Avete presente il meraviglioso palazzo di BNL sito presso la stazione Tiburtina a Roma? È il luogo dove si consuma la brutta storia che vi racconto oggi.
Focalizzatelo nella vostra mente perché è davvero un simbolo del peggior modello capitalistico si possa immaginare: costruito anche con i soldi delle lavoratrici e dei lavoratori che hanno nel tempo dovuto rinunciare a importanti istituti retributivi, scintillante e brillante fuori, tutto specchi e meraviglia all’esterno, plumbeo e deprimente all’interno.
Dopo trent’anni le lavoratrici e i lavoratori scioperano per difendere i propri diritti, assaliti da scelte scellerate che pongono la persona e la sua dignità nella più periferica delle marginalità.
Pensate che sulla facciata del palazzo si legge: “insieme siamo più forti“. A caratteri cubitali. E nello stesso momento il top management della banca lavora per cedere quasi mille persone, un decimo della propria forza lavoro, ad altri soggetti.
L’obiettivo è quello di “efficientare” liberandosi degli esseri umani che animano la comunità aziendale. Squallida ipocrisia.
Che le nuove modalità di lavoro potessero avere un impatto dirompente sulla capacità delle persone di affermarsi politicamente, nell’azienda e fuori di essa come classe lavoratrice, lo avevamo ampiamente previsto.
La denuncia non è stata ovviamente ascoltata e anzi si è sollevato, soprattutto dalla sinistra radical “politicamente corretta”, un muro di scialbe accuse sconclusionate: ogni qualvolta provi ad avanzare critiche alla narrazione mainstream in materia di lavoro diventi luddista, antistorico, antiquato, desueto, ideologico (nell’accezione negativa del termine) e ovviamente qualunquista, populista e violento.
Eppure quanto accade in BNL ha del surreale: il 27 dicembre le lavoratrici e i lavoratori hanno aderito in massa ad uno sciopero indetto dai sindacati contro un piano industriale lacrime e sangue. Il management spinge sul taglio dei costi del personale nonostante la banca abbia i conti in ordine.
È inquietante osservare come le ultime riorganizzazioni aziendali abbiano sempre comportato innumerevoli sacrifici per le persone che prestano la propria opera in azienda. Nessun altra idea di sviluppo anima la mente di un management cupo, grigio, perfettamente rappresentativo del modello capitalistico affermatosi nel paese. Un modello che dobbiamo osteggiare, combattere in ogni sede.
Ebbene lo sciopero del 27 ha rassegnato un enorme successo: la rete delle filiali è stata quasi interamente chiusa e gli uffici amministrativi di BNL erano deserti. Eppure la banca ha pubblicato i dati di adesione allo sciopero che farebbero registrare un modesto 30% circa. Il dato è semplicemente inverosimile.
Ne ho parlato personalmente col Segretario Nazionale di Unisin (il primo sindacato in BNL in quanto a rappresentatività), Tommaso Vigliotti, e mi ha colpito quanto mi è stato riferito: “l’azienda gioca con i numeri relativi all’adesione: abbiamo il ragionevole sospetto che lavoratrici e lavoratori in sciopero non siano stati conteggiati in quanto formalmente in smart working. Un gioco utile a falsare i dati sulla protesta e a far apparire i lavoratori più deboli, oltre che il sindacato isolato“.
Ovviamente alle lavoratrici e ai lavoratori di BNL va la solidarietà di tutte le forze sane dei mondo del lavoro e l’invito a tenere duro, soprattutto alle donne e agli uomini di cui BNL vuole disfarsi con le cessioni di ramo che ha in mente, ma momenti di questa gravità impongono una riflessione profonda, olistica e di sistema.
Cosa è il progresso? La nostra “modernità” lo incarna? Che uso dobbiamo fare della tecnologia? Essa è neutra o risponde allo scopo che decidiamo di perseguire? Quali modelli di lavoro sono possibili e quale quello più giusto e costituzionalmente orientato?
Non lasceremo per strada nessuno di questi interrogativi. La lotta continua.
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