendere di più e meglio in sanità. Non è così e non c’è da stupirsi, considerando che chi oggi agita la polemica è stato ieri corresponsabile dei tagli che hanno messo in ginocchio la sanità italiana e che l’economista di punta della formazione politica al centro della gazzarra di questi giorni ha speso gli ultimi mesi a rendersi ridicolo negando l’esistenza stessa dei tagli. Rimane da capire, allora, quale è il senso degli strepiti che provengono da Italia Viva e che disegno politico li anima, al di là del desiderio di provare a negoziare più potere e visibilità e cercare di contrastare la caduta nell’oblio a cui altrimenti il partito pare destinato.

Mattarella ha già chiarito che, nel mezzo della campagna di vaccinazione e con la pandemia che continua a mordere, di nuove elezioni non se ne parla neanche. In caso di crisi di Governo, quindi, non rimarrebbe altra opzione che cercare di trovare in Parlamento una nuova maggioranza. Ormai da mesi si susseguono insistenti voci, indiscrezioni e sogni proibiti di pezzi di padronato che prefigurano un Governo tecnico, un Governo dei competenti, un Governo delle riserve dello Stato con, al comando o in un ruolo centrale, l’ex Presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi. La crisi di questi giorni rappresenta un’occasione succulenta per la realizzazione di questo progetto, i cui contorni sono facilmente delineabili.

La propaganda europeista, negli ultimi mesi, ha suonato ininterrottamente la grancassa di un fiume di soldi che sarebbero stati riversati sulle economie colpite dalla pandemia e dalle necessarie misure di contenimento. La realtà, tuttavia, si è andata delineando fin dal primo momento in maniera drasticamente differente. I fondi del cosiddetto Recovery Fund (o Next Generation EU, seguendo la nomenclatura ufficiale) – oltre ad essere di un ammontare sostanzialmente marginale e avere un impatto minimo sull’economia del nostro Paese, come si può leggere anche nelle stime del Governo – saranno concessi solo a condizioni politiche ed economiche ancora più stringenti di quelle previste dal MES. Come ha ricordato in più occasioni la stessa Presidentessa della Commissione Europea Ursula von der Leyen, riceveranno aiuti solamente i Paesi che rispetteranno le Raccomandazioni Specifiche per Paese, formulate dalla Commissione ogni anno (l’intervento europeo “è volontario, ma chi vi accede deve allinearsi con il Semestre europeo e le raccomandazioni ai Paesi... Finora dipendeva solo dai Paesi rispettarle o meno, ma ora le raccomandazioni sono legate a sussidi e potenziali prestiti”, ci diceva la von der Leyen già lo scorso luglio). Per l’Italia questo ha un significato molto preciso: bisogna rispettare fino alla virgola i dettami dell’austerità fiscale, tagliando la spesa pubblica e in particolare le pensioni, vero spauracchio delle istituzioni europee, e ‘riformare’ il mercato del lavoro.

Ma qui sorge un problema. Chi è disposto a mettere la faccia su misure antipopolari come quelle che ‘ci chiede l’Europa’ in cambio degli aiuti del Recovery Fund? Chi vuole essere ricordato come il responsabile di ulteriori misure di macelleria sociale, in un Paese piagato da disoccupazione e salari miserabili per fasce sempre maggiori della popolazione? Chi si prende la responsabilità di cancellare il Reddito di Cittadinanza, una misura che abbiamo criticato a più riprese ma che anche così turba i sonni delle istituzioni europee e del padronato italiano?

Ecco quindi che la possibile crisi di Governo fornisce alla classe politica che oggi siede in Parlamento – nella sua interezza, comprese le forze dell’attuale maggioranza – un alibi perfetto. Perché di questo si tratta, un alibi per realizzare un ulteriore ciclo di misure a favore delle classi dominanti, su cui sostanzialmente tutte le forze politiche oggi in Parlamento concordano, senza però sporcarsi le mani in prima persona. E chi meglio di Mario Draghi, che non a sorpresa raccoglie anche l’appoggio neanche troppo velatamente entusiasta di Salvini, per dare un giro di vite e impartire all’Italia la cura da cavallo che le istituzioni europee sollecitano? Si tratterebbe del delitto perfetto, con il cavaliere bianco che si sottrae al suo meritato riposo, novello Cincinnato, per il bene del Paese. Con Renzi a offrire una reinterpretazione del ruolo di ‘utile idiota’, che sbraccia per mettersi in mostra come il più responsabile e fedele esecutore del progetto politico dell’austerità, e il resto del Parlamento che tira un sospiro di sollievo perché c’è qualcuno che farà il lavoro sporco per conto loro. Una squallida pantomima dalle tragiche conseguenze, perché austerità vuol dire stringere la cinghia anche sul necessario: ospedali, scuole, servizi sociali. E perché condizionalità significa precarietà, tagli alle pensioni, disoccupazione. In altri termini, significa portare avanti le rivendicazioni dei padroni, a scapito dei nostri diritti. La posta in gioco, per i lavoratori, è molto più alta di quanto si possa immaginare.

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