Discutere della Nadef, in questo momento, è piuttosto difficile. Nessuno – a parte il piccolo gruppo di ministri e sottosegretari direttamente interessati – l’ha potuta ancora leggere. L’unico testo in circolazione è un banale elenco di titoli dei 31 “collegati” (altrettanto ignoti nel merito) che copre praticamente tutto l’arco dei problemi che la finanziaria dovrebbe affrontare.
Per caprci sulla vaghezza: un “collegato” riguarda certamente “la realizzazione delle infrastrutture di preminente interesse nazionale e di altri interventi strategici in materia di lavori pubblici nonché per il potenziamento del trasporto e della logistica”.
Ma da nessuna parte si nomina “il Ponte” per antonomasia, quello sullo stretto di Messina, che Salvini fortemente dice di volere. Anzi, di essere sicuro sull’ormai prossima “apertura dei cantieri”.
I maligni, nei corridoi, sussurrano che qualche “posta” finalizzata al Ponte potrebbe anche esserci, per farlo contento. Ma, viste le ristrettezze dei margini di manovra (che aumentano ogni giorno con il crescere dello spread e quindi degli interessi da pagare sul debito), al massimo si tratterà degli spiccioli sufficienti a recintare un pezzo di terreno, metterci un cartello con su scritto “lavori per il Ponte” e qualche camion che entra ed esce a favor di telecamere.
Un po’ come i fondali di cartone cui ricorreva il fascismo quando doveva far sembrare”grandiosa” la capitale visitata da capi di stato stranieri.
Per il resto le uniche certezze riguardano i “paletti numerici” per definirne l’ampiezza.
E dunque: la crescita del Pil è stimata allo 0,8% nel 2023, all’1,2% nel 2024 e, rispettivamente, all’1,4% e all’1 per cento nel 2025 e nel 2026. Le previsioni internazionali per il prossimo anno sono in realtà assai peggiori, qualcuno si spinge a dire addirittura “terribili”. Ma sono previsioni da rivedere a scadenza fissa, quindi per ora non troppo obbliganti.
Riguardo agli obiettivi di indebitamento netto in rapporto al Pil, invece, il documento indica un deficit tendenziale del 5,2% nel 2023, del 3,6% nel 2024, del 3,4 nel 2025 e del 3,1% nel 2026. Ben sopra i livelli indicati dall’Unione Europea (3%), e che chiamano in causa la necessità di “contrattare” con la Commissione proprio mentre sulla questione migranti il governo Meloni sta facendo a cornate con l’asse franco-tedesco.
Il rapporto debito pubblico/Pil per il 2024 è previsto al 140,1 per cento (al momento è stimato al 142,9%, da erodere quindi con tagli di spesa o aumento delle entrate fiscale).
Il tasso di disoccupazione è previsto in riduzione al 7,3% nel 2024 (dal 7,6% previsto per il 2023), ma appare difficile immaginare un aumento dell’occupazione se il Pil è praticamente fermo.
Tirando le somme, in conclusione, si tratta di una “manovra” da circa 30 miliardi, di cui 14 in deficit finalizzati all’altro tema propagandistico di questo governo: il “taglio del cuneo fiscale”. Che viene spacciato per un “mettere più soldi in tasca ai lavoratori”, mentendo spudoratamente.
Come abbiamo spiegato infinite volte, il “taglio” si limita a rendere disponibili immediatamente parte dei soldi che sono già dei lavoratori sotto forma di contributi previdenziali, ecc., ma non si vedono come “netto in busta paga”. Ed è ovvio che si tratta di un “uovo oggi” che verrà duramente pagato al momento della pensione (con un assegno più basso) e tutti i giorni con minori servizi (sanità, trasporti locali, asili, scuola, ecc.).
Si tratta insomma di una vera e propria truffa propagandistica finalizzata a far “risparmiare” alle imprese un aumento degli stipendi, visto che sono aumentati sia i profitti che i prezzi.
Ma intanto l’Arera – l’ente pubblico che “sorveglia” le tariffe – annuncia che le bollette della luce del prossimo trimestre saranno più alte del 18,6%.
Ecco, questo è il tipo di “attenzione ai bisogni dei più poveri” che il governo Meloni mette effettivamente in campo.
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