“Burocrazia. Il mezzo più razionale che si conosca per esercitare un controllo imperativo sugli esseri umani.” Max Weber.
Max Weber. Economia e società (Wirtschaft und Gesellschaft), 1922 (postumo)
A marzo, l’accordo tra il ministro della Funzione Pubblica, Renato Brunetta (il demolition man della P.A.) e CGIL, CISL e UIL sulla Pubblica Amministrazione che punta dritto all’aziendalizzazione del servizio pubblico ed alla mera colpevolizzazione del dipendenti pubblici italiani, i meno pagati d’Europa.
Ad ottobre, il flop del “Concorso Coesione per l’assunzione di 2.800 tecnici specializzati nelle amministrazioni del Mezzogiorno” (precari), il primo a seguire la formula demenziale del ministro della Pubblica Amministrazione.
A novembre l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del “disegno di legge sulla concorrenza e il mercato”, all’interno del quale viene prevista un’ulteriore spinta verso la privatizzazione dei servizi pubblici locali, stabilendo che esternalizzazione e/o affidamento ai privati siano l’ordinarietà (mentre la gestione diretta dei servizi da parte dei Comuni deve essere “adeguatamente motivata“).
Nello stesso disegno di legge si alleggeriscono i controlli sulle imprese “per favorire la ripresa“, ovvero, si dispone la trasformazione delle ispezioni a sorpresa, temute dalle aziende, in vere e proprie visite di cortesia.
Una vergogna assoluta, nel paese dei record per lavoro nero, morti e infortuni sul lavoro, evasione contributiva e fiscale.
A dicembre la pre-intesa sul nuovo contratto dei dipendenti delle funzioni centrali firmata da governo e dai soliti CGIL, CISL e UIL, che prevede “rientri massivi in presenza” dei lavoratori (la variante omicron era stata segnalata all’OMS dal Sudafrica già nel novembre 2021) ed aumenti irrisori (50 euro netti mensili medi a regime), a fronte di un poderoso balzo in avanti del costo della vita per nucleo familiare previsto nel 2022 fino 1.200 euro a famiglia (dati Nomisma).
Ed ecco il provvedimento che chiarisce, definitivamente, il disegno autoritario del governo di Mario Draghi che mira a realizzare l’asservimento totale agli interessi dei privati della Pubblica Amministrazione italiana: in arrivo aumenti dei già mostruosamente alti stipendi per i massimi dirigenti della Pubblica Amministrazione (quelli di nomina politica che prendono ordini direttamente dai ministri), con lo sblocco del “tetto” di 240mila euro.
Lo stabilisce una norma inserita in extremis dal governo nella legge di bilancio, votata al Senato, che nelle prossime ore verrà approvata in maniera definitiva alla Camera.
Con sentenza n. 124 del 26 maggio 2017, la Corte Costituzionale aveva riconosciuto la legittimità del limite imposto dalla “legge di stabilità” per il 2014, secondo il quale non poteva essere superato il tetto dei 240.000 euro (anche con il cumulo della pensione derivante da gestioni pubbliche) affermando che ”non è precluso al Legislatore dettare un limite massimo alle retribuzioni e al cumulo tra retribuzioni e pensioni nel settore pubblico, a condizione che la scelta, volta a bilanciare i diversi valori coinvolti, non sia manifestamente irragionevole”.
Ma quando si tratta di multinazionali, ricchi e grandi burocrati, non contano più né le sentenze della Corte Costituzionale, né i principi cardini della UE.
Si dà il caso, infatti, che il tetto alle retribuzioni dei manager di Stato e direttori generali salti proprio mentre al livello dell’Unione Europea vengono reintrodotte le condizionalità proprie del MES, che vanno, così, a sommarsi a quelle del PNRR ed ai vincoli ferrei del Fiscal Compact.
Ovvero, fine della “ricreazione” pandemica e ritorno ai dettami draconiani della più feroce austherity. Si, ma solo su lavoratori e pensionati.
D’altronde si sa, l’Unione Europea è una enorme orwelliana fattoria degli animali: tutti sono uguali, ma c’è chi è più uguale degli altri.
Max Weber. Economia e società (Wirtschaft und Gesellschaft), 1922 (postumo)
A marzo, l’accordo tra il ministro della Funzione Pubblica, Renato Brunetta (il demolition man della P.A.) e CGIL, CISL e UIL sulla Pubblica Amministrazione che punta dritto all’aziendalizzazione del servizio pubblico ed alla mera colpevolizzazione del dipendenti pubblici italiani, i meno pagati d’Europa.
Ad ottobre, il flop del “Concorso Coesione per l’assunzione di 2.800 tecnici specializzati nelle amministrazioni del Mezzogiorno” (precari), il primo a seguire la formula demenziale del ministro della Pubblica Amministrazione.
A novembre l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del “disegno di legge sulla concorrenza e il mercato”, all’interno del quale viene prevista un’ulteriore spinta verso la privatizzazione dei servizi pubblici locali, stabilendo che esternalizzazione e/o affidamento ai privati siano l’ordinarietà (mentre la gestione diretta dei servizi da parte dei Comuni deve essere “adeguatamente motivata“).
Nello stesso disegno di legge si alleggeriscono i controlli sulle imprese “per favorire la ripresa“, ovvero, si dispone la trasformazione delle ispezioni a sorpresa, temute dalle aziende, in vere e proprie visite di cortesia.
Una vergogna assoluta, nel paese dei record per lavoro nero, morti e infortuni sul lavoro, evasione contributiva e fiscale.
A dicembre la pre-intesa sul nuovo contratto dei dipendenti delle funzioni centrali firmata da governo e dai soliti CGIL, CISL e UIL, che prevede “rientri massivi in presenza” dei lavoratori (la variante omicron era stata segnalata all’OMS dal Sudafrica già nel novembre 2021) ed aumenti irrisori (50 euro netti mensili medi a regime), a fronte di un poderoso balzo in avanti del costo della vita per nucleo familiare previsto nel 2022 fino 1.200 euro a famiglia (dati Nomisma).
Ed ecco il provvedimento che chiarisce, definitivamente, il disegno autoritario del governo di Mario Draghi che mira a realizzare l’asservimento totale agli interessi dei privati della Pubblica Amministrazione italiana: in arrivo aumenti dei già mostruosamente alti stipendi per i massimi dirigenti della Pubblica Amministrazione (quelli di nomina politica che prendono ordini direttamente dai ministri), con lo sblocco del “tetto” di 240mila euro.
Lo stabilisce una norma inserita in extremis dal governo nella legge di bilancio, votata al Senato, che nelle prossime ore verrà approvata in maniera definitiva alla Camera.
Con sentenza n. 124 del 26 maggio 2017, la Corte Costituzionale aveva riconosciuto la legittimità del limite imposto dalla “legge di stabilità” per il 2014, secondo il quale non poteva essere superato il tetto dei 240.000 euro (anche con il cumulo della pensione derivante da gestioni pubbliche) affermando che ”non è precluso al Legislatore dettare un limite massimo alle retribuzioni e al cumulo tra retribuzioni e pensioni nel settore pubblico, a condizione che la scelta, volta a bilanciare i diversi valori coinvolti, non sia manifestamente irragionevole”.
Ma quando si tratta di multinazionali, ricchi e grandi burocrati, non contano più né le sentenze della Corte Costituzionale, né i principi cardini della UE.
Si dà il caso, infatti, che il tetto alle retribuzioni dei manager di Stato e direttori generali salti proprio mentre al livello dell’Unione Europea vengono reintrodotte le condizionalità proprie del MES, che vanno, così, a sommarsi a quelle del PNRR ed ai vincoli ferrei del Fiscal Compact.
Ovvero, fine della “ricreazione” pandemica e ritorno ai dettami draconiani della più feroce austherity. Si, ma solo su lavoratori e pensionati.
D’altronde si sa, l’Unione Europea è una enorme orwelliana fattoria degli animali: tutti sono uguali, ma c’è chi è più uguale degli altri.
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Se 240.000 euro vi sembran pochi
Se 240.000 euro vi sembran pochi
Nelle pieghe della legge di bilancio, sotto le quali scopriremo un poco alla volta regali e favori sfacciati assieme ad altre ingiustizie, il governo Draghi ha inserito una norma a favore degli alti dirigenti delle amministrazioni e delle aziende pubbliche.
I loro emolumenti erano stati bloccati a 240.000 euro all’anno e i manager pubblici soffrivano di questa discriminazione rispetto a quelli privati, che più licenziano più guadagnano. Di fronte al grido di dolore di questa categoria oppressa di fronte al carovita, Draghi non è stato insensibile e ha tolto il tetto alla retribuzione.
Ora i manager pubblici potranno guadagnare più di 20.000 euro al mese. Nello stesso tempo coloro che 20.000 euro, o anche meno, li prendono in un anno vedranno i loro salari sprofondare.
È la spirito di classe di Mario Draghi, lo stesso in base al quale egli, andato in pensione a 59 anni, ci manda gli operai a 67. Ed è la politica reale, oltre le chiacchiere, del #governodeipeggiori.
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