Nella Westfalia, cuore dell’Europa, regione un tempo amena e sede, secondo Voltaire e il suo esilarante “Candido”, del castello di Thunder-den-Tronckh e della madamigella Cunegonda, nonché luogo emblematico del migliore dei mondi possibili secondo il suo dotto precettore Pangloss, si sono consumate, ultimamente, almeno due catastrofi ambientali: le inondazioni determinate dal cambiamento climatico che hanno fatto oltre cento vittime e la devastante esplosione avvenuta all’interno del Chempark di Leverkusen.
Segnali della totalità insostenibilità di un modello di sviluppo che occorre decidersi ad abbandonare in toto, se si vuole dare una qualche chance di sopravvivenza alla specie umana. Oltre che in Westfalia, eventi catastrofici collegati al cambiamento climatico si verificano del resto un po’ ovunque nel mondo anche se, se avvengono in zone povere e sottosviluppate non ne viene data alcuna notizia, com’è successo, tanto per fare un esempio, per le piogge torrenziali che hanno devastato negli ultimi giorni il Burundi, provocando tra l’altro la riduzione del 90% delle scorte alimentari.
Chi si ostina a negare la derivazione di queste catastrofi dalle attività dell’uomo o è un demente completo, o sta sul libro-paga delle potenti lobby del fossile e ben presto dovrà essere imputato per ecocidio e crimini contro l’umanità, nella loro specie ambientale che, a ben vedere, non è meno grave di altre.
Ma il riscaldamento ambientale è solo il più macroscopico degli effetti deleteri dell’attuale modello di sottosviluppo capitalistico del pianeta. Nel medesimo schema rientra la diffusione della pandemia COVID, che non trova anticorpi dopo lo smantellamento dei sistemi preventivi e terapeutici sociosanitari in tutti i Paesi, compresi quelli a capitalismo più avanzato, cui si aggiunge il conferimento del monopolio nella ricerca, sperimentazione e produzione dei vaccini a Big Pharma. Come pure un altro frutto malato del capitalismo è il proliferare dei modelli di alimentazioni indotti da strategie ed esigenze di profitto dell’industria, con in testa Coca-Cola e McDonald, o la Monsanto che ha attuato un vasto schema di corruzione per evitare provvedimenti contro il glifosato cancerogeno che produce.
Alcuni vertici globali dedicati a tali tematiche hanno registrato un evidente e pieno fallimento. Innanzitutto il vertice di Londra sul clima che si è svolto la scorsa settimana. La stampa occidentale, e quella italiana in particolare, come sempre ligia alle veline del potere, si sono affrettate a mettere in evidenza il rifiuto di Cina ed India ad acconsentire ad abbandonare del tutto il carbone. Ma la questione è ben più complessa e non può essere certo risolta mettendo tali Stati sul banco degli accusati.
Ha ragione, paradossalmente, il ministro Cingolani quando afferma che i vari aspetti del problema vanno affrontati congiuntamente e che è impossibile separare tra di loro tutela ambientale e sviluppo. La logica di Cingolani tuttavia va rovesciata. Egli infatti sostiene tale inscindibilità per riaffermare le ragioni dello status quo, dato che si ostina a salvaguardare le esigenze dell’industria. Di conseguenza le popolazioni del mondo intero, e dell’Italia in particolare, dovrebbero pagare un prezzo estremo per consentire all’industria (e alla finanza) di mantenere un adeguato saggio di profitto. Nulla di nuovo, per certi versi, ma per altri, molto di più e di peggio, stante appunto l’attuale accelerazione degli effetti distruttivi del modello di sottosviluppo capitalistico.
Da tale impostazione deriva la scelta del governo Draghi, volta più ad adattare la società all’inevitabile cambiamento climatico che a prevenirne il verificarsi attraverso le misure necessariamente drastiche da adottare. Quindi costoro per un verso minimizzano l’entità del rischio che stiamo correndo (vedi la presenza di negazionisti climatici come Stagnaro ed altri fra i consulenti del governo) e per un altro sostengono che dobbiamo prepararci all’inevitabile verificarsi del cambiamento, anche se non spiegano che tipo di strategia di adattamento sarebbe praticabile in un’area mediterranea che tende alla desertificazione. Dato tragicamente dimostrato anche dagli incendi che in questi giorni si stanno verificando in Sardegna, o come dimostrato dagli altrettanto nefasti fenomeni che colpiscono in questi giorni il Comasco, un’area subalpina che sarà sempre più esposta alle inondazioni catastrofiche.
Lo stesso ragionamento può essere applicato, mutatis mutandis, sul piano internazionale. Il fatto che apparentemente negli Stati Uniti con la (transitoria) vittoria di Biden, abbiano prevalso determinate lobby meno dipendenti dal fossile di quelle che sostenevano (e continuano a sostenere) Trump, è certamente un fatto positivo. Ma lo stesso Biden si gioca questa carta sul piano di una maggiore competitività internazionale nei confronti della Cina, con la quale è da tempo in atto un’escalation concorrenziale su tutti i piani, compreso quello militare.
Il fatto che, nonostante gli enormi progressi compiuti, l’economia cinese sia tuttora in parte dipendente dal carbone o da altre energie fossili, viene vista dall’amministrazione Biden come un’opportunità da far valere nel contesto di una gara con la Cina per l’egemonia a livello mondiale, o meglio per riproporre il logoro stendardo della supremazia statunitense contro la natura sempre più multipolare del sistema internazionale. In questo stesso quadro rientrano i persistenti dinieghi dei Paesi più ricchi – con la parziale eccezione di Canada e Germania – di sobbarcarsi i finanziamenti necessari a far progredire anche quelli più poveri sulla strada della lotta al cambiamento climatico.
Mentalità obsolete, mancanza di solidarietà, visioni anguste, fedeltà fino alla morte ed oltre agli interessi geopolitici occidentali e ai diktat del sistema di sottosviluppo capitalista. Sono virus che vediamo all’opera su tutti gli scacchieri impedendo il necessario ed urgente sviluppo della cooperazione internazionale finalizzata alla soluzione globale dei problemi. È così che il migliore dei mondi possibili si sta trasformando, sotto i nostri occhi, nel peggiore, con buona pace di Pangloss che già Voltaire aveva mirabilmente satireggiato nella sua opera citata. Ma di Pangloss continua ad essere pieno il mondo, specie quello della stampa e dell’informazione in genere e, ahinoi, di Pangloss al servizio dell’industria e della finanza brulicano governi e istituzioni.
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