La multinazionale tedesca Bosch ha fatto sapere che ha intenzione di procedere con il licenziamento di 620 lavoratori dello stabilimento di Bari.
La Bosch produce componenti per automobili ed ha deciso di tagliare migliaia di posti di lavoro, in Italia ma anche in Germania. Il sindacato IG Metall ha affermato che sarebbero circa 3.000 i lavoratori che potrebbero essere licenziati negli stabilimenti di Monaco e Arnstadt.
Alla fine degli anni ’90, la Bosch aveva rilevato a Bari l’impianto della Allied Signal che produceva apparati frenanti per auto. Erano gli anni dello shopping industriale da parte di aziende tedesche in Puglia, spesso usufruendo di congrui finanziamenti pubblici all’investimento da parte di multinazionali straniere.
“Si è svolto ieri l’incontro con il management italiano di Bosch per il sito di Bari. Lo stabilimento pugliese, la cui produzione è concentrata maggiormente su componentistica per motori diesel, è l’unico in Italia a soffrire una crisi accentuata dalla pandemia e dalla mancanza delle forniture che ha fatto crollare ulteriormente il mercato dell’auto in Europa – annunciava la Fiom a novembre tramite una nota stampa. “Le azioni messe in campo fino ad oggi con la diversificazione dei prodotti e l’arrivo di alcune produzioni da altri stabilimenti, per effetto della contrattazione per la solidarietà tra siti, non bastano a scongiurare il rischio di centinaia di esuberi”.
Ma non è la prima volta che la Bosch minaccia i licenziamenti nell’impianto pugliese. Appena quattro anni fa, il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, scriveva che “L’azienda – dopo il tavolo convocato a Roma – ha ritirato la proposta di licenziamenti e si è impegnata a non ridurre l’orario di lavoro e a non derogare al contratto nazionale di lavoro. Saranno così salvaguardate sia l’occupazione e predisposte le condizioni per prospettive future”.
Quattro anni dopo la Bosch torna invece alla carica decidendo di licenziare 620 lavoratori dello stabilimento di Bari.
La Bosch produce componenti per automobili ed ha deciso di tagliare migliaia di posti di lavoro, in Italia ma anche in Germania. Il sindacato IG Metall ha affermato che sarebbero circa 3.000 i lavoratori che potrebbero essere licenziati negli stabilimenti di Monaco e Arnstadt.
Alla fine degli anni ’90, la Bosch aveva rilevato a Bari l’impianto della Allied Signal che produceva apparati frenanti per auto. Erano gli anni dello shopping industriale da parte di aziende tedesche in Puglia, spesso usufruendo di congrui finanziamenti pubblici all’investimento da parte di multinazionali straniere.
“Si è svolto ieri l’incontro con il management italiano di Bosch per il sito di Bari. Lo stabilimento pugliese, la cui produzione è concentrata maggiormente su componentistica per motori diesel, è l’unico in Italia a soffrire una crisi accentuata dalla pandemia e dalla mancanza delle forniture che ha fatto crollare ulteriormente il mercato dell’auto in Europa – annunciava la Fiom a novembre tramite una nota stampa. “Le azioni messe in campo fino ad oggi con la diversificazione dei prodotti e l’arrivo di alcune produzioni da altri stabilimenti, per effetto della contrattazione per la solidarietà tra siti, non bastano a scongiurare il rischio di centinaia di esuberi”.
Ma non è la prima volta che la Bosch minaccia i licenziamenti nell’impianto pugliese. Appena quattro anni fa, il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, scriveva che “L’azienda – dopo il tavolo convocato a Roma – ha ritirato la proposta di licenziamenti e si è impegnata a non ridurre l’orario di lavoro e a non derogare al contratto nazionale di lavoro. Saranno così salvaguardate sia l’occupazione e predisposte le condizioni per prospettive future”.
Quattro anni dopo la Bosch torna invece alla carica decidendo di licenziare 620 lavoratori dello stabilimento di Bari.
*****
Sui licenziamenti alla Bosch qui di seguito un comunicato di Giuliano Granato portavoce nazionale di Potere al Popolo:
BOSCH ANNUNCIA 620 LICENZIAMENTI A BARI!
È questo ciò che succede in un Paese che non ha una politica industriale: le multinazionali vengono, prendono soldi pubblici (molto spesso), poi quando decidono che è ora vanno via, lasciando il deserto.
E i politici piagnucolano.
Ma si fermano a quello, a qualche supplica, alle sceneggiate dello sbattere i pugni sul tavolo.
Perché poi quando si tratta di fare leggi mica ascoltano i lavoratori; assecondano, piuttosto, i desideri delle grandi imprese, come nel caso dell’emendamento governativo sulle delocalizzazioni che serve alle multinazionali e non ai dipendenti.
La verità è che senza politica industriale non si va da nessuna parte.
E politica industriale non sono i 115 miliardi dati alle imprese come incentivi e sconti fiscali alle imprese dall’inizio della pandemia.
Quelli sono regali. Ai più ricchi.
Mentre licenziano lavoratori e lavoratrici e saccheggiano il tessuto produttivo del nostro Paese.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento