Abbiamo tradotto questo interessante articolo di ACTA che affronta il tema delle proteste contro il pass sanitario in Francia ponendo il tema della necessità di un'inchiesta militante. Naturalmente è necessario tenere presente la differenza tra i due contesti, sia rispetto alle dimensioni del fenomeno, sia per quanto riguarda le sue premesse, ma alcune delle considerazioni del testo meriterebbero un approfondimento anche dalle nostre parti.
*****
Di fronte alla diffusione delle polarizzazioni attuali – molto spesso ridotte a dei conflitti “pro” o “contro” il vaccino – è molto difficile adottare una posizione politica chiara. Da una parte, si sviluppa una sfiducia importante contro il green pass e contro l’obbligo a mezza voce di vaccinarsi, portando migliaia di persone per le strade in tutta la Francia, come nel caso di ieri. Dall’altra, una posizione di diffidenza di una parte della sinistra radicale nei confronti di queste mobilitazioni, che la spinge nelle retrovie, con la motivazione innegabile che una parte dell’estrema destra è l’avanguardia di queste mobilitazioni contro la vaccinazione generalizzando la confusione, con tendenze negazioniste, attraverso certi discorsi e simboli promossi, in particolare con analogie alla Shoah o all’apartheid.
Se in questa folla, lo sfondo sembra più blu (molto scuro) che rosso, la poca intenzione di intervenire – che si sviluppa in una parte della sinistra radicale – sulle problematiche fondamentali del controllo generalizzato e di tutte le conseguenze indotte dalle nuove misure governative è qualcosa su cui interrogarsi. In particolar modo a un anno dalle elezioni presidenziali e a fronte di promesse già disattese.
L’incapacità della sinistra rivoluzionaria a intervenire nei contesti che fuoriescono dalla grammatica tradizionale potrebbe sorprendere, soprattutto dopo due anni scanditi dal movimento dei Gilet Gialli. Come leggere questa difficoltà? Innanzitutto, la retorica che attraversa le mobilitazioni attuali, in particolare quella sul vaccino, è innegabilmente orientata verso il principio delle libertà individuali. Da qui, a partire dalla critica marxista alla visione liberale che fonda l’emancipazione sul diritto borghese e sulle libertà individuali, il campo rivoluzionario non si è mai trovato a suo agio nelle lotte in cui le parole d’ordine si riferiscono a questo in maniera prioritaria.
Questo è comprensibile, poiché il sacrosanto diritto di puntare ai profitti e di massimizzarli (un altro modo di intendere la “Libertà di sfruttare”) è giustificato eticamente da questa stessa concezione individualista della libertà, che oggi diventa norma in questo contesto. Ma ritroviamo anche questo riferimento alla libertà in discorsi conservatori, con la famosa idea che “la sicurezza è la prima delle libertà”, in senso molto spesso razzista, erigendo il suprematismo bianco a “libertà di coscienza”, come un diritto (e un dovere) nazionalista di preservazione delle tradizioni e dei valori repubblicani francesi.
Possiamo difficilmente negare che questo tipo di affezioni e di logiche guidino una parte dei manifestanti contro la vaccinazione obbligatoria (indotta dal green pass): spinti in nome della sacralità dei loro “corpi individuali” giudicati di gran lunga superiori agli imperativi di solidarietà sociale, di salute pubblica e di protezione dei più fragili. Da questo punto di vista, è difficile vedere quale tipo di intervento ideologico e critico proporre, a maggior ragione se, in questi ultimi anni, la critica nei confronti delle misure per mettere fine alla pandemia di Covid-19 (isolamento, mascherine, tamponi, campagna di vaccinazione) è stata maggiormente utilizzata dai reazioni razzisti, da Bolsonaro a Trump, da Philippot a Dupont-Aignan.
Una parte delle posizioni contro il green pass, e soprattutto contro la vaccinazione, sembra in effetti fare eco alle ricomposizioni recenti effettuate dall’estrema destra, d’ispirazione “liberale” alla Trump, che va di pari passo con una reticenza feroce nei confronti di tutte le misure di solidarietà collettiva contro un capitalismo sfrenato e uno scetticismo criminale rispetto ai cambiamenti climatici. Nondimeno, ridurre questa posizione a un retaggio individualista, “complottista” o protofascista, sarebbe poco centrato.
Senza voler fare analogie affrettate con il movimento dei Gilet Gialli, è comunque utile ricordare che la mobilitazione contro la tassa sul carburante rimandava a delle logiche che non avevano nulla a che vedere con rivendicazioni del tipo “diritto individuale a inquinare”, come in alcuni casi è stato detto. La rivolta denunciava, tra le altre cose, le conseguenze di una tassa del genere sulle modalità di accesso ai contesti periurbani e rurali. Inoltre, questa sottolineava anche l’isolamento e la relegazione sociale che caratterizzano da sempre gli spazi periferici, rifiutando che i poveri e i più isolati pagassero i costi della distruzione dell’ambiente (di cui le grandi aziende e i più ricchi sono, senza mezze misure, i primi responsabili, senza aver nessun tipo di impedimento nel farlo).
Dunque, durante le prime settimane del movimento l’estrema sinistra aveva tenuto uno sterile atteggiamento di purezza ideologica, giustificando il suo sottrarsi qualificando il movimento inevitabilmente come individualista, non di classe, o definitivamente fascista. È stato poi attraverso la partecipazione al movimento, tramite l’intervento antifascista nelle manifestazioni, ma anche grazie agli incontri e alle discussioni che la percezione collettiva degli elementi fascistoidi è diventata sempre più negativa e questi hanno finito per sparire o per essere cacciati. Inoltre, è la disintegrazione sociale ad essere individuata dai Gilet Gialli come un problema che, tramite il pass sanitario impedisce l’accesso agli spazi di incontro, alle attività culturali agli spazi di socialità e ai mezzi di circolazione a una parte della popolazione e questo accade dopo due anni di isolamento, di coprifuoco a ripetizione, di regolazione di incontri limitati, di divieti a incontrare famigliari e amici, tra le altre cose.
Ma comparare non significa equiparare ed è chiaro che le mobilitazioni attuali sono diverse da quelle del movimento dei Gilet Gialli. In effetti, ci sembra che questi ultimi non si siano mai, sia per la loro composizione, sia per i fondamenti materiali della loro rabbia e per le loro posizioni – a volte anche ingenuamente apolitiche - lasciati guidare da partiti o gruppuscoli fascisti, né avrebbero dato libertà di farsi loro portavoce a delle figure così politiciste, opportuniste e nazionaliste come Florian Philippot o Nicolas Dupot-Aignan. Nondimeno, qualcosa di simile si sta giocando nei rapporti di una parte della sinistra radicale rispetto alle mobilitazioni attuali. Prima di affermare che queste sono perse in partenza nelle mani di forze razziste, antisemite e complottiste, il minimo sforzo di metodo ci imporrebbe di realizzare inchieste militanti, nelle nostre città, per comprendere la composizione sociale e politica reale delle proteste, oltre che le dinamiche interne che attraversano le posizioni contro il green pass.
In seguito ai primi risultati ottenuti grazie a tentativi di questo tipo, ci accorgiamo che molte persone che scendono in piazza per esprimersi contro le misure imposte da Macron non hanno nulla a che vedere, da vicino o da lontano, con l’estrema destra, nemmeno con la destra conservatrice. Inoltre, le critiche all’obbligo vaccinale, applicato attraverso il green pass, non possono essere unilateralmente unificate dietro il concetto – sempre molto vago – di “complottismo”. La diffidenza nei confronti della vaccinazione, e la paura di un suo utilizzo per altri fini che non sono la salute pubblica, non sono tutte della stessa natura.
Certo, di fronte a queste paure, sarebbe senza dubbio utile ricordare che è poco probabile che un vaccino messo principalmente a disposizione dei paesi ricchi del Nord del mondo e delle classi medie e superiori possa essere la causa di morte, di sterilità o di malattie gravi. Come sappiamo, in caso di dubbio scientifico, le popolazioni utilizzate per la sperimentazione dagli stati occidentali e dai laboratori farmaceutici rimangono gli abitanti del sud del mondo.
Nondimeno, senza parlare di complotto, gli interrogativi che si esprimono a proposito dei processi di produzione e commercializzazione di una vaccinazione per cui la fase di sperimentazione non è stata portata a termine, prodotta in qualche mese in un contesto di concorrenza inter imperialista senza tregua, sono esse per forza da rigettare in blocco nel campo egoista e reazionario di questo mondo? L’UE non ha d’altronde accordato garanzie finanziarie ai produttori che permettessero di indennizzare nell’eventualità in cui gli si scagliasse contro la responsabilità, in ragione di una produzione inedita di vaccini e del poco calo degli effetti secondari ai quali potrebbero dare luogo?
L’origine dell’inquietudine che si esprime deve anche essere messa in relazione con i precedenti che hanno marcato la storia sanitaria recente, in particolar modo la questione del sangue contaminato e quella del vaccino H1N1. Questi precedenti devono servire da monito, spingendoci a pensare da subito a forme di solidarietà concreta in direzione delle persone vittime degli effetti secondari gravi, corollario a tutti gli utilizzi massivi di un dispositivo vaccinale come questo, e di portare la responsabilità piena e intera ai laboratori farmaceutici come rivendicazione elementare dei movimenti sociali attuali.
In più, le inquietudini risuonano con la gestione emergenziale e con l’esplodere di contraddizioni permanenti del governo Macron durante questi ultimi due anni. Poiché questo governo ha una responsabilità diretta nel clima di diffidenza attuale, e senza dubbio la risposta assurda e ultra repressiva che lui vi oppone (ricordiamo che il green pass entra in vigore quando il tempo di attesa per ricevere una dose implica numerose settimane e che la quantità di dosi sono attualmente insufficienti per vaccinare tutti) va ancora ad accentuare questo fenomeno.
Perché dunque il nostro campo cede a questa tendenza assurda che accomuna mettendo insieme, sotto l’appellazione di “complottismo”, le posizioni suprematiste paranoiche a volte esoteriche, e la semplice propensione a mettere in dubbio la narrazione egemonica, a volte sotto forma di una critica traballante al capitalismo e delle forme contemporanee di controllo sociale?
Una critica che potrebbe a volte mancare di ancoraggio politico, ma che dovremmo incoraggiare, informare o sfumare piuttosto che rifiutare e denigrare. Un lavoro da fare su queste contraddizioni interne sarebbe di imporre delle rivendicazioni di emancipazione e di eguaglianza sociale, di razza e di genere ma anche di mettere in discussione l’imperialismo e il colonialismo sanitario che si diffonde attualmente e contro il quale dovremmo lottare attivamente. A questo proposito, è importante ricordare la gestione molto più securitaria e autoritaria della pandemia nelle colonie francesi, in mancanza di una politica di salute pubblica solida in questi territori. Questo insieme di interrogativi ci spinge verso il cuore della nostra argomentazione: la centralità della polarizzazione attorno al vaccino nel dibattito attuale è una trappola che dobbiamo evitare. Da una parte, sono le misure autoritarie che inquadrano la questione. Da questo punto di vista, se la presenza di elementi fascisti, antisemiti e confusi, è reale, deve questo renderci ciechi di fronte al dispositivo di controllo generalizzato che rappresenta il green pass?
Nel momento degli scandali dello spionaggio illegale di Pegasus, allorquando un vasto movimento era iniziato contro la Legge di Sicurezza Globale e l’accentuarsi dei livelli di sicurezza che questa metteva in opera, la critica al capitalismo di sorveglianza deve essere una tematica che ci occupa seriamente. Da questo presupposto, perché questa critica è tutta d’un colpo sospesa, o molto timida, così in fretta proprio quando le questioni sanitarie entrano in gioco? La pandemia globale crea immediatamente un asse “progressista” così vago che la critica e la diffidenza diventano colpevoli di tradimento? E soprattutto, come la messa in atto sistematica delle misure di sorveglianza illegale e di repressione poliziesca da parte del governo ultraliberale di Macron potrebbe per alcuni essere utile per sradicare la pandemia e proteggere i più deboli?
D’altra parte, e questo può essere il punto più importante, la tendenza generale a fare della vaccinazione la soluzione ultima al problema della pandemia deve essere interrogato. Non perché il vaccino in sé sarebbe pericoloso, ma perchè si tratta di una misura strettamente “ palliativa” che, sotto forma di pass sanitario, si inscrive perfettamente nel neoliberalismo autoritario contemporaneo. Non sbagliamoci: è sempre più chiaro che il vaccino riveste oggi un ruolo vitale, e che solo una campagna di vaccinazione gratuita, mondiale e liberata dai vincoli dei brevetti potrebbe metter fine alla pandemia che attraversiamo.
Ma in qualità di militanti rivoluzionari, sono soprattutto i legami di causalità che ci interessano e non solamente le conseguenze che implicano. Sta proprio qui in fondo la definizione di una posizione politica radicale: che risale alle radici, alle cause degli avvenimenti storici.
Durante il primo lockdown, abbiamo visto il diffondersi di una posizione di questo tipo, sia riguardo alle analisi ecologiche radicali rispetto al virus o alle parole d’ordine come “autodifesa sanitaria” sviluppate dalle Brigate di Solidarietà Popolare.
Questa posizione, allora maggioritaria nell’estrema sinistra, era attenta alle ricerche che incriminano il capitalismo fossile nella distruzione degli ecosistemi, incoraggiando dunque un riavvicinamento tra spazi di vita umana e animale. Questa metteva in discussione la privatizzazione neoliberale degli ospedali pubblici (e dei servizi pubblici in generale) e la mancanza di letti. Questa sosteneva il lungo sciopero del personale sanitario e la denuncia delle loro condizioni di lavoro disastrose dopo anni di tagli. Questa individuava nella penuria di mascherine, nell’assenza totale di previsioni da parte del governo, il suo denigrare i lavori di “prima necessità” e, naturalmente, il suo opportunismo autoritario con il nuovo Stato di emergenza, sanitario questa volta. Osservava da vicino ciò che questo stava andando a rinforzare, dallo sviluppo dell’apparato poliziesco al trattamento repressivo sistemico dei non bianchi e degli abitanti dei quartieri popolari, senza dimenticare le condizioni sanitarie deplorevoli e le restrizioni drastiche imposte nelle prigioni e nei centri di detenzione amministrativa.
Nel momento in cui la questione della vaccinazione orienta le diverse prese di posizione, tutte queste discussioni sembrano essersi volatilizzate. Perché, un certo numero di punti che sono il cuore delle nostre lotte sono messi sotto il tappeto? In primo luogo, il fatto che questa nuova misura restrittiva avrà delle conseguenze drammatiche, in termini di precarizzazione e di controllo, sui poveri – che sono i meno vaccinati e soprattutto i non bianchi/e, obiettivo preferito dei controlli di polizia. Cosa ne sarà di tutte quelle persone che attraversano situazioni amministrative marginalizzate, in particolar modo quelle che non dispongono dei documenti francesi?
Questo insieme di questioni può indurne anche molte altre. Da un punto di vista internazionalista e anti imperialista, cosa aspettiamo per diffondere la parola d’ordine fondamentale di uguaglianza di accesso al vaccino e di togliere immediatamente i brevetti? Nello stesso senso, in un contesto marchiato dalla penuria di dosi su scala mondiale perché accettiamo – o anche incoraggiamo – la priorità accordata agli adolescenti e giovani adulti dei paesi occidentali rispetto alle persone anziane o fragili in India o Messico (per esempio parlando di terza dose quando ancora questi paesi dispongono di una copertura vaccinale molto precaria?).
Dunque, le posizioni attuali ci sembrano passare a fianco di un rapporto concreto al capitalismo contemporaneo, che svela giorno dopo giorno i suoi pilastri più autoritari. In più, queste aprono un’autostrada all’estrema destra: per investire le piazze intanto.
Ma anche per produrre e diffondere un discorso di opposizione egemonica: di fronte alla sorveglianza di massa, di fronte alle misure che denigrano sempre più sistematicamente tutte le decisioni democratiche minime o ancora di fronte all’uso di un capitalismo della tecnologia digitale. Più in generale, questa permette alla ricomposizione liberale del fascismo post trumpista di erigersi vittoriosa rispetto alla diffidenza verso la narrazione statale.
La nostra ispirazione dovrebbe nutrirsi della strategia di ACT Up che ha promosso una politica di salute egualitaria ed emancipatrice, contro gli interessi privati che l’attraversano. Sempre in lotta contro la marginalizzazione sociale, la posizione di Act Up non ha mai ceduto il passo alle sirene securitarie e autoritarie. In questa linea, noi dovremmo costruire delle rivendicazioni solide e, su questa base, tentare di intervenire. Per un migliore accesso alla vaccinazione, una trasparenza reale e una diffusione di informazioni, di discussioni, di dibattiti e contro ogni forma di controllo e sorveglianza. Il calendario politico dei mesi a venire ci incalza: tra il ritorno possibile della riforma delle pensioni e un movimento di opposizione, le conseguenze delle misure di sorveglianza che prendono forma oggi e, evidentemente, le elezioni presidenziali, non possiamo lasciare le piazze e la critica politica ai fascisti e agli opportunisti.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento