Ormai è evidente che il governo, che non ha potenziato affatto il sistema sanitario esistente, non riesce a fare fronte alla prevedibile quarta ondata di Covid.
La vergognosa logica di dover “convivere con il virus”, come se nulla fosse accaduto in questi ventidue mesi, e quindi dichiarare periodicamente che “siamo tornati alla normalità”, sta rivelando come le classi dirigenti e la classe dominante nulla hanno appreso dalla dolorosa lezione della pandemia.
Si trastullano con i dati sul Pil e una ripresa economica che però – guidata dai consueti criteri liberisti – rischia di accentuare ancora di più le disuguaglianze sociali appena gratti un po’ sotto la superficie dei provvedimenti adottati e di quelli in programma.
Il vulnus più doloroso resta quello della sanità. Nonostante le falle messe in evidenza in questi mesi, il governo ha preferito investire solo sulla campagna vaccinale e nulla sul ripristino della sanità territoriale.
Di fronte alla diffusione dei contagi siamo tornati alla situazione dello scorso anno, in cui l’assistenza sanitaria domiciliare è inesistente e gli ospedali fanno barriera per evitare di implodere a causa dei migliaia di ricoveri, sia per Covid sia per le patologie di sempre. Il problema era ed è rimasto quello.
Lo smantellamento della sanità territoriale e di ogni strutture intermedia tra il domicilio e il pronto soccorso già riversava su ospedali al collasso la “normalità”. Inevitabile che un’emergenza pandemica fiaccasse a colpi di maglio strutture già in serissime difficoltà.
Il governo Draghi – perché occorre riconoscere che persino Conte, in qualche modo, aveva provato a fare qualcosa di diverso – si è mosso in totale continuità con la visione neoliberista dei servizi pubblici, rimuovendo ogni serio e congruo investimento sulla sanità per dotarla di risorse che andassero anche oltre l’emergenza pandemica.
Al contrario ha investito solo sulla campagna vaccinale smantellando invece quella già debole sul tracciamento (i tamponi).
I risultati sono adesso sotto gli occhi di tutti. Da molte regioni – e con la ricca Lombardia di nuovo a fare “malacronaca” – arrivano notizie sul collasso del sistema dei tamponi.
La super ondata di casi Covid sta infatti mettendo in ginocchio il sistema di tracciamento. In molte ASL, per i test prescritti dal proprio medico curante, c’è l’attesa (minimo di un’ora) davanti al computer per cercare di afferrare una prenotazione e poi altrettanto in coda al drive in o ai centri.
La corsa al test molecolare, da parte di chi presenta dei sintomi riconducibili al virus, di chi ha avuto un contatto stretto con un positivo nei giorni precedenti, o anche solo da chi sta cercando di passare queste feste prendendo tutte le precauzioni per evitare di infettare amici e parenti, non accenna a fermarsi e proseguirà fino a quando i contagi giornalieri non inizieranno a scendere.
Inoltre le restrizioni per i non vaccinati hanno aumentato da settimane la domanda di tamponi per potersi recare al lavoro.
“La situazione dei tamponi è ingestibile, davanti alle farmacie ci sono lunghe code“ denuncia il presidente dell’Ordine dei medici Roberto Carlo Rossi. “Questo malfunzionamento non solo crea grandi difficoltà ai medici, di tempo e di risorse, ma li rende anche colpevoli di fronte ai pazienti, aumentando il contenzioso con loro“. Se n’è avuta prova all’ospedale San Carlo di Milano in questi giorni.
A chi fa i tamponi perché non vaccinato in questi giorni si sono aggiunti coloro che devono prendere treni o aerei, chi ha voluto essere prudente in vista delle feste in famiglia anche se vaccinato e poi chi è venuto a contatto con un positivo.
Poi il governo pretende il super greenpass con tampone molecolare, mentre i medici dello Spallanzani mandano a dire che il “molecolare va fatto solo se si devono prendere decisioni cliniche per persone ad alto rischio“.
Non solo. L’aumento dei contagi costringe decine di migliaia di persone alla quarantena in casa, ma siamo di nuovo a “tachipirina e vigile attesa”, nonostante i vaccini stiano contenendo i numeri dei decessi e dei ricoveri in terapia intensiva.
Le ambulanze – poche – arrivano solo se i parametri del malato sono oltre il limite dell’ossigenazione. Visite o terapie a domicilio non sono previste (do you remember le famose “Usca”? ndr) e l’accettazione negli ospedali diventa caotica, soprattutto in quelli dove non sono previsti i “percorsi Covid”.
I soli centri che si sono riempiti di medici e infermieri sono quelli vaccinali, ma sulle ambulanze, nei pronto soccorso e nelle corsie si sta ancora come prima del Covid, spesso con contratti a tempo che vengono revocati appena il governo e il Cts dichiarano che siamo “tornati alla normalità”, ben sapendo o ignorando che stiamo facendo i conti con un virus di cui le cose che non si conoscono sono ancora più di quelle che si conoscono.
Si è andati a tentoni per più un anno ed era forse in parte inevitabile, ma non aver voluto apprendere nulla dall’esperienza pandemica ormai sta diventando criminale.
Affrontare una pandemia avendo in mente solo il PIL non è più accettabile. Questo non è il “governo dei migliori”, ma un governo di impostori.
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