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21/09/2023

Migrazioni. Non c’è “una” soluzione

Gli arrivi di migranti in Italia, che fanno parlare arbitrariamente la destra e gli idioti di “invasione”, sono un sicuramente un dato rilevante sul piano nazionale, ma che diventa relativo sul piano globale.

I migranti e rifugiati arrivati in Italia nel 2023 sono circa 130.000, partiti soprattutto dalle coste della Libia e della Tunisia. In gran parte si tratta di migranti africani e mediorientali, una cifra più o meno pari allo 0,23% della popolazione italiana.

Per avere un termine di paragone, va segnalato che i rifugiati interni alla sola Africa sono circa 36 milioni, in pratica il 44% dei rifugiati a livello mondiale.

Milioni di persone che sono state costrette a spostarsi per le guerre, la siccità, le violenze tribali. I paesi che ospitano il maggior numero di rifugiati sono Turchia Iran, Colombia, Germania e Pakistan.

Le Nazioni Unite calcolano che dal 2014 a oggi più di 2,6 milioni di persone hanno attraversato il Mediterraneo in fuga da guerre, violenze e povertà dirette in Europa. Più di 29.100 sono morti in mare.

In Europa, alla fine di dicembre del 2022, la Germania aveva raggiunto la cifra record di 1,2 milioni di immigrati registrati negli ultimi dodici mesi: il 35% in più rispetto all’ondata degli 890mila siriani arrivati in massa nel 2015 attraverso la “rotta balcanica”.

Ai 200 mila richiedenti-asilo, principalmente provenienti da Afghanistan e Medio Oriente, si è aggiunto quasi un milione di profughi di guerra ucraini, accolti dal febbraio 2022.

Nei primi 8 mesi del 2023, gli arrivi in Germania sono stati più di più di 157.100, di cui oltre 29.000 minori, in fuga da Medioriente e Nord Africa, Africa Sub-Sahariana, Asia Centrale e Meridionale. A questi si aggiungono i rifugiati ucraini.

Cambiando quadrante, negli Stati Uniti i ricercatori dell’Università di Austin hanno stimato che tra il 2018 e il 2021 una media di 377.000 migranti sono entrati in Messico, per la maggior diretta verso gli Stati Uniti per sfuggire alla violenza, siccità, disastri naturali ed estrema povertà.

Oggi circa 300.000 migranti sono rinchiusi nei centri di detenzione messicani – a breve e lungo termine – a ridosso del confine statunitense, dopo essere stati intercettati mentre cercavano di superarlo.

Ma una volta superato il confine con gli USA il calvario non è finito. Secondo il Dipartimento di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, tra il 2000 e il 2020, gli Stati Uniti hanno espulso un totale di 6,4 milioni di immigrati, il 90% dei quali è stato rimandato in America Latina, in America Centrale e nei Caraibi.

Questi dati, alcuni noti altri meno, non servono a consolarci, ma a darci la dimensione epocale dei flussi di spostamento delle popolazioni nel mondo, e dunque a registrarne la relativa dimensione di quanto in Italia viene spacciato come “invasione”.

Siamo evidentemente in presenza di un fenomeno globale che vede la pressione migratoria crescere verso le aree del mondo in qualche modo “pacificate” o ritenute con margini di ricchezza disponibile largamente superiori a quelli dei paesi di provenienza.

Così come nell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento milioni di europei sono migrati verso il miraggio della prosperità delle terre negli Stati Uniti e in America Latina (anche qui spinti dalla miseria o dalle persecuzioni politiche e religiose), oppure a fare da settlers o pied noirs nelle colonie africane e asiatiche dell’Europa, oggi si assiste ad un processo di dimensioni analoghe e superiori dal sud verso il nord.

Oggi come ieri è il sistema delle imprese a vedere oltre la propaganda e a ritenere necessario l’arrivo nella “metropoli” di nuovo proletariato dalla periferia mondiale. In Occidente il proletariato disponibile, non paradossalmente, non “prolifica” più e non rende disponibile la forza lavoro necessaria alla sopravvivenza del sistema capitalista.

Persino in un sistema in cui la popolazione è ormai strutturalmente eccedente rispetto alle possibilità di impiego. E che, in effetti, determina da decenni una riduzione continua del tasso di natalità.

Il combinato disposto tra calo demografico, crisi del modo di produzione, uso capitalistico delle nuove tecnologie (che non “liberano”, ma diminuiscono il lavoro umano), fa si che il sistema si sia inceppato da dentro e reagisca in modo scomposto alle contraddizioni e/o alle opportunità di flussi migratori crescenti.

Di fronte alla migrazione globale diventata fisiologica non esiste “una” soluzione, magari semplice come il cervello di un ubriaco, ma più soluzioni da mettere in campo simultaneamente, in modo coordinato tra paesi differenti, per provare a gestire un processo per sua natura tumultuoso e disordinato.

Allargare e facilitare le possibilità dei visti e della immigrazione regolare nei paesi di partenza è sicuramente una di queste. Accelerare la regolarizzazione di quelli già presenti in Italia e fornire un “visto Shengen” a chi intende raggiungere altri paesi è un altro passo ragionevole. Ma certo richiede una “Europa” ben diversa da quella neoliberista...

Avviare politiche abitative pubbliche ed estensive in grado di rispondere alla crescente emergenza abitativa è un altra misura razionale (meno gente vive “sotto i ponti”, meno problemi si creano...). Ma anche qui occorrerebbe un rovesciamento delle politiche economiche continentali.

Affidare la gestione della protezione e dell’accoglienza allo Stato invece che al verminaio del “privato sociale” è un ulteriore passo ragionevole. Ma quale partito rinuncerà mai a una fetta della sua rete clientelare?

Mirare agli aspetti coercitivi solo lì dove sono necessari e non in modo indiscriminato è una scelta politica doverosa.

Ma il governo italiano e l’Unione Europea sembrano invece privilegiare solo l’aspetto coercitivo e la “deterrenza”, magari tirando fuori finanziamenti per chi fa il “lavoro sporco” sull’altra sponda del Mediterraneo o annunciando investimenti “a casa loro” che non prevedono la reale distribuzione dei benefici in quelle realtà.

E infine, peggio ancora, il governo pensa di rinchiudere fino a un anno e mezzo chi è riuscito a sopravvivere attraversando deserti, violenze inenarrabili e infine il mare, avendo spesso niente da perdere se non una prospettiva diversa dal nulla nel paese di provenienza.

Una lunga detenzione senza crimine che farebbe “sbroccare” qualsiasi essere umano. Innestando e innescando praticamente delle bombe sociali nei territori che dovranno ospitare i centri di detenzione.

La peggiore delle soluzioni.

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