di Francesco Dall'Aglio
Alle 13 ora locale è entrato in vigore il coprifuoco, mediato dal contingente russo, tra le autorità dell'Artsakh e le truppe azere. Le richieste formulate dal governo dell'Azerbaijan come condizione per la fine della "operazione antiterrorismo" sono state sostanzialmente accolte in toto: le formazioni militari dell'Artsakh saranno disarmate e sciolte e domani le autorità si incontreranno a Yevlakh, in territorio azero, per concordare il pieno reintegro del Nagorno Karabakh sotto la sovranità azera e le garanzie di sicurezza per la popolazione armena. Popolazione che non si fida molto (e probabilmente fa bene) e che si sta rifugiando nelle basi russe o nell'aeroporto di Stepanakert, dove c'è un contingente russo. Al momento le autorità russe comunicano la presenza nelle loro basi di 2621 civili armeni.
Pashinyan, intanto, continua la sua politica che definire ambigua è poco, scaricando la responsabilità dell'intera situazione sulla Russia. Ieri aveva comunicato che l'Armenia non era implicata in alcun modo nella questione dell'Artsakh e, dopo l'inizio delle proteste contro di lui, parte dei suoi sostenitori avevano inscenato una contro-protesta, ovviamente sotto l'ambasciata russa. Oggi, dopo avere dichiarato in un'altra diretta Facebook (alla De Luca, diciamo) che la Russia non è amica dell'Armenia e che l'Armenia non ha preso parte ai negoziati tra Arsakh e Azerbaijan (mi sfugge il nesso tra le due cose), ha aggiunto che ora tocca ai peacekeepers russi assumersi la responsabilità di proteggere la popolazione dell'Artsakh e garantire che possano vivere tranquilli sotto il governo azero senza discriminazioni. Stranamente non ha però chiamato in causa né gli USA, i cui soldati hanno lasciato il paese dopo le esercitazioni congiunte, né gli altri paesi occidentali con i quali si è consultato ieri, primo fra tutti la Francia. La traiettoria futura della sua carriera politica resta abbastanza incerta e non saranno le manifestazioni sotto l'ambasciata russa a Erevan che lo metteranno al riparo da un'opposizione che, al di là dei cortei in piazza, presto gli chiederà conto in Parlamento di quanto successo e del fatto che i "nuovi amici" non hanno mosso un dito, come era ovvio, dopo che dal 2018 a questa parte non ha fatto altro che mettersi contro i "vecchi" i quali, molto diplomaticamente (Zacharov) e col solito stile (Medvedev) gli hanno ricordato ieri che, come dice il nostro proverbio, ognuno dorme nel letto che si è fatto.
Repubblica, come era ovvio aspettarsi, si è unita in pompa magna al treno anti-russo, come se di questa tragedia immane l'unica cosa che conti sia questa, con ben due articoli. Il primo, "Nagorno Karabakh, l’analista Frappi: “Mosca che sta a guardare è la minaccia più grande per gli alleati di Erevan” è, al di là del titolo, molto bilanciato e non assegna nessuna responsabilità.
Il secondo un'intervista a Marut Vanyan, giornalista abbastanza schierato, è di tenore ben diverso a partire dal titolo: "Le voci dal Nagorno Karabakh, nei rifugi a Stepanakert con le bibbie e i video: “I russi ci hanno tradito” e dalla conclusione: "... gli abitanti di Stepanakert non sanno cosa aspettarsi dal futuro e si sentono abbandonati dal mondo e soprattutto dalla Russia. Quando la gente parla dei peacekeepers russi li ricopre di insulti" continua Vanyan. "In molti si aspettavano che avrebbero garantito la pace ed ora che veniamo bombardati non fanno nulla. È difficile pensare che non fossero al corrente di questo attacco. Sono qui ma è come se non ci fossero". Colpa della Russia, quindi, in un articolo nel quale Vanyan riesce a non nominare mai Pashinyan e il fatto che l'Armenia in primis non ha mai riconosciuto l'indipendenza dell'Artsakh.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento