di Gioacchino Toni
Telefoni e orologi smart, abiti e accessori smart, elettrodomestici e abitazioni smart, mezzi di locomozione e persino intere città smart; la realtà contemporanea pare attraversata da una generale promessa "smart" ma, viene da domandarsi, tale contesto di oggetti smart presuppone un’umanità altrettanto smart?
Le innovazioni digitali permettono di rendere gli oggetti interattivi in ogni loro aspetto, capaci di inviare e ricevere informazioni, di monitorare, di decidere e dare istruzioni. Di “Internet of things” (IoT) ha parlato per la prima volta Kevin Ashton attorno al cambio di millennio riferendosi all’idea di connettere macchine al web in modo tale da permettere scambi di informazioni tra macchine ed esseri umani. IoT sta indubbiamente trasformando le vite degli esseri umani, modificandone le abitudini e il modo di relazionarsi al mondo.
Un’utile e sintetica mappatura del fenomeno IoT in lingua italiana è offerta dal volume di Stefano Za, Internet of Things. Gli ecosistemi digitali nell’era degli oggetti interconnessi (Luiss University Press, 2021) uscito nel 2018 e giunto oggi a una seconda edizione aggiornata all’avvento del 5G, in cui l’autore traccia l’impatto degli “oggetti digitali” sulla vita degli esseri umani.
Visto che sin dal titolo viene fatto riferimento agli ecosistemi digitali, in apertura di volume l’autore tratteggia una definizione di essi. In generale con ecosistema si intende un insieme di componenti, viventi e non, in grado di influenzarsi vicendevolmente modificando l’ambiente in cui si trovano a operare formando così un unico sistema delineato. Nello specifico, un ecosistema digitale è costituito soprattutto, ma non solo, da “artefatti digitali”. Tale tipo di ecosistema «con le sue componenti e le loro interazioni, ha sia un’entità fisica (tradizionale/materiale) sia un’entità digitale (virtuale), racchiudendo le peculiarità di ciò che viene definito sistema cyber-fisico» (p. 11). Gli elementi smart costituiscono una componente importante di tali ecosistemi digitali e rientrano in quell’ambito di IoT in cui gli oggetti sono in grado di interagire tanto con altri oggetti o macchine quanto con esseri umani attraverso Internet.
Dopo aver ricostruito i passaggi storici dello sviluppo di Internet, Za si sofferma sulla nascita del fenomeno IoT: «una rete di oggetti interconnessi tra loro capaci di raccogliere e scambiare informazioni attraverso l’uso della rete, di Internet» (p. 33). IoT, sostiene lo studioso, assume un ruolo rilevante soprattutto grazie al suo intrecciarsi con il cloud computing, i big data e il machine learning.
Nel primo caso si ha a che fare con tecnologie che consentono di elaborare, archiviare e memorizzare dati attraverso risorse hardware e software distribuite in rete. Possono essere software utilizzati dall’utente finale (Software as a Service – SaaS), o che consentono di amministrare la configurazione e le funzionalità di una piattaforma (Platform as a Service – PaaS), oppure server virtuali ove è possibile installare software di sistema e applicativi (Infrasrtucture as a Service – IaaS). In tutti i casi il cloud computing consente di avere in dotazione risorse a capacità computazionale in maniera flessibile senza essere in possesso di particolari hardware potendovi ricorrere ovunque sia presente una connessione Internet.
Il machine learning ha invece a che fare con l’ambito dell’intelligenza artificiale i cui algoritmi «dettano le regole su come leggere e interpretare i dati al fine di individuare la migliore soluzione a determinati problemi legati ai dati analizzati» (p. 44). Le applicazioni di machine learning strutturano modelli sulla base dello storico, dunque sono strettamente connesse ai big data e al cloud computing.
IoT rappresenta pertanto una rete di oggetti connessi a Internet capace di raccogliere e scambiare dati ricorrendo a tecnologie in cui è presente un circuito elettronico: dagli smartphone agli elettrodomestici, dai macchinari industriali agli impianti per la gestione automatizzata dei magazzini sino ai mezzi di trasporto.
Tutti questi oggetti […] raccolgono informazioni in maniera strutturata, le trasmettono in rete affinché siano memorizzate spesso in soluzioni cloud. Questi dati alimentano la crescita dei big data i quali vengono utilizzati da algoritmi sofisticati come quelli di machine learning per elaborare soluzioni via via sempre migliori e più specifiche (p. 45).
Venendo al 5G, lo studioso indica tra gli elementi che lo caratterizzano rispetto alle precedenti generazioni: un’inedita capacità di trasmissione; una netta diminuzione dei tempi di latenza; la possibilità di collegare contemporaneamente un elevato numero di dispositivi IoT.
Circa i principali settori di impiego IoT si possono distinguere due marco-aree: una attinente le persone (consumer segment) e una alle imprese (business segment). Nella prima rientra, ad esempio, l’ambito della domotica (dagli elettrodomestici smart agli smart home assistent), quello dei “dispositivi indossabili” (wearable devices, come gli smatwatch e gli smartglass), compresi i dispositivi sanitari indossabili e il settore della guida autonoma o assistita. All’area attinente le imprese appartengono, ad esempio, il monitoraggio del comportamento nell’acquisto in negozio e i sistemi di pagamento smart, le Smart Utilities & Energy, i sistemi di predizione dei guasti integrati nei macchinari industriali e nei mezzi di trasporto e la gestione della logistica. Altri settori che ricorrono a IoT sono quello delle smart cities e quello sanitario ospedaliero.
A partire dal 2011 si inizia a parlare di “Industria 4.0” – espressione introdotta dall’azienda tedesca Bosch – indicando una nuova modalità organizzativa della produzione contraddistinta dall’interconnessione di IoT, cloud computing, cognitive computing e big data. Dalla fusione tra il mondo reale/fisico degli impianti e quello virtuale/digitale dell’informazione scaturisce un sistema misto cyber-fisico finalizzato, ad esempio, a ridurre gli sprechi, a raccogliere informazioni dal processo lavorativo rielaborandole in tempo reale, anticipare errori e malfunzionamenti attraverso la virtualizzazione dell’azienda, sfruttare al massimo la creatività del lavoratore e incorporare le richieste del cliente nel corso del processo produttivo.
Nella parte conclusiva del volume vengono tratteggiati quelli che l’autore individua come i principali benefici e rischi introdotti da IoT. Gli smart device consentono inedite potenzialità di monitoraggio tanto del funzionamento del dispositivo quanto dell’ambiente esterno. I dispositivi IoT possono essere controllati da remoto dall’utente o da algoritmi incorporati o presenti su piattaforme. Implementate le fasi di monitoraggio e controllo, le aziende possono efficacemente ottimizzare le prestazioni del prodotto/dispositivo ricorrendo a dispositivi intelligenti che applicano algoritmi basati su analisi dei dati storici e attuali. «La capacità di monitoraggio, controllo e ottimizzazione, se combinate opportunamente, possono permettere di fare acquisire al dispositivo un certo livello di autonomia » (p. 81).
Tutti questi dispositivi sono però decisamente vulnerabili; nell’ambito della smart home basti pensare al celebre attacco dell’ottobre 2016 che ha utilizzato migliaia di smart object per mandare in tilt il sistema, oppure al caso tedesco che ha visto l’utilizzo di una bambola per carpire conversazioni private e dati sensibili all’interno della sfera domestica. Altri celebri casi di hackeraggio riguardano il blocco nel 2016 del riscaldamento di alcuni edifici di Lappeenranra in Finlandia e quello portato nel gennaio 2017 a un hotel austriaco che si è visto bloccare il sistema di controllo smart di porte e finestre.
Relativamente ai wearable device, come smartwatch e braccialetti per il fitness, occorre sottolineare come tali dispositivi siano progettati esplicitamente per rilevare informazioni sullo stato di salute, di forma fisica e di localizzazione dell’utente che li indossa. Si tratta evidentemente di dati sensibili che gli individui forniscono perdendone il controllo. Non manca la possibilità che vengano portati attacchi anche ai dispositivi IoT utilizzati in ambito ospedaliero: si pensi alla possibilità di indurre a malfunzionamenti le apparecchiature mediche.
Le stesse smart-tv si rivelano strumenti utili per accumulare informazioni circa le abitudini e le preferenze degli utenti che poi possono essere vendute ad agenzie pubblicitarie. Dalle informazioni diffuse da WikiLeaks, secondo The Guardian, la CIA sembrerebbe essere in grado di «prendere il controllo dei televisori connessi a Internet e ascoltare segretamente conversazioni in casa delle persone anche quando i dispositivi sembrano essere spenti» (p. 86). In realtà, ancora una volta, sono le grandi corporation a essere un passo avanti rispetto alle agenzie statali:
il recente utilizzo degli smart assistant (es. Alexa di Amazon), rende tutto molto più semplice. Questi dispositivi intelligenti sono collegati non solo con gli smart object presenti in casa ma anche con altre piattaforme su cui abbiamo un account e quindi informazioni personali, come ad esempio il calendario e le email. Questi assistenti intelligenti una volta attivati sono perennemente in ascolto e più ascoltano più imparano su di noi, sul nostro modo di parlare e sulle nostre abitudini, fornendoci di conseguenza soluzioni sempre più appropriate e corrette, supportandoci nella vita di tutti i giorni. In questo senso siamo noi ad autorizzare il tracciamento delle nostre attività, essendo un prerequisito per il corretto funzionamento dello smart assistant (p. 87).
Il livello di dipendenza dall’ecosistema digitale degli esseri umani sta indubbiamente aumentando sempre più. Se improvvisamente Internet, l’infrastruttura alla base dell’ecosistema digitale, smettesse di funzionare si avrebbe una disconnessione su vasta scala che negherebbe agli individui l’accesso a una miriade di informazioni su cui si basano le loro previsioni, decisioni e azioni. Un’ipotesi del genere è stata ovviamente contemplata dalla fiction distopica; lo stesso romanzo The Silence (2020) di Don De Lillo prospetta uno scenario in cui improvvisamente tutta la tecnologia digitale ammutolisce e tutti gli schermi diventano neri generando il panico tra la popolazione. Di certo un’improvvisa e duratura disconnessione digitale nell’era degli oggetti, delle merci intelligenti lascerebbe forse l’umanità a fare i conti con l’inettitudine accumulata un poco alla volta delegando acriticamente una fetta di intelligenza agli oggetti/merci.
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