Mentre la curva della pandemia non
accenna a dare segnali di tregua e le conseguenze economiche della crisi
sanitaria si fanno sempre più drammatiche – come segnalano ad esempio
le ultime stime del MEF, che indicano una disoccupazione oltre il 12%
nel 2021 – una imminente crisi di Governo ha catturato ormai da diversi
giorni il centro del palcoscenico. Il redivivo Matteo Renzi, leader di
Italia Viva, sembra davvero intenzionato a far cadere il Governo Conte
Bis, lamentando una serie di gravi mancanze dell’Esecutivo nella
gestione degli ultimi mesi. Renzi e la sua ciurma, infatti, ribadiscono a
ogni occasione che la loro battaglia non è per una poltrona in più ma
esclusivamente sui contenuti, sulle idee, sui valori!
A onor del vero, dal ponte sullo
Stretto ad Autostrade, pochi sono stati gli ambiti che sono stati
risparmiati da una sparata estemporanea. Ma, volendo identificare quello
che sembra il tema che sta più a cuore ai nostri, la principale accusa
scagliata da Renzi contro il Governo di cui fa parte riguarderebbe il
mancato accesso ai fondi del cosiddetto MES sanitario.
Renzi e il MES sanitario: una bugia dalle gambe corte
Renzi ha, infatti, rispolverato il tema della necessità di ricorrere al MES per
incrementare la spesa sanitaria, assumere più personale e comprare più
materiale, arrivando addirittura a dichiarare che se avessimo fatto
ricorso al MES sei mesi fa ad oggi avremmo più persone vaccinate.
Non è difficile capire la natura menzognera e volgare di queste parole.
A tale scopo, occorre richiamare la distinzione tra le ‘voci di spesa’
programmate dal Governo in ambito sanitario, ossia l’ammontare di spesa
che si presume di realizzare in materia di prodotti, personale e
strutture, e le ‘coperture’, ossia le risorse per l’appunto necessarie
per coprire le predette voci di spesa.
IL MES sanitario rappresenta
esclusivamente una copertura finanziaria – in alternativa alle forme già
disponibili – di determinate spese del comparto, ma non comporta di per
sé una maggiore spesa. Non siamo noi a dirlo, ma il Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. Già mesi fa quest’ultimo aveva sgomberato il campo da equivoci dichiarando: “Vorrei chiarire che il MES non serve a fare spesa pubblica aggiuntiva. Cioè, lo si può anche fare ma comunque fa debito”.
Quando lo Stato programma un
determinato ammontare di spesa pubblica (ad esempio, per acquistare beni
e pagare stipendi a personale medico e paramedico), deve altresì
specificare dove reperisce le risorse per farlo. Ebbene, ciò può
avvenire attraverso le entrate (come le tasse) o attraverso il ricorso
al debito. Il MES entra in gioco in merito a questa seconda opzione: lo
Stato, infatti, può prendere a prestito le risorse o da risparmiatori e
banche, attraverso l’emissione di ordinari titoli del debito pubblico, o
dal MES stesso. Con la differenza non trascurabile che quest’ultimo, a
fronte di un risparmio minimo in termini di interessi da pagare, implica
un sovrappiù di austerità e pesanti condizionalità politiche, oltre a
potenziali ripercussioni sulla nostra (in)stabilità finanziaria.
I famigerati 38 miliardi del MES rappresenterebbero una copertura alternativa, per giunta solo parziale, di spese il cui ammontare è indipendente dal fatto che siano finanziate in una maniera o l’altra.
I soldi del MES, in altri termini, non sarebbero in alcun modo, come
dice lo stesso Gualtieri, spesa aggiuntiva, e pertanto non servirebbero a
potenziare il sistema sanitario. La spesa aggiuntiva, quella che
effettivamente permetterebbe di assumere più medici e comprare più
vaccini, si realizzerebbe se e solo se lo Stato programmasse una spesa
maggiore in conseguenza dell’accesso al MES. A rafforzare queste
considerazioni ci pensa l’Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB). Nel
suo rapporto sulla politica di bilancio 2021,
l’UPB ci dice che la spesa sanitaria prevista nella legge di bilancio
per il 2021 è maggiore di quella stanziata per il 2020 di meno di un miliardo.
In sostanza, meno di un miliardo – per la precisione 853 milioni – è
l’aumento di spesa sanitaria in un periodo di crisi pandemica. Queste le
righe dell’UPB: “Il DDL di bilancio determina il finanziamento del
Servizio sanitario nazionale (SSN) per il 2021 in 121,37 miliardi, con
un aumento di poco meno di un miliardo rispetto all’anno in corso
(120,517 miliardi)”. Insieme alle parole del ministro Gualtieri, questo
dato dimostra che l’eventuale apertura della linea di credito del MES
sarebbe usata praticamente per intero per finanziare spese già stanziate, una parte di quei 121 miliardi che spendiamo ogni anno.
A queste osservazioni, i difensori
dell’austerità e delle istituzioni europee potrebbero rispondere:
tranquilli, prima si accetta il MES e dopo si aumenta la spesa
sanitaria, proprio grazie alle risorse del MES. Questa obiezione, però,
non regge: se usati per nuove spese, quei soldi farebbero
corrispondentemente aumentare il debito pubblico, e il Governo ha già
posto un limite all’aumento del debito nella previsione di deficit del
7% per il 2021, una previsione che include solo 800 milioni di maggiore spesa sanitaria,
da cui è possibile discostarsi solo per ragioni sopravvenute, come nel
caso dei vari decreti “Ristori”, che aumentano il deficit per ristorare
le imprese chiuse ogni mese. In altre parole, la programmazione della
spesa sanitaria per il 2021 è contenuta nella Legge di bilancio appena
varata, e determina un ridicolo incremento della spesa sanitaria
prevista a fronte del dramma della pandemia vissuto negli ultimi 10
mesi.
Ma questo tema, d’altronde, non pare interessare né Renzi né i suoi
accoliti, dato il relativo silenzio con cui è stata approvata la Legge
di bilancio.
Il vero obiettivo: realizzare le condizioni per il progetto dell’austerità
Abbiamo sgomberato il campo
dall’eventualità remota che la possibile crisi di Governo sia dovuta al
desiderio di una sua componente di spendere di più e meglio in sanità.
Non è così e non c’è da stupirsi, considerando che chi oggi agita la
polemica è stato ieri corresponsabile dei tagli che hanno messo in ginocchio la sanità italiana e
che l’economista di punta della formazione politica al centro della
gazzarra di questi giorni ha speso gli ultimi mesi a rendersi ridicolo negando l’esistenza stessa dei tagli.
Rimane da capire, allora, quale è il senso degli strepiti che
provengono da Italia Viva e che disegno politico li anima, al di là del
desiderio di provare a negoziare più potere e visibilità e cercare di
contrastare la caduta nell’oblio a cui altrimenti il partito pare
destinato.
Mattarella ha già chiarito che, nel mezzo della campagna di vaccinazione e con la pandemia che continua a mordere, di nuove elezioni non se ne parla neanche.
In caso di crisi di Governo, quindi, non rimarrebbe altra opzione che
cercare di trovare in Parlamento una nuova maggioranza. Ormai da mesi si
susseguono insistenti voci, indiscrezioni e sogni proibiti di pezzi di padronato che
prefigurano un Governo tecnico, un Governo dei competenti, un Governo
delle riserve dello Stato con, al comando o in un ruolo centrale, l’ex
Presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi.
La crisi di questi giorni rappresenta un’occasione succulenta per la
realizzazione di questo progetto, i cui contorni sono facilmente
delineabili.
La propaganda europeista, negli ultimi
mesi, ha suonato ininterrottamente la grancassa di un fiume di soldi
che sarebbero stati riversati sulle economie colpite dalla pandemia e
dalle necessarie misure di contenimento. La realtà, tuttavia, si è
andata delineando fin dal primo momento in maniera drasticamente
differente. I fondi del cosiddetto Recovery Fund (o Next Generation EU,
seguendo la nomenclatura ufficiale) – oltre ad essere di un ammontare
sostanzialmente marginale e avere un impatto minimo sull’economia del nostro Paese,
come si può leggere anche nelle stime del Governo – saranno concessi
solo a condizioni politiche ed economiche ancora più stringenti di
quelle previste dal MES. Come ha ricordato in più occasioni la stessa
Presidentessa della Commissione Europea Ursula von der Leyen,
riceveranno aiuti solamente i Paesi che rispetteranno le Raccomandazioni Specifiche per Paese,
formulate dalla Commissione ogni anno (l’intervento europeo “è
volontario, ma chi vi accede deve allinearsi con il Semestre europeo e
le raccomandazioni ai Paesi... Finora dipendeva solo dai Paesi rispettarle o meno, ma ora le raccomandazioni sono legate a sussidi e potenziali prestiti”, ci diceva la von der Leyen già lo scorso luglio). Per l’Italia questo ha un significato molto preciso: bisogna rispettare fino alla virgola i dettami dell’austerità fiscale, tagliando la spesa pubblica e in particolare le pensioni, vero spauracchio delle istituzioni europee, e ‘riformare’ il mercato del lavoro.
Ma qui sorge un problema. Chi è
disposto a mettere la faccia su misure antipopolari come quelle che ‘ci chiede l’Europa’ in cambio degli aiuti del Recovery Fund? Chi
vuole essere ricordato come il responsabile di ulteriori misure di
macelleria sociale, in un Paese piagato da disoccupazione e salari
miserabili per fasce sempre maggiori della popolazione? Chi si prende la
responsabilità di cancellare il Reddito di Cittadinanza, una misura che
abbiamo criticato a più riprese ma che anche così turba i sonni delle istituzioni europee e del padronato italiano?
Ecco quindi che la possibile crisi di
Governo fornisce alla classe politica che oggi siede in Parlamento –
nella sua interezza, comprese le forze dell’attuale maggioranza – un alibi perfetto.
Perché di questo si tratta, un alibi per realizzare un ulteriore ciclo
di misure a favore delle classi dominanti, su cui sostanzialmente tutte
le forze politiche oggi in Parlamento concordano, senza però sporcarsi le mani in prima persona. E chi meglio di Mario Draghi, che non a sorpresa raccoglie anche l’appoggio neanche troppo velatamente entusiasta di Salvini,
per dare un giro di vite e impartire all’Italia la cura da cavallo che
le istituzioni europee sollecitano? Si tratterebbe del delitto perfetto,
con il cavaliere bianco che si sottrae al suo meritato riposo, novello
Cincinnato, per il bene del Paese. Con Renzi a offrire una
reinterpretazione del ruolo di ‘utile idiota’, che sbraccia per mettersi
in mostra come il più responsabile e fedele esecutore del progetto politico dell’austerità,
e il resto del Parlamento che tira un sospiro di sollievo perché c’è
qualcuno che farà il lavoro sporco per conto loro. Una squallida
pantomima dalle tragiche conseguenze, perché austerità vuol dire
stringere la cinghia anche sul necessario: ospedali, scuole, servizi
sociali. E perché condizionalità significa precarietà, tagli alle
pensioni, disoccupazione. In altri termini, significa portare avanti le
rivendicazioni dei padroni, a scapito dei nostri diritti. La posta in
gioco, per i lavoratori, è molto più alta di quanto si possa immaginare.
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