Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

24/12/2021

Cile - Un "pinguino" alla Moneda

Un no è un no. In un’altra svolta della storia, il Cile domenica ha respinto nuovamente, e in modo clamoroso, il pinochettismo per abbracciare invece la speranza di un cambiamento sociale. Illusione, non paura. Alberi, non fossati.

Gabriel Boric, il giovane nativo di Magallanes che è entrato nell’arena politica con il movimento dei pinguini[1] nelle lotte studentesche del 2011, portabandiera della coalizione Apruebo Dignidad, ha superato José Antonio Kast di quasi il 12%, quasi un milione di voti di differenza. Ha vinto in 11 delle 16 regioni del paese e ha raccolto quasi 3 milioni di voti in più rispetto al primo turno, il doppio della somma delle liste progressiste.

Se il primo turno è stato segnato da un gran numero di persone che non hanno potuto votare a causa della chiusura dei seggi elettorali, questa volta il problema è stato l’accesso ai trasporti pubblici. Sistematicamente, in molti centri urbani (dove il voto a Boric era potenzialmente più forte), c’era mancanza di autisti e gli autobus vuoti aspettavano ai terminal: cosa che è stata denunciata da sindaci, governatori, autisti, elettori e persino dal Servizio Elettorale.

Ma, come in tante altre occasioni, i comuni e i cittadini hanno fatto tutto il possibile per organizzare soluzioni, come andare a prendere con i loro veicoli i vicini che aspettavano alle fermate degli autobus affollate, per portarli ai seggi elettorali.

Anche con questo grave ostacolo, la vittoria di Boric è un accumulo di record. L’affluenza (55,63%, con quasi 8,5 milioni di votanti) supera quella dell’ultimo plebiscito del 2020, rendendola l’elezione con la più alta affluenza di votanti da quando nel paese il voto è diventato “volontario” ossia facoltativo.

Inoltre, è la più alta affluenza di tutte le elezioni tenute in Cile come numero totale di votanti, superando anche quella del plebiscito del 1988 che disse “No” alla continuità di Pinochet.

Gabriel Boric è a tutt’oggi il presidente eletto con il maggior numero di voti a suo favore nella storia del paese (più di 4,5 milioni), e – a soli 35 anni – anche il suo più giovane presidente.

Di fronte ancora una volta alla scelta “tutto o niente”, tra andare avanti o tornare indietro, i cileni hanno messo da parte il disinteresse per le elezioni che avevano mostrato nell’ultimo decennio per arginare l’onda reazionaria che era emersa sulla scia della spinta popolare.

Nel suo primo discorso come presidente eletto, davanti ai viali affollati dove la gente ha celebrato la vittoria, Boric ha ringraziato molte persone. Ai diversi popoli del Cile, ai bambini che “ci hanno riempito di disegni che esprimevano con innocenza il Cile a cui aspirano, un Cile verde e amorevole, che si prende cura della natura e degli animali, e che recupera le piazze dei parchi per giocare, dove i padri e le madri avranno più tempo per stare con loro e nonni e nonne non saranno più soli“.

Ha ringraziato le donne, i dissidenti, i popoli nativi. Ha anche ringraziato tutti gli altri candidati. “Sì, anche José Antonio Kast“, ha aggiunto tra i fischi, “perché la democrazia è costruita da tutti noi“.

Ha rifiutato le trincee, la violenza nella politica e nella società, e ha promesso di includere le piccole e medie imprese, i lavoratori e il mondo degli affari nel suo progetto.

Mentre cercava di leggere le sue carte, ha dovuto interrompersi in diversi momenti e improvvisare per rispondere ai massicci canti che riceveva. Al canto “Liberate i prigionieri che hanno lottato“, ha risposto: “Ho parlato con le famiglie e siamo stati molto chiari su quello che dobbiamo fare“.

Ha concluso cantando “Giustizia, verità, no all’impunità“, spinto dal suo pubblico dopo aver promesso risarcimenti per le vittime delle violazioni dei diritti umani “di tutti i tempi“.

Solo pochi secondi dopo, la folla lo ha interrotto di nuovo, ripetendo “Mai più AFP“, al che lui ha insistito che avrebbe perseguito un sistema pubblico, senza scopo di lucro. Ha anche passato in rassegna le altre lotte sociali relative agli alloggi, all’istruzione, al lavoro dignitoso, al cambiamento climatico, promettendo progressi graduali in tutti i campi. “Con noi, il popolo entrerà nella Moneda“.

E fedele a quella che è stata la sua campagna, ha difeso la democrazia, quella in cui tutti i settori si siedono per parlare.

Di fronte alla paura per un ritorno al settembre del 1973 e alla rabbia che ancora persiste dall’ottobre del 2019, Boric ha riaffermato il suo impegno per quel novembre di dialogo del 2019 in cui, nonostante le critiche, ha incontrato tutti i partiti politici per elaborare un percorso costituzionale con la sua firma nel tentativo di porre fine alla guerra sociale scoppiata, due anni fa. “Per nessuna ragione un presidente dovrebbe dichiarare guerra al suo stesso popolo“.

“Il fosso”, sconfitto?

La campagna per questo secondo turno aveva lasciato immagini contrastanti. Mentre 20 giorni prima delle elezioni, Kast si precipitava negli Stati Uniti per incontrare Marco Rubio e grandi uomini d’affari, Gabriel Boric faceva bagni di massa in tutto il paese.

Da un lato, si è presentato come un giovane istruito e responsabile, un “genero ideale”, rappresentante di un Cile sofferente, ma diverso e creativo, con il sogno di creare una società migliore attraverso cambiamenti graduali, con uno spirito democratico e di dialogo in cui adulti e giovani contribuiscono con la loro visione.

Dall’altro Kast palesava un progetto opposto. Quella di un nazionalista con una visione monoculturale, desideroso di un autoritarismo e di un ordine che sembrava superato, circondato da figure omofobe, sessiste e razziste.

Uno che dipingeva un paese che non assomigliava affatto a quello di Boric: un Cile di progresso attaccato da malviventi, devastato da flussi incontrollati di immigrati, minacciato dall’audacia di “comunisti in incognito” che sarebbero venuti a distruggere l’economia, un paese di “criminali e terroristi” mapuche.

E nonostante le loro posizioni antagoniste, entrambi i candidati hanno cercato di virare verso il centro, facendo appello alla classe media, come se cercassero rispettivamente di conquistare l’elettorato che li ha respinti.

Mentre Boric ha riempito il suo discorso di proposte contro il traffico di droga, la criminalità e il problema dell’immigrazione, e si è spinto a difendere l’esigenza di un numero maggiore di carabineros per le zone popolari dove mancano (mandando nel cassetto la proposta di rifondare l’istituzione), Kast è stato costretto ad ammorbidire gli aspetti più criticati del suo programma per conquistare gli ultimi aderenti della destra liberale di cui aveva bisogno.

Ha promesso di mantenere il ministero delle donne, si è scusato pubblicamente con coloro che potrebbero essersi sentiti minacciati, e ha cambiato il suo tono sulla diversità sessuale e l’ambiente. Ma la sostanza del suo discorso non ha subito un cambiamento radicale.

Durante un dibattito in cui un giornalista ha paragonato la sua proposta di aumentare i poteri del presidente negli stati di emergenza per perseguire gli attivisti con le tecniche della DINA e del CNI, il candidato non ha nemmeno tentato di negare la somiglianza.

Sia lui che i suoi sostenitori hanno rapidamente optato per la strategia delle fake news nel tentativo di screditare il proprio rivale, seguendo il copione di Trump o Bolsonaro, insistendo su accuse non provate sulla presunta tossicodipendenza di Boric.

Sui social network circolavano video di sparatorie in altri paesi che venivano presentati come fossero accaduti in Cile. Gli elettori di Kast hanno disinformato la gente nelle zone rurali (“Boric metterà fuori legge le chiese, darà case agli immigrati...“).

Nei tesi dibattiti, Kast ha accusato Boric di abusi sessuali e di incontri con terroristi, facendo sì che le gli insulti dominassero le reti molto più del “dibattito di idee” auspicato dal candidato di Apruebo Dignidad.

Questo, mentre i media scoprivano gli stretti legami tra il padre di José Antonio Kast e il nazismo. La tensione ha raggiunto anche le strade, dove ci sono stati scontri tra i sostenitori di Boric e Kast in Plaza Dignidad, con i carabineros che hanno esplicitamente difeso e sostenuto i secondi.

Tutta questa strategia e questi discorsi possono aver ulteriormente rafforzato la campagna “antifascista” che aveva dilagato nei settori attivi durante la rivolta, e che temeva un ritorno al passato. Ma forse il vero colpo per Kast è stato qualcos’altro.

Il governo di Piñera ha finito per mostrare il suo pieno appoggio a Kast. Tra l’altro, integrando nel suo comando figure come Paula Daza, sottosegretario alla salute pubblica nel governo di Piñera.

Durante l’ultimo dibattito, Kast ha difeso ad oltranza il modello AFP, che negli ultimi anni è stato messo in discussione trasversalmente da gran parte della popolazione, e ha criticato la politica di ritiro del 10%, qualcosa che i cileni di tutte le persuasioni ideologiche avevano ottenuto con pressioni e cacerolazos.

Nell’ultimo dibattito, è sembrato persino imitare il presidente uscente, riducendo la massiccia mobilitazione sociale del 2019 e la proposta di una nuova costituzione all'opera di “settori radicali“.

La famosa consultazione online del Partito della Gente (PDG), di Franco Parisi, per scegliere quale dei due sostenere è riuscita ad attirare solo la partecipazione di 20.000 persone. In precedenza, nel loro programma Bad Boys, i membri del partito avevano sottolineato la paura dei conflitti sociali che una vittoria di Kast avrebbe prodotto, ma anche criticato duramente il programma economico di Gabriel Boric.

Anche con le voci di un possibile incontro negli Stati Uniti e un accordo segreto tra i due candidati, l’appoggio ufficiale di Parisi a Kast sarebbe arrivato solo all’ultimo momento.

In base al risultato, non sembra aver avuto un grande impatto. Forse perché altre figure del nuovo partito erano già andate avanti e sostenevano la neutralità. Forse gli elettori di Parisi, che sono andati per il PDG con un sentimento “antipolitico” e “antipartitico”, non erano disposti a permettere la vittoria di qualcuno che veniva a simboleggiare una continuazione dell’attuale governo Piñera, che la maggior parte di loro aborriva. Antofagasta, la loro principale fonte di voti, è andata in modo schiacciante per il candidato di Apruebo Dignidad.

Anche se i sondaggi mostravano una situazione molto equilibrata tra i due candidati, Kast rimaneva molto indietro rispetto a Boric. Ma in nessun momento sembrava preoccupato. Quando si è trattato di votare, ha insistito su una frase che aveva ripetuto durante tutta la campagna: “Vincendo, vinco, e perdendo, vinco comunque“.

Potrebbe non sbagliarsi di molto. Il suo discorso è penetrato profondamente nella società cilena. La vittoria di Boric è indiscutibile, ma non fa sparire il 45% degli elettori che hanno preferito come presidente qualcuno denunciato come figlio di un nazista e dichiaratamente pinochettista e autoritario.

Lungo la strada, è riuscito a spogliare le forze conservatrici tradizionali del Cile che per anni avevano mostrato un volto di “moderni liberali”, un travestimento che è scomparso quando si sono schierati tutti dietro il candidato del Fronte Cristiano Sociale. La sua rapida accettazione della sconfitta, il messaggio di “non preoccupatevi, andrà tutto bene” ai suoi elettori, e l’incontro cordiale che ha avuto in seguito con il suo contendente, indicano un cambiamento di strategia verso il centro per il futuro.

E con l’attuale distribuzione delle forze nel Congresso, con un pareggio tecnico tra conservatori e progressisti, i primi hanno una via aperta per ricomporre lo spazio di centro-destra, non appena finiranno di tirare fuori i coltelli per definire se Kast conserverà la leadership o meno.

La spaccatura è ancora lì, e l’élite, a differenza dei settori vulnerabili, ha sempre pazienza, un sacco di tempo per pianificare il suo ritorno e non ha bisogno di nessuno per difendere i suoi interessi.

La cima, il tronco e le radici dell’albero

Un anno e mezzo fa, il giovane candidato di Magallanes era nel suo peggior momento. Solo in extremis è riuscito a raccogliere le firme con cui si è presentato alle primarie di Apruebo Dignidad, dopo che la deputata Pamela Jiles lo aveva invitato ad “andarsene a casa” e ha assicurato che il popolo “lo detestava“.

Il Partito Comunista immaginava una vittoria sicura con un candidato che era in testa nei sondaggi. La vecchia Concertación lo considerava con sospetto, con il broncio per l’enorme quantità di critiche ricevute dai frenteamplistas negli ultimi anni.

Per la destra, era un altro “comunista travestito”. E anche i giovani della rivolta lo stavano prendendo in giro per la sua partecipazione all’Accordo di pace e alla legge anti-barricate.

Tutti lo hanno sottovalutato. Boric ha raccolto le firme, ha sconfitto Jadue, è arrivato al secondo turno per affrontare il candidato rifiutista e oggi è il presidente più votato nella storia del paese.

Di fronte a una gara in salita dopo il risultato del primo turno, il suo progetto di raggiungere la Moneda è stato attuato in modi diversi. Boric ha prima fidelizzato l’appoggio dei perdenti: il Partito Socialista, Marco Enríquez Ominami e i democristiani. Per questi ultimi, ha redatto una lettera di mea culpa per le sue critiche passate, che è stata letta dal presidente del partito alla riunione nazionale prima di appoggiarlo.

Con le braccia della DC spalancate, e numerosi profili tecnici moderati che approdano al comando del frentamplista, le ultime barriere della vecchia socialdemocrazia stavano cadendo, e tutto il centrosinistra puntava su di lui come candidato.

Anche l’ex presidente Ricardo Lagos ha dato segni pubblici di sostegno e ha cercato di ammorbidire le preoccupazioni della stampa spagnola, interpretando la situazione attuale come un cambio generazionale nel progetto che un tempo guidava.

L’immagine di unità era tale che, più che la vendetta riluttante di un’opposizione sconfitta, sembrava la pacca sulla spalla dei genitori che ammettevano che era ora che i figli prendessero il sopravvento.

Il modo fragoroso in cui gli attivisti del Frente Amplio hanno celebrato l’appoggio ricevuto da Michelle Bachelet nell’ultima settimana è stata la ciliegina sulla torta della trasformazione discorsiva che la coalizione ha subito, il cui germe è iniziato nelle proteste studentesche della “rivoluzione pinguina“, proprio in opposizione al mercantilismo dei settori pubblici che la Concertación ha portato avanti dopo la dittatura.

Allo stesso tempo, nelle strade, attenti all’astensione che aveva segnato il primo turno, la militanza è stata lanciata in uno sforzo accelerato: maree di meme che invitano al voto sulle reti sociali, video che ricordano la lotta sociale degli ultimi anni, eventi convocati da Arica a Punta Arenas.

Guidati da Izkia Siches, ex portavoce dell’Associazione Medica e principale volto dell’opposizione della società civile alla politica sanitaria di Piñera, che Boric ha scelto come capo della campagna, i sostenitori sono andati per le strade in una massiccia campagna porta a porta per convincere gli elettori.

A questo movimento si sono uniti gradualmente i sindacati, come il Collegio degli insegnanti, i lavoratori del rame, le organizzazioni sociali territoriali, le organizzazioni per i diritti umani, le cucine comuni, tutti i collettivi che avevano partecipato all’epoca alla rivolta sociale per una società più giusta e che ora temevano la persecuzione promessa da Kast.

Anche personaggi politici che fino a pochi mesi fa si erano posizionati in opposizione a Boric da sinistra – come Jorge Sharp (sindaco di Valparaíso), o Cristian Cuevas (un sindacalista che è diventato, per qualche giorno, il candidato della Lista del Popolo) – si sono uniti all’ondata di cittadini che hanno capito che il centro non era sufficiente, e hanno chiesto attivamente di sostenere la sua candidatura.

Boric ha ricevuto un appoggio esplicito anche da figure importanti della Convenzione Costituzionale che non avevano precedentemente espresso sostegno per nessun candidato, come la machi Francisca Linconao e la presidente Elisa Loncon.

Il 10 dicembre, giorno dei diritti umani, Boric ha finalmente abbracciato Fabiola Campillai e Gustavo Gatica, sigillando così l’alleanza definitiva con “la strada”.

In un’ondata di adesioni e azioni spontanee, cresciute come il maremoto della campagna per il plebiscito costituzionale, il giovane di Magallanes ha ottenuto ciò che sembrava impossibile fino a pochi mesi fa: unire a sostegno della sua candidatura tutto il “mondo di Apruebo” che, nel 2020, si è espresso a favore di una nuova costituzione e di una nuova direzione del paese.

Dai comunisti, passati in secondo piano dopo aver perso le primarie, ai membri dell’ex Lista del Popolo e altri volti dell’ottobrismo, ai partiti della Concertación, compresi i democristiani, così come le organizzazioni sociali e i cittadini comuni che da anni si battono per cambiare il modello economico e sociale dalla strada, tutti festeggiano oggi la sua vittoria, ancora una volta, al grido di “Il Cile si è svegliato”, perché la vittoria appartiene anche a tutti loro.

Un ponte per il divario

In termini percentuali, i risultati sono quasi al millimetro simili a quelli del plebiscito del 1988 che disse “No” a Pinochet. E in effetti, questo secondo round è stato definito negli stessi codici e con una retorica molto simile.

All’epoca, la Concertación optò per uno slogan ottimista: “La alegría ya viene“, di fronte al caos promesso dalla dittatura se il popolo avesse votato contro il generale. Nel 2021, Boric e il suo comando hanno optato per uno slogan simile: “Que la esperanza le gane al miedo“. Eppure, la paura dell’altro è stata un elemento chiave durante tutta la campagna.

Il risultato di queste elezioni è, soprattutto, una vittoria generazionale. A poco a poco, negli ultimi mesi, tutte le vecchie figure della politica cilena hanno accettato e salutato, una dopo l’altra, il candidato presidenziale 35enne che avevano rifiutato così tanto.

L’ultimo di loro, quando il risultato era già previsto e persino Kast ha riconosciuto la sua sconfitta, è stato Sebastián Piñera. Il presidente uscente si è congratulato con lui, gli ha dato qualche consiglio e Boric, prima di salutare, ha risposto: “Spero che faremo meglio“.

Il Cile sembra avvicinarsi a una seconda transizione. La prima, come ha chiarito lo sfogo sociale (“La alegría nunca llegó“), è stato incompleta nonostante Pinochet abbia lasciato la Moneda.

Sarà la transizione buona? Arriverà la gioia questa volta? Certamente, alcune cose sono cambiate. La Convenzione costituzionale, ormai sana e salva, promette una nuova legge fondamentale più in sintonia con le molteplici sensibilità del paese, piuttosto che rispondere unicamente agli interessi della minoranza che controlla le leve economiche della nazione.

Ma allo stesso tempo, il Congresso agirà come un freno alle ambizioni di Boric e del campo popolare. Divisa in due, la nuova composizione della camera legislativa significa che ogni nuova legge dipenderà da ardui negoziati, e il Senato sarà dominato da un polo conservatore che, come la storia recente ha dimostrato, mostrerà furiosamente i denti ogni volta che si sentirà messo all’angolo.

Il giovane presidente dovrà navigare in un difficile equilibrio, con una forza di polizia che è arrivata ad essere apertamente simpatetica con i postulati di Kast, un apparato mediatico contro di lui, una complessa situazione economica post-pandemia, un conflitto aperto con l’Araucanía (la regione dove Kast ha trionfato), e un settore conservatore che ha tolto la maschera moderata per abbracciare l’agenda dell’estrema destra internazionale.

Dall’altra parte, sarà sotto la pressione di un movimento popolare e di strada che è stato fondamentale per la sua vittoria, che è germogliato dai tradimenti della Concertación e che sarà molto attento a che questa volta le promesse siano mantenute.

Boric dovrà interpretare questo campo popolare in un dialogo fuori dai corridoi del palazzo, poiché le istituzioni continuano ad avere pochi interlocutori, a parte Fabiola Campillai.

I due universi ai quali il nuovo presidente chiede collaborazione, l’élite che resiste al cambiamento e la strada ribelle che lo richiede, non sono vicini a scomparire, né a fare pace.

Gabriel Boric sembra fiducioso nella possibilità di far dialogare una potente minoranza che era disposta a cavare gli occhi a centinaia di suoi concittadini per fermare la loro ribellione, e un popolo martoriato, ora consapevole della sua forza, che non vuole fare un solo passo indietro.

Le chiavi del futuro saranno su questa linea: il suo governo sarà in grado di rispondere alle enormi illusioni che è riuscito a risvegliare? Che rapporto stabilirà con la strada che sembra voler placare? Cercherà di incorporarla nel suo progetto di confronto con la destra o cercherà di portarla alla moderazione?

Quanto sarà disposto a concedere per consolidare il suo governo di fronte al boicottaggio conservatore? E, soprattutto, quanto sarà in grado di mantenere una via di mezzo con i piedi su entrambi i lati della spaccatura sociale mentre cerca di ricucire ferite recenti e vecchie che si sono incancrenite per decenni?

Il nuovo capitolo di questa difficile e affascinante battaglia che il popolo cileno sta conducendo da due anni (o 30, o anche 50) è appena iniziato.

Note:

1) Pinguini in riferimento all’uniforme scolastica cilena.

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento