La questione del novantottenne veterano della 14° Waffen-Grenadier-Division der SS “Galicina”, Jaroslav Hunka, omaggiato il 22 settembre dal parlamento canadese quale combattente «contro la Russia per l’indipendenza dell’Ucraina», ha ovviamente risvolti politico-ideologici internazionali che, però, riguardano lo sdoganamento del fascismo nei singoli paesi, anche singolarmente presi.
Perché quella che sta sempre più diventando una “normalità” istituzionale nei diversi consessi europei e mondiali e che vede fascisti, neo-fascisti, liberal-nazisti investiti di “legittimità democratica” e “pari dignità”, come qualsiasi altra forza “politica”, poi, a livello di singoli paesi, si concretizza in formazioni neo-fasciste o “post”-fasciste cui si attribuiscono poteri governativi.
Se a Bruxelles, ormai da almeno due decenni, si adottano “risoluzioni” che equiparano Unione Sovietica socialista e Germania hitleriana e addossano alla prima le maggiori responsabilità nei “crimini più efferati” commessi nella storia mondiale, riducendo la nascita e gli stermini seminati dalla seconda quasi a “naturale reazione” alla semplice esistenza della prima, poi, però, a livelli nazionali, si scende direttamente ai passi concreti nella direzione indicata da quelle “risoluzioni”.
Così, per una Ucraina che almeno dal 1955 torna a dare libero accesso ai veterani delle formazioni banderiste complici dei nazisti e poi, dagli anni ’70, concede ampi spazi alle tendenze del nazionalismo più reazionario, fino ad arrivare alla “indipendenza” del 1991, che apre la strada ai gruppi criminali che costituiranno il braccio armato del golpe nazista del 2014, vediamo altre situazioni in cui ogni accenno al passato sovietico comporta bandi, ammende e arresti.
Altre in cui, col pretesto di “proibire le ideologie totalitarie”, si arresta chiunque si azzardi a mostrare “simboli comunisti” e, al colmo, anche chi “ostenti in pubblico” il colore rosso.
Se in alcuni paesi del Vecchio Continente – in certi casi di fatto, in altri “di diritto” – sono proibiti i partiti che abbiano nel nome l’aggettivo “comunista”, in molti altri la strada da tempo intrapresa è quella della messa al bando della “ideologia comunista” e, neo-fascisti o meno al governo, la direzione è quella di arrivare a proibire ogni formazione politica che, indipendentemente dal nome, si ponga quale obiettivo il raggiungimento di un diverso ordinamento sociale.
Gli omaggi resi a fascisti e nazisti, veterani o meno, vanno nella direzione di una voluta e mirata assuefazione della società, perseguita per ogni dove e con ogni mezzo di persuasione, a una “normalità” che elevi il fascismo a “corrente naturale dell’agone politico”, mentre scomunica quale repellente escrescenza sociale e “crimine assoluto” il solo pensiero alternativo in direzione del socialismo.
Il perenne voto contrario di Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna (va da sé: dell’Ucraina nazigolpista in cui, per dire, nel 2017 l’Istituto per la memoria nazionale dichiarava leciti i simboli della Divisione SS “Galicina”) e spesso anche dei paesi UE, a qualsiasi risoluzione ONU contro la eroicizzazione del nazismo, sono perfettamente in linea con quell’obiettivo di abituare le coscienze alla “normalità” quotidiana del fascismo.
Dopo di che il ricorso alle squadracce (come avviene nei confronti dei picchetti di lavoratori in sciopero) diventa una questione di “naturale” e dovuta reazione contro chi osi “attentare” all’ordine consuetudinario.
Nel caso specifico di Jaroslav Hunka è risultata una novità solo per qualcuno che in Canada sia presente una forte comunità ucraina (e anche russa, che aveva varcato l’Oceano sin dall’epoca zarista, in molti casi per sottrarsi a persecuzioni religiose) e, all’interno di questa, di una buona percentuale di ex appartenenti a OUN-UPA, arresisi nel 1945 a inglesi e americani e da questi non consegnati alle autorità sovietiche.
A essi, sono dedicati vari monumenti commemorativi: proprio come è avvenuto e avviene in alcune regioni dell’Ucraina “indipendente”, da cui ottant’anni fa proveniva il grosso dei volontari filo-nazisti.
Fu proprio a partire dalle squadracce banderiste che gli hitleriani diedero vita, all’inizio, ad alcuni battaglioni di “polizia ausiliaria” (ad esempio: “Nachtigall” e “Roland”, poi sciolti dagli stessi nazisti per le razzie, gli intrighi, la corruzione dei loro comandanti) e, successivamente, alla Divisione SS “Galicina”, poi utilizzata nelle operazioni contro i civili in Polonia, Francia, Jugoslavia e, naturalmente, nella stessa Ucraina, incendiando interi villaggi e trucidandone la popolazione, dopo che al fronte non avevano dato prova di grande “eroismo”.
La “Galicina” fu praticamente annientata nel luglio 1944 nella sacca di Brody, nella regione di L’vov, dai reparti del 1° Fronte ucraino sovietico.
In Canada, dunque, si è reso omaggio attraverso Hunka a tutte quelle migliaia di ex banderisti e scagnozzi dei nazisti che avevano dato manforte agli hitleriani; non tanto nelle battaglie contro l’Esercito Rosso, quanto nelle repressioni e nelle stragi contro civili e partigiani.
Al Canada è toccato tale “onore”. D’altronde, quello di Hunka non è che il caso più recente, in un paese in cui la vice primo ministro, Chrystia Freeland, ha più volte reso omaggio al nonno, Mikhajlo Khomjak, un “eroe” che combattè «per il ritorno dell’Ucraina alla libertà e alla democrazia», così come oggi nazionalisti e neo-nazisti di Kiev “lottano per l’indipendenza” da Mosca.
A suo tempo, Khomjak era stato direttore di Notizie di Cracovia, giornale che plaudeva al regime nazista e all’Olocausto. Fuggito in Austria e poi consegnatosi agli americani in Baviera nel 1945, nel 1948 emigrò in Canada, dove la nipote Chrystia, in anni a noi vicinissimi, prima di accedere ai vertici istituzionali, si è distinta in reportage dall’Ucraina a fianco di Victoria Nuland.
Al Canada, al suo parlamento, è toccato un simile “onore”: lo si è fatto, al parlamento canadese, in nome della “libertà dell’Ucraina”.
Formalmente, essendo presente a Ottawa il nazigolpista-capo, in questua di nuovi aiuti militari; di fatto, perché la guerra all’Unione Sovietica era stata, sin dalla fondazione della NATO, il fine dichiarato dell’Alleanza atlantica, passata quindi ‘fluidamente’ nella lotta alla Russia.
E, come si diceva, ogni singolo paese accede poi alla proprie “particolarità” nazionali. Come, per citarne uno, è il caso della Germania, riportato in questo servizio di Die Junge Welt.
Perché quella che sta sempre più diventando una “normalità” istituzionale nei diversi consessi europei e mondiali e che vede fascisti, neo-fascisti, liberal-nazisti investiti di “legittimità democratica” e “pari dignità”, come qualsiasi altra forza “politica”, poi, a livello di singoli paesi, si concretizza in formazioni neo-fasciste o “post”-fasciste cui si attribuiscono poteri governativi.
Se a Bruxelles, ormai da almeno due decenni, si adottano “risoluzioni” che equiparano Unione Sovietica socialista e Germania hitleriana e addossano alla prima le maggiori responsabilità nei “crimini più efferati” commessi nella storia mondiale, riducendo la nascita e gli stermini seminati dalla seconda quasi a “naturale reazione” alla semplice esistenza della prima, poi, però, a livelli nazionali, si scende direttamente ai passi concreti nella direzione indicata da quelle “risoluzioni”.
Così, per una Ucraina che almeno dal 1955 torna a dare libero accesso ai veterani delle formazioni banderiste complici dei nazisti e poi, dagli anni ’70, concede ampi spazi alle tendenze del nazionalismo più reazionario, fino ad arrivare alla “indipendenza” del 1991, che apre la strada ai gruppi criminali che costituiranno il braccio armato del golpe nazista del 2014, vediamo altre situazioni in cui ogni accenno al passato sovietico comporta bandi, ammende e arresti.
Altre in cui, col pretesto di “proibire le ideologie totalitarie”, si arresta chiunque si azzardi a mostrare “simboli comunisti” e, al colmo, anche chi “ostenti in pubblico” il colore rosso.
Se in alcuni paesi del Vecchio Continente – in certi casi di fatto, in altri “di diritto” – sono proibiti i partiti che abbiano nel nome l’aggettivo “comunista”, in molti altri la strada da tempo intrapresa è quella della messa al bando della “ideologia comunista” e, neo-fascisti o meno al governo, la direzione è quella di arrivare a proibire ogni formazione politica che, indipendentemente dal nome, si ponga quale obiettivo il raggiungimento di un diverso ordinamento sociale.
Gli omaggi resi a fascisti e nazisti, veterani o meno, vanno nella direzione di una voluta e mirata assuefazione della società, perseguita per ogni dove e con ogni mezzo di persuasione, a una “normalità” che elevi il fascismo a “corrente naturale dell’agone politico”, mentre scomunica quale repellente escrescenza sociale e “crimine assoluto” il solo pensiero alternativo in direzione del socialismo.
Il perenne voto contrario di Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna (va da sé: dell’Ucraina nazigolpista in cui, per dire, nel 2017 l’Istituto per la memoria nazionale dichiarava leciti i simboli della Divisione SS “Galicina”) e spesso anche dei paesi UE, a qualsiasi risoluzione ONU contro la eroicizzazione del nazismo, sono perfettamente in linea con quell’obiettivo di abituare le coscienze alla “normalità” quotidiana del fascismo.
Dopo di che il ricorso alle squadracce (come avviene nei confronti dei picchetti di lavoratori in sciopero) diventa una questione di “naturale” e dovuta reazione contro chi osi “attentare” all’ordine consuetudinario.
Nel caso specifico di Jaroslav Hunka è risultata una novità solo per qualcuno che in Canada sia presente una forte comunità ucraina (e anche russa, che aveva varcato l’Oceano sin dall’epoca zarista, in molti casi per sottrarsi a persecuzioni religiose) e, all’interno di questa, di una buona percentuale di ex appartenenti a OUN-UPA, arresisi nel 1945 a inglesi e americani e da questi non consegnati alle autorità sovietiche.
A essi, sono dedicati vari monumenti commemorativi: proprio come è avvenuto e avviene in alcune regioni dell’Ucraina “indipendente”, da cui ottant’anni fa proveniva il grosso dei volontari filo-nazisti.
Fu proprio a partire dalle squadracce banderiste che gli hitleriani diedero vita, all’inizio, ad alcuni battaglioni di “polizia ausiliaria” (ad esempio: “Nachtigall” e “Roland”, poi sciolti dagli stessi nazisti per le razzie, gli intrighi, la corruzione dei loro comandanti) e, successivamente, alla Divisione SS “Galicina”, poi utilizzata nelle operazioni contro i civili in Polonia, Francia, Jugoslavia e, naturalmente, nella stessa Ucraina, incendiando interi villaggi e trucidandone la popolazione, dopo che al fronte non avevano dato prova di grande “eroismo”.
La “Galicina” fu praticamente annientata nel luglio 1944 nella sacca di Brody, nella regione di L’vov, dai reparti del 1° Fronte ucraino sovietico.
In Canada, dunque, si è reso omaggio attraverso Hunka a tutte quelle migliaia di ex banderisti e scagnozzi dei nazisti che avevano dato manforte agli hitleriani; non tanto nelle battaglie contro l’Esercito Rosso, quanto nelle repressioni e nelle stragi contro civili e partigiani.
Al Canada è toccato tale “onore”. D’altronde, quello di Hunka non è che il caso più recente, in un paese in cui la vice primo ministro, Chrystia Freeland, ha più volte reso omaggio al nonno, Mikhajlo Khomjak, un “eroe” che combattè «per il ritorno dell’Ucraina alla libertà e alla democrazia», così come oggi nazionalisti e neo-nazisti di Kiev “lottano per l’indipendenza” da Mosca.
A suo tempo, Khomjak era stato direttore di Notizie di Cracovia, giornale che plaudeva al regime nazista e all’Olocausto. Fuggito in Austria e poi consegnatosi agli americani in Baviera nel 1945, nel 1948 emigrò in Canada, dove la nipote Chrystia, in anni a noi vicinissimi, prima di accedere ai vertici istituzionali, si è distinta in reportage dall’Ucraina a fianco di Victoria Nuland.
Al Canada, al suo parlamento, è toccato un simile “onore”: lo si è fatto, al parlamento canadese, in nome della “libertà dell’Ucraina”.
Formalmente, essendo presente a Ottawa il nazigolpista-capo, in questua di nuovi aiuti militari; di fatto, perché la guerra all’Unione Sovietica era stata, sin dalla fondazione della NATO, il fine dichiarato dell’Alleanza atlantica, passata quindi ‘fluidamente’ nella lotta alla Russia.
E, come si diceva, ogni singolo paese accede poi alla proprie “particolarità” nazionali. Come, per citarne uno, è il caso della Germania, riportato in questo servizio di Die Junge Welt.
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La fedina ripulita di Bandera
La fedina ripulita di Bandera
Susann Witt-Stahl – Die Junge Welt
Dove un tempo c’era un frammentario ricordo collettivo, si apre oggi, nel governo federale, un oscuro abisso. Che si tratti della sua posizione a proposito dell’ideologia dell’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (OUN), intrisa di nazismo, o delle distorsioni storiche dell'Istituto ucraino per la memoria nazionale del governo di Kiev, ha risposto con un bel nulla di fatto a una semplice interrogazione su “Manifestazioni estremiste di destra della politica storica ucraina“, posta dalla deputata del Bundestag Sevim Dagdelen e dal gruppo parlamentare Die Linke.
Quasi tutte le 25 interrogazioni, alcune delle quali basate su ricerche di Die Junge Welt, vengono liquidate dal Ministero degli esteri con la frase retorica «Il Governo federale non ne è a conoscenza al di là di quanto riportato dai media».
In via preliminare, il Governo federale dichiara espressamente di non adottare le «valutazioni giuridiche e le affermazioni fattuali» degli interroganti, che si riferiscono principalmente a OUN e banderismo, «in particolare per quanto riguarda la classificazione generalizzata di determinati gruppi (storici) o persone come estremisti di destra, antisemiti, antizigani o comunque razzisti» – una frase cui si fa riferimento ben sette volte nelle (non) risposte del governo.
In questo modo, il governo tedesco contraddice oggettivamente la storiografia accettata a livello mondiale sul fascismo ucraino e sulla sua collaborazione con la Germania hitleriana.
«L’OUN lottava non semplicemente per l’indipendenza dello Stato. Lottava per quella che definiva una “Ucraina per gli ucraini”, in cui gli ebrei e la maggior parte dei polacchi e dei russi sarebbero stati eliminati», scrive ad esempio lo storico statunitense-canadese John-Paul Himka, uno dei più rinomati esperti di storia dell’OUN e del suo ruolo, sia nella Shoah che nella guerra di sterminio contro l’Unione Sovietica.
«La fattiva negazione delle scoperte scientifiche, a opera della ricerca internazionale, sull’Olocausto per presunta ignoranza», fa il paio con episodi come «l’inqualificabile onore al SS Jaroslav Hunka quale “eroe ucraino”, tributatogli al parlamento del Canada, paese membro della NATO», ha commentato Sevim Dagdelen a Die Junge Welt a proposito del comportamento del governo tedesco.
La “Wiederschlechtmachung” [grosso modo: fare di nuovo del male], come il poeta Erich Fried aveva definito la restaurazione dell’imperialismo tedesco nella RFT post-nazista, a quanto sembra sta raggiungendo un nuovo inquietante culmine con la “Zeitenwende” (svolta epocale).
«È un super-GAU storico-politico [GAU: Größter Anzunehmender Unfall, ossia ‘Massimo disastro ipotizzabile’], il modo in cui la coalizione “Semaforo” sta rompendo il consenso esistente dal 1945», afferma Dagdelen.
Il fatto che il governo tedesco non abbia accolto nemmeno una volta la dichiarazione contenuta nell’interrogazione della frazione della Linke sulla progressiva riabilitazione di Stepan Bandera e di altri fascisti ucraini – «non si può accettare in alcun modo una visione positiva di organizzazioni e personalità storiche che sono state complici dell’Olocausto e dei crimini nazisti» – è alla base di questa accusa.
Lo stesso vale per il fatto disgustoso che il ministero diretto da Annalena Baerbock abbia ricevuto qualche mese fa i rappresentanti del movimento “Azov”, che si rifà alla tradizione dell’OUN.
Dagdelen avverte delle conseguenze pericolose: «Chiunque cerchi, come fa il Ministero degli esteri guidato dai Verdi, di candeggiare i collaborazionisti nazisti dell’Ucraina per mero riflesso antirusso, ha davvero perso ogni bussola politica e stende il tappeto rosso agli estremisti di destra».
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