Arrivano strani messaggi, a tarda sera. Tipo “Mario Draghi legge Contropiano”. Un compagno e un amico che si complimenta, sul filo dell’ironia, per le “previsioni” illustrate in qualche articolo dei giorni scorsi.
In effetti l’auto-candidatura di SuperMario al Quirinale non ci ha colto di sorpresa, se non nella forma davvero strafottente con cui è stata avanzata.
Che il lavoro di questo governo fosse sostanzialmente giunto a un punto di non ritorno era chiaro da qualche giorno. Gli inciampi nella minutaglia del governare quotidiano, tra pretese senza ambizioni dei “partiti” e dei “portatori di interessi”, l’esplodere dei contagi grazie a una “normalità irreversibile” che proprio Lui aveva voluto intestarsi, ecc., stavano lì a dimostrare che continuare a presidiare Palazzo Chigi era una fatica di Sisifo che poteva solo logorare anche “il migliore”.
Non che quelle forze sbrindellate e senza un disegno potessero davvero cercare delle alternative o pretendere diritto di parole sulle decisioni più rilevanti. Lo aveva messo in chiaro da mesi, quando su una manovra che pianifica investimenti per decine di miliardi Draghi ha fissato in appena 600 milioni il “cortile di gioco” per gli eterni appetiti clientelari.
Una “paghetta” per adolescenti un po’ scapestrati.
Ieri, spiegando le ragioni della sua auto-candidatura, è stato ancora più esplicito: “È essenziale che la legislatura vada avanti fino al suo termine naturale per continuare l’azione di contrasto alla pandemia, di rilancio della crescita, l’attuazione del PNRR“. Ovvero il “piano” con cui “abbiamo creato le condizioni perché l’operato del governo continui indipendentemente da chi ci sarà“.
Parole abituali, per Lui, che ricordano quelle sul “pilota automatico”, pronunciate da presidente della Bce una volta approvati il Fiscal Compact, il Six Pak e il Two Pack (i trattati europei con cui viene vincolata passo per passo, e contenuto per contenuto, la formulazione dei “piani di stabilità” di tutti gli Stati membri della UE).
La strada è insomma tracciata, i vincoli fissati e controfirmati (mentre qui tutti si occupavano di “no vax” e green pass). Niente e nessuno, men che mai quelle bande di squinternati che fingono di avere in testa “programmi politici diversi tra loro”, può più deviare il corso delle decisioni dello Stato. Sottovaluta forse l’incazzatura popolare, ma per ora Lui e i suoi colleghi possono stare abbastanza sereni.
A questo punto, per governare al meglio il corso strategico delle “riforme”, da qui alla fine degli Anni Venti, molto meglio che SuperMario vada al Quirinale, sedendosi sul trono da cui controllare l’operato dei successori.
Un po’ come avevano già fatto Napolitano e Mattarella, ma con poteri superiori che richiederanno – inevitabilmente – una conferma tramite la modifica anche formale della Costituzione.
La forma strafottente con cui affronta il passaggio dà la misura del rovesciamento istituzionale che deve essere sancito. Giustamente – una volta tanto – persino Marco Travaglio ha colto l’essenziale: “Più che un nonno al servizio delle istituzioni, Draghi vuole le istituzioni al servizio del nonno”.
Comprensibile questa semplificazione, per un liberale neoliberista come lui. Ma noi non abbiamo mai visto la Storia come una successione di “personalità rilevanti”, ma come risultato delle scontro tra le classi, e tra le “istituzioni” che queste si danno (partiti, associazioni, sindacati, ecc.).
Dunque è bene – anzi: indispensabile – vedere quale “classe” ha espresso questo “nonno” e quali altre classi abbiano prodotto quelle miserie che si proclamano “partiti politici” in questo Parlamento.
È un’analisi che abbiamo già proposto, e che ora – semplicemente – viene confermata dai fatti. Sta venendo a soluzione istituzionale il pluridecennale scontro tra “la centralità del grande capitale multinazionale (la ‘borghesia europea’ propriamente detta) e gli interessi della piccola e media borghesia ‘nazionalista’ per debolezza”.
Draghi ha ipotecato brutalmente il trono del Quirinale, chiarendo che “il presidenzialismo” da decenni sbandierato anche dai “piccoli nazionalisti di destra” non era e non è affatto in contraddizione “valoriale” con le esigenze del grande capitale multinazionale.
Lo scontro è su quali interessi comandano, in un regime presidenziale. E di certo non possono essere quelli di contoterzisti, professionisti, ristoratori, albergatori, gestori di discoteche o stabilimenti balneari.
Può sembrare una scommessa audace, agli occhi di chi crede davvero che questi “partiti” possano imbizzarrirsi e sbalzare di sella “il migliore”, all’atto del voto in Parlamento. Ma se si guarda alle figure sociali rappresentate da quei “partiti”, e non alle facce sbraitanti dei sedicenti leader, si vede chiaramente che non c’è trippa per gatti.
Nessuna di quelle figure sociali può permettersi un ritorno dello spread a 6-700 punti, il blocco dei prestiti dell’Unione Europea, la speculazione dei mercati sui titoli di stato, i ricatti della Commissione, le vendette e le scorrerie di Germania e Francia su ciò che resta del patrimonio industriale italiano, ecc.
In un regime presidenziale dominato dal grande capitale non c’è spazio per l’antica dialettica politica basata sulla mediazione tra interessi sociali diversi. Si impone la logica della governance, sul modello aziendale, anzi della grande finanza e delle banche. Dove si impone la propria volontà tramite il debito e i prestiti, non tramite il confronto delle “opinioni”.
La formula della politica futura – quella che dovrà assecondare il “pilota automatico” rappresentato dal PNRR – è già fissata dallo stesso Draghi: “Chiedo alle forze politiche se è immaginabile una maggioranza che si spacca sull’elezione del presidente della Repubblica e poi si ricomponga magicamente quando è il momento di sostenere il governo”.
Si può tradurre in modo più greve, certamente: non contate niente, pensate ad obbedire e basta.
Il popolo – lavoratori, pensionati, precari, disoccupati, studenti, ecc. – è calcolato ancor meno. Sarà il caso di prenderne atto, e costruire una rappresentanza sociale, sindacale e politica vera. Ossia indipendente ed opposta a tutta questa merda reazionaria. E farsi sentire, di nuovo e davvero.
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