Sullo sfondo delle ultime voci su una presunta minaccia di Varsavia di chiudere il transito delle armi dirette all’Ucraina, già oggi sui media russi sembra perdere di attualità il tema dei cosiddetti “piani di ritirata” polacca in caso di “attacco russo”.
A tutta prima, in effetti, il tema appare poco più di una disputa elettorale, pur se all’ultimo coltello, tra formazioni che, sicure una meno dell’altra di riuscire a strappare la maggioranza parlamentare al primo colpo nel voto del 15 ottobre, giocano tutte le carte della “fedeltà atlantica”.
In questo senso, la questione ucraina, con tutti gli annessi e connessi che riguardano da vicino Varsavia, sembra costituire il corollario di una situazione politica interna polacca abbastanza tempestosa: tra “guerra” commerciale con Kiev (con Bruxelles in vena di cerchiobottismo) su importazione e transito di prodotti agricoli, ingordigia di interessi economici per il torrenziale transito di armi occidentali dirette ai nazigolpisti ucraini, mire mai sopite e anzi risvegliatesi su regioni un tempo accaparrate dalla cosiddetta Seconda Rzeczpospolita e dal 1939 di nuovo indipendenti e parti costitutive (allora) dell’Unione Sovietica.
Anzi, sarà un caso, ma il Ministro della guerra Mariusz Blaszczak ha scelto proprio la data del 17 settembre (84 anni fa, l’Esercito Rosso entrava, accolto trionfalmente, nelle regioni di Bielorussia e Ucraina occidentali, rimaste sotto occupazione polacca dal 1920), considerata dai reazionari, sia polacchi che europeisti, data della “spartizione” della Polonia, per diffondere una “rivelazione”, secondo cui nel 2011, quando alla guida del governo era Donald Tusk, sarebbe stato elaborato un segretissimo “piano di ritirata” in caso di invasione russa della Polonia.
In base a quel piano, Varsavia avrebbe dovuto cedere circa il 40% del territorio e, con scaramucce di retroguardia, ritirare le proprie forze a ovest della Vistola: in attesa degli alleati NATO, oppure di «tornarsene a casa», nota sarcasticamente qualcuno, con un velato accenno alla fuga all’estero del governo polacco nel 1939.
Ora, in pochi dubitano del carattere elettoralistico dell’uscita di Blaszczak, soprattutto perché l’ex primo ministro ed ex presidente del Consiglio europeo Donald Tusk è ora alla guida della coalizione liberal-europeista di “Coalizione civica” (data al 30% dei consensi), che sta attivamente rosicchiando la residua maggioranza (37%) degli euro-sanfedisti di “PiS”.
Per intorbidire le acque sull’enorme spreco di denaro con cui l’attuale governo mira a dotarsi dell’esercito più forte d’Europa (passando da 120 a 250.000 uomini), acquista mezzi militari da USA, Corea del Sud, Gran Bretagna, e piazza così la Polonia ai primi posti NATO nel rapporto Bilancio di guerra/PIL, quelli di “PiS” accusano i concorrenti di aver a suo tempo “minacciato di cessione di territori polacchi alla Russia”.
Anche la rivista euro-yankee Politico, nel commentare la sortita di Blaszczak, si sofferma principalmente sulla lotta elettorale polacca. Nel video pubblicato il 17 settembre, Blaszczak afferma che il “piano Tusk” presupponeva che, in caso di attacco, i russi avrebbero raggiunto la Vistola in sette giorni, mentre la Polonia avrebbe potuto resistere al massimo due settimane.
Blaszczak aggiunge che, in base a quel piano, Lublino, Rzeszow, o Lomza avrebbero rischiato di trasformarsi nientemeno che in tante “Bucha polacche”. Ora, senza concedere credito alcuno ai reazionari, predecessori degli attuali reazionari polacchi, a nessuno sfugge l’aperto carattere contingente, fraudolento e antistorico della sparata degli odierni sanfedisti di Varsavia.
Sorvolando per un momento sulla questione “Bucha” – contiamo che i lettori di questo giornale non necessitino di molte spiegazioni – è evidente che le forze russe, per attaccare la Polonia passando per Lublino, Rzeszow, o Lomza, avrebbero dovuto obbligatoriamente attraversare Bielorussia e Ucraina.
“Proprio come nel 1939”, sembra voler dire Blaszczak, in un infantile quanto truffaldino tentativo di stabilire un parallelo tra l’URSS del 1939 e la Russia del 2011 (o del 2023), riproponendo la gesuitica parabola europeista dei “totalitarismi” imperiali che, nei secoli, non mutano mai di carattere e nemmeno di strategie.
Immediata la reazione di alcuni generali, in servizio all’epoca del governo Tusk, i quali ribattono a Blaszczak che qualsiasi paese, nei propri piani di difesa, prevede anche il ritiro su posizioni più difendibili. Il generale in pensione Waldemar Skrzypczak accusa gli estensori del video di voler minare la fiducia degli alleati nei polacchi, presentandoli come disposti a tutto, persino a rivelare i segreti più reconditi di Polonia e NATO: «Davvero qualcuno pensa che la NATO accetti la cosa con tranquillità? Ora temono che vengano rivelati ancora nuovi documenti sull’attività dell’Alleanza».
Un altro generale in congedo, Stanislaw Koziej, ha detto che quei piani vennero elaborati nel 2009, quando Presidente era Lech Kaczynski, gemello del capo del “PiS” Jaroslaw Kaczynski, ed erano stati messi a punto sulla base dei documenti avallati dallo stesso Jaroslaw Kaczynski, quando era primo ministro nel 2007. Ma, a sedici anni di distanza, sempre il farisaico Jaroslaw definisce ora il piano «un enorme scandalo».
L’ex Ministro della guerra all’epoca di Tusk, l’eurodeputato Radoslaw Sikorski (en passant: consorte della “storica” Anne Applebaum) ha fatto la cattedratica scoperta secondo cui «il fatto che i militari abbiano dei piani di azione per ogni circostanza e situazione è un bene e non un male».
E “Coalizione civica” ha dichiarato che, in caso di vittoria elettorale, deferirà Blaszczak alla Corte penale.
Lo spot ministeriale, nota ancora Politico, è concepito per rafforzare il sostegno a “PiS” nelle regioni orientali polacche – già di per sé roccaforte reazionaria – mirando a dimostrare che i liberali della coalizione di Tusk si occupano solo dell’ovest.
La Polonia orientale che, secondo il piano ora “rivelato”, sarebbe la prima a cadere “sotto le grinfie russe”, è per l’appunto la patria degli ultra-nazionalisti di destra, osserva Viktorija Nikiforova su RIA Novosti, elettorato primario di “PiS”, mentre Tusk e la sua “Coalizione” rappresentano la metà occidentale del paese, con Varsavia.
Gli abitanti dell’est si rappresentano i tuskiani come «depravati liberal-decadenti, che sostengono gay pride e LGBT». Di contro, secondo l’elettorato di “Piattaforma Civica”, l’est del paese è popolato da «conservatori, sporchi e arretrati che, se del caso, potrebbero benissimo venir mollati».
In conclusione, con l’uscita del 17 settembre, Varsavia compie un ulteriore passo (più apparente che fattivo, però) sulla strada delle bizze anti-europeiste e anti-ucraine. Un passo essenziale ai fini elettorali della coalizione più retriva tra i due fronti reazionari.
I capricci contro Bruxelles, “arresasi” a Kiev sulla questione dell’embargo sul grano, passano per il più plateale “smascheramento” dei piani traditori dei liberali polacchi, più fedeli alla UE; i capricci contro Kiev, accusata di irriconoscenza per non voler diminuire l’export agricolo, portano con sé le minacce, nell’immediato, di blocco del transito delle forniture militari e, a scadenza posteriore, di fine dell’accoglienza ai profughi ucraini a partire dal 2024.
Il Presidente Andrzej Duda (che pare abbia rifiutato di incontrare Zelenskij all’ONU) ha dichiarato che oggi la Polonia ha a che fare con un soggetto in «procinto di annegare. Chiunque abbia preso parte, anche solo una volta, al salvataggio di qualcuno che sta per annegare, sa che quello è estremamente pericoloso, perché può trascinarti a fondo. Ha una forza incredibile, dovuta alla paura e alla scarica di adrenalina e può semplicemente affogare il salvatore».
Dopo di che, il 20 settembre, l’ambasciatore ucraino a Varsavia è stato convocato al Ministero degli esteri polacco per chieder conto delle affermazioni di Vladimir Zelenskij che, dopo le parole di Duda, ha sibilato che «alcuni paesi UE simulano solidarietà» all’Ucraina, mentre in realtà «sostengono indirettamente Mosca».
A tutti gli effetti, Varsavia non ha alcuna intenzione di farsi trascinare a fondo; casomai, al momento opportuno, potrebbe stringere alla gola il soggetto “annegante” e aprirsi finalmente la strada agli agognati territori orientali.
In tutto questo, il cosiddetto “convitato di pietra” rimane ovviamente Washington, con la sua dependance di Bruxelles: tanto per il passeggero “bisticcio commerciale” Varsavia-Kiev-Bruxelles, quanto, soprattutto per la “scoperta” tardiva dei “piani di resa” polacca alla Russia.
Che nella divulgazione di questi ultimi ci sia lo zampino NATO e, più che alla resa della Polonia, si pensasse alla “cessione” di qualcun altro? Come dire: “parlare a nuora perché suocera intenda”?
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