01/11/2021
Gli “impotenti della terra” in gita
Dopo la gita a Roma, quella a Glasgow. I cosiddetti “potenti della Terra” preferiscono visitare bei posti, mettersi in posa davanti a sfondi affascinanti come la Fontana di Trevi, ma ben poco possono fare.
Il G20 si chiude peggio che con un “nulla di fatto”. Sul piano economico, l’unico comunicato riguarda la “minimum tax” sulle multinazionali al 15%, che in realtà era già stata approvata dal G7 (esclusi Cina, Russia, India, ecc. insomma) e poi in sede Ocse. Qui ci hanno messo la firma i capi di stato o di governo.
In fondo quel 15% di prelievo sui profitti è quasi quello che ha preteso fin qui – tra i paesi europei – l’Irlanda (12%), guadagnandosi la fama di paradiso fiscale. Ora il paradiso fiscale per le multinazionali con fatturato al di sopra dei 750 milioni di euro diventa globale, anche se tutt’altro che effettivo.
Toccherà infatti ai singoli parlamenti nazionali tradurre questo accordo in leggi e non è affatto detto che ciò avvenga senza modifiche anche sostanziali (ci sono multinazionali che fatturano più del Pil di molti paesi, e quindi hanno molte possibilità di “farsi sentire”).
E in ogni caso non hanno sottoscritto l’accordo – già in sede Ocse – parecchi paesi non proprio secondari (il Pakistan, la Nigeria, ecc.), oltre a tutti i paradisi fiscali più noti, caraibici e non.
C’è ancora molto margine e tempo, insomma, perché le multinazionali scelgano sedi diverse da quelle attuali, rendendo di fatto inutile questo “storico” accordo.
La riprova si è avuta del resto qualche giorno fa, con l’Unione Europea al completo che ha ritirato ogni progetto di web tax sui giganti della rete, per non disturbare gli Stati Uniti (in cui sono basate la gran parte di quelle società).
Ma il terreno più evidente, in modo incontrovertibile, su cui il G20 ha alzato bandiera bianca è la lotta al cambiamento climatico.
L’impegno a mantenere l’aumento della temperatura media globale entro 1,5 gradi è per l’appunto solo un “impegno” verbale. Ma la realtà è già molto oltre questo limite, come ricorda il geologo Mario Tozzi, che pure non è noto per l’anticapitalismo:
“Al G20 si accordano per non superare 1,5°C di incremento della T atmosferica entro il 2050. Chi glielo dice che siamo già ben oltre i 2°C di previsione e nessuna misura concreta è in atto? Io dico, ma loro quanto parlano a vuoto?”
Ma in fondo l’impotenza completa su questo fronte viene ammessa, obliquamente, dallo stesso Mario Draghi che – nel definire comunque un “successo” il vertice G20 – ha dovuto precisarne il senso: “siamo riusciti a mantener vivi i nostri sogni”.
Ovvero: “non abbiamo ancora messo nero su bianco che non c’è più niente da fare...”.
Perché di fronte alla realtà di una crisi climatica sempre più veloce e drammatica diventa palese che le chiacchiere infarcite di cautele spese nei vertici mondiali sono appunto solo chiacchiere. Basti pensare che l’obiettivo della completa decarbonizzazione delle economie viene fissato, ma senza data. Vedremo, faremo, ci penseremo...
E dire che tutte le fonti scientifiche danno ormai tempi stretti entro cui i cambiamenti climatici e ambientali diventeranno irreversibili, tanto che se anche si prendessero decisioni drastiche immediate probabilmente non sarebbero sufficienti.
Le ragioni dell’impotenza
Non crediamo affatto che i capi di stato o di governo siano dei cretini, come sembrano pensare leaderini ambientalisti improvvisati (o costruiti a tavolino...). Sono gente furba, preparata, determinata e “cattiva”. Corrotti, spesso, ma non stupidi.
Il problema è che la maggior parte degli Stati, dopo oltre 30 anni di neoliberismo e smantellamento dell’”intervento pubblico nell’economia”, non hanno più alcuno strumento diretto per favorire o ostacolare le scelte delle imprese private.
A maggior ragione di quelle multinazionali, spesso più ricche di molti Stati, e rapidissime nello spostare le proprie attività là dove ci sono condizioni a contorno migliori (salario più basso, regime fiscale di favore, infrastrutture funzionanti, regole ambientali meno restrittive, ecc.).
Gli strumenti a disposizione dei poteri statali sono “indiretti”, quasi al livello della moral suasion, ovvero delle chiacchiere lamentose. Incentivi mirati facilmente aggirabili, regole presuntamente selettive (ogni “punizione” incontra ostacoli tali da renderla inapplicabile), finanziamenti diretti o defiscalizzazioni, ecc.
Fa eccezione la Cina, come scriviamo spesso, uno dei pochi paesi in cui le scelte politiche si impongono anche sulle imprese multinazionali, in virtù non solo della “determinazione” del governo, ma anche grazie alle dimensioni di quel mercato: 1,4 miliardi di produttori-consumatori da cui è stata eradicata la povertà, e che quindi “possono spendere”.
Si può sicuramente dire che anche lì si stia facendo troppo poco e troppo lentamente, ma ci sono alcuni indicatori oggettivi che registrano la portata delle azioni pro-clima: per esempio il numero di brevetti per “tecnologie pulite”, i progetti ambientali finanziati direttamente dallo Stato, ecc.
In generale nel mondo, comunque, la situazione è assolutamente ferma perché i poteri pubblici – che dovrebbero istituzionalmente rappresentare gli interessi collettivi – sono subordinati agli interessi privati di imprese multinazionali e non.
E dunque le rilevazioni preoccupate della comunità scientifica – tolti quei pochissimi venduti che ancora fanno sponda ai “dubbi sul cambiamento climatico”, come peraltro sui vaccini – vengono assunte dal potere politico solo sotto forma di “retorica ambientalista” (green washing, bl-bla-bla), perché mancano gli strumenti (e la volontà politica) per tradursi in azione reale.
Poi, certo, ci sono anche gli “interessi nazionali contrastanti”, la competizione internazionale (o l’iper-competizione, come cominciano a dire alcuni analisti che non sanno parlare di “tendenza alla guerra”), i difetti o le mostruosità dei singoli regimi politici. Ma questi interessi nazionali divergenti (ormai a livello di macro aree economiche) sono solo il modo specifico in cui si traduce quell’impotenza politica a prevalere sull’interesse privato.
Il modo di produzione capitalistico è incompatibile con la continuità della vita su questo pianeta. Ma non cambierà “spontaneamente” neanche davanti a prezzi infinitamente più alti di quelli che già ora si stanno pagando.
I “potenti della Terra” sono solo dei complici, magari “quasi geniali”, di questo meccanismo. Dunque – tranne che nella repressione delle rispettive popolazioni – sono degli impotenti...
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