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19/09/2023

La digitalizzazione intensiva nelle scuole riduce e non migliora l’apprendimento

La digitalizzazione intensiva nelle scuole riduce l’apprendimento. A queste conclusioni è arrivato il sistema educativo svedese che prima e più degli altri aveva invece investito nella digitalizzazione degli strumenti di istruzione.

Una decisione apertamente in controtendenza, ma che ancora stenta a farsi largo nel dibattito sull’apprendimento scolastico travolto in modo invasivo dal totem della “digitalizzazione” e soprattutto dai fondi del PNRR.

A maggio aveva fatto scalpore la decisione degli insegnanti e degli studenti del liceo Albertelli di Roma di rigettare i fondi destinati a questo scopo dal PNRR e che ha avuto il merito di aprire una riflessione fin qui totalmente assente.

Come scrive la pagina specializzata Tecnica della scuola, da anni la Commissione europea sta spingendo per “l’abbandono progressivo dei supporti cartacei a favore dell’interazione e del maggior interesse suscitato da un dispositivo elettronico piuttosto che da uno statico e classico libro di testo hanno trainato la massiva opera di sostituzione e rinnovamento della didattica, anche attraverso l’introduzione di discipline prima sconosciute (matematica ed algebra applicata all’informatica, digital humanities, utilizzo di piattaforme per le discipline d’indirizzo)”.

I paesi del Nord Europa, meglio attrezzati sul piano infrastrutturale, erano partiti a spron battuto sul piano della digitalizzazione dell’istruzione, ma proprio da uno di essi – la Svezia – oggi sta venendo fuori uno stop che merita di diventare oggetto di discussione e decisione nel mondo dell’istruzione.

Facendo un bilancio, le istituzioni scolastiche svedesi hanno verificato che l’eccesso di digitalizzazione sta favorendo in linea di massima una parziale regressione del rendimento scolastico per le discipline strategiche, i cui contenuti a loro volta sono stati oggetto di digitalizzazione, fatto che non si sposa alla perfezione con la natura empirico-logica di tali discipline.

Ragione per cui le associazioni di insegnanti svedesi hanno proposto un graduale ritorno al supporto concettualmente cartaceo, con riferimento anche ai tempi di lettura sulla base di età e prestazione e sulla pratica della scrittura a mano, con il fine di ridurre i tempi di esposizione ai supporti digitali, alla ricerca online indipendente e alle abilità di tastiera.

Il ministro dell’Istruzione svedese, Lotta Hedolm, ad agosto aveva annunciato che l’esecutivo intendeva annullare la decisione dell’Agenzia nazionale per l’istruzione di rendere obbligatori i dispositivi digitali nelle scuole materne, una questione assai discussa anche tra le famiglie.

Si prevede di andare oltre e di eliminare completamente l’apprendimento digitale per i bambini sotto i sei anni.

Tecnica della scuola riferisce che sebbene gli studenti svedesi abbiano un punteggio superiore alla media europea per quanto riguarda l’abilità di lettura, una valutazione internazionale dei livelli di lettura della quarta elementare, il Progress in International Reading Literacy Study (PIRLS), ha evidenziato un calo tra i bambini svedesi tra il 2016 e il 2021.

Nel 2021, gli studenti svedesi di quarta elementare hanno ottenuto una media di 544 punti, in calo rispetto alla media di 555 del 2016. Tuttavia, le loro prestazioni hanno comunque collocato il Paese in parità con Taiwan per il settimo punteggio complessivo più alto nei test a livello globale.

In confronto, Singapore – che era in cima alla classifica – ha migliorato i suoi punteggi di lettura PIRLS da 576 a 587 durante lo stesso periodo, e il punteggio medio di rendimento nella lettura dell’Inghilterra è sceso solo leggermente, da 559 nel 2016 a 558 nel 2021.

Alcuni deficit di apprendimento potrebbero essere il risultato sia delle chiusure concernenti la pandemia di Covid, oppure un riflesso del numero crescente di studenti immigrati che non parlano svedese come prima lingua.

Ma un uso eccessivo di supporti digitali durante le lezioni scolastiche può far sì che gli scolari rimangano indietro nelle materie fondamentali, sostengono gli esperti del settore.

Indubbiamente, anche in Italia, la “bolla” dei lockdown durante la pandemia ha pesato e peserà molto sugli studenti che l’hanno vissuta. Ma la digitalizzazione intensiva è stata troppo spesso accettata e vissuta acriticamente come soluzione per un sistema educativo ormai subalterno al totem tecnologico e, nel caso dell’Italia, al dogma delle ‘competenze/competitività’ che vede scuole e università avviate alla mera funzionalità verso il sistema delle imprese e non alla formazione degli individui.

Insomma, il “sapere non critico”, puramente strumentale alla “produttività”, ottunde e non stimola l’intelligenza.

“Il passaggio dal quaderno cartaceo a quello digitale è una scelta che oggi come oggi non può essere fatta con la naturalezza con cui a suo tempo si passò dal pennino alla penna a sfera perché la posta in gioco è ben più alta”, afferma il pedagogista Daniele Novara.

L’eccitazione che si è respirata in molti collegi docenti intorno alla digitalizzazione intensiva – spinta come un caterpillar dal Miur – e all’idea che i tablet siano lo strumento di accompagnamento degli alunni dentro la modernità, è stato un pessimo segnale.

Nella discussione in tutte le sedi della formazione (dai collegi docenti agli altri) sarebbe opportuno cogliere anche segnali diversi, a cominciare da quello svedese ma, per parlare dell’Italia, anche dal rifiuto espresso a maggio dal liceo Albertelli.

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