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30/09/2023

Il commercio dell’anima

Da qualche settimana è in atto un’appassionata discussione sulla nuova pubblicità di Esselunga, intitolata “La Pesca”, che rappresenta una famiglia con due genitori separati.

Al centro della scenetta ambientata nel supermercato vi è una bambina, la quale prima chiede alla mamma di comprare una pesca e poi la porta al papà dicendogli: «Te la manda la mamma». È chiaramente un tentativo di far riavvicinare i genitori, da cui traspare il carico di sofferenza che grava sulla bimba a causa della loro separazione.

La scenetta è tratta dalla vita quotidiana, ma fornisce una rappresentazione diversa (e quindi sorprendente) rispetto a quella, oleografica ed eutimica, della classica famiglia sorridente unita attorno ad un tavolo, che è il ‘leitmotiv’ di tanti altri messaggi pubblicitari.

Così, catalizzata da questo tipo divergente di pubblicità, si è accesa, nel mondo della comunicazione sociale e dell’opinione pubblica, una ‘querelle’ che divide, da un lato, coloro che giudicano inappropriata e fonte di sofferenza per le famiglie separate la scenetta in questione e, dall’altro, coloro che invece ne hanno apprezzato il messaggio (laddove fra questi ultimi vi sono i maggiori esponenti dell’attuale governo).

Sennonché per situare nella giusta prospettiva il significato di quel messaggio pubblicitario e della reazione che ha suscitato, è bene tener presente che lo scopo che caratterizza (anche se in modo indubbiamente originale) la produzione, la circolazione e il consumo di quel messaggio è il perseguimento del massimo profitto da parte di una importante azienda della grande distribuzione organizzata.

Parimenti, per quanto riguarda la reazione di massa al suddetto messaggio va considerata l’enorme quantità di stimoli pubblicitari di natura ripetitiva e subliminale, molti dei quali legati alla ingluvie [il ‘deposito temporaneo del cibo in eccesso’, in insetti e uccelli, ndr], alla competizione, al narcisismo o al sesso, che, irradiata nei molteplici canali dei ‘mass media’, inonda e intride la nostra vita sociale penetrando in ogni anfratto della stessa vita domestica.

Orbene, di fronte a questa valanga ininterrotta di ‘distrazioni’, illusioni e deviazioni con cui il potere dominante si assicura un consenso di massa, costituisce una misura minima di igiene mentale riflettere sul fatto che oggi il controllo della sfera pubblica passa innanzitutto attraverso il controllo e il dominio della sfera privata e del fòro interiore delle persone, ridotte a monadi capaci di comunicare e di interagire fra di loro, a livello sia psicologico sia etico, soltanto attraverso lo scambio mercantile.

È in tal modo che l’individuo viene ridotto a merce, avendo interiorizzato a livello profondo, subliminale, il messaggio dominante.

La razionalità strumentale, con la correlativa esclusione degli scopi (che sono obbligatori e indiscutibili) e l’enfasi sui mezzi (che sono molteplici, opzionali e disponibili), è la sola ammessa, e questa pervade, nelle società del capitalismo monopolistico contemporaneo, ogni piega della vita umana: dal contesto lavorativo a quello sociale, relazionale, affettivo e sessuale.

Per questo oggi è lecito parlare di una forma di dominio sociale che ha la necessità di controllare non solo ogni spazio dell’agire umano, ma l’essere umano stesso: è l’essere umano stesso che deve diventare merce e deve interiorizzare il fatto di essere esso stesso merce.

Ecco, quindi, come la ‘forma merce’, il “feticismo delle merci” analizzato da Marx nel “Capitale”, raggiunge nella fase storica attuale il suo apice. Il controllo e il dominio della sfera privata, del fòro interiore delle persone, è oggi più importante e determinante del controllo della sfera pubblica.

Fino a un secolo o due secoli fa non era così, perché nel momento in cui una persona passava tra le dieci e le dodici ore in una fabbrica davanti ad una macchina di cui era sostanzialmente un’appendice, il controllo sociale era già in atto e non vi era la necessità di penetrare e controllare la sua psiche.

Oggi, da tempo, la situazione è mutata, poiché, come aveva ben compreso e dimostrato Herbert Marcuse nel suo classico saggio “L’uomo a una dimensione” (1964), la costruzione e la produzione del consenso al potere dominante passa innanzitutto attraverso il controllo e la manipolazione della sfera psichica delle persone.

Pertanto, in attesa che, come ha suggerito argutamente Leonardo Pieraccioni, la Coop – che è la maggiore concorrente di Esselunga nel campo della grande distribuzione – metta a punto “un contro-spot” ancora più tenero di quello in discussione, vi è da augurarsi che lo sfruttamento dei buoni sentimenti nel campo della pubblicità commerciale trovi il suo limite nella consapevolezza critica che, se è vero, come una volta si usava dire per giustificarla, che la pubblicità è l’anima del commercio, oggi è ancor più vero che il commercio dell’anima, autentica essenza del messaggio qui discusso, non può giustificare nulla di etico e di sociale tanto agli occhi dei favorevoli quanto a quelli dei contrari, tranne la legge del profitto per cui quel messaggio è stato concepito, prodotto e diffuso.

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