Da alcuni giorni si discute del disegno di legge del governo, presentato il 18 settembre, sulla “revisione della disciplina in materia di valutazione del comportamento delle studentesse e degli studenti”.
Leggendo il testo si apprende che la finalità di tale DdL sarebbe quella di “ripristinare la cultura del rispetto, di affermare l’autorevolezza dei docenti (...) e di rimettere al centro il principio della responsabilità”. In tal senso si sono espressi gli esponenti del governo, primi tra tutti la Presidente del Consiglio Meloni e il ministro Valditara.
Tuttavia, il DdL non è altro che un elenco di possibili sanzioni disciplinari a carico degli studenti responsabili, secondo i consigli di classe, di cattivo comportamento.
Sanzioni che, in caso si arrivi a decretare il cinque in condotta possono comportare la ripetizione dell’anno scolastico o la non ammissione agli esami finali del ciclo d’istruzione. Nel caso, meno grave, di attribuzione del sei, lo studente dovrà, per accedere all’anno scolastico successivo, presentare un elaborato critico in materia di cittadinanza attiva e solidale.
Un passaggio particolarmente significativo riguarda il fatto che si possa accedere alla fascia di punteggio più alto nella attribuzione del credito scolastico solo se il voto di comportamento è di almeno 9/10.
In pratica, con otto in condotta non si può ottenere un punteggio alto alla maturità. Per quanto attiene al tema “sospensioni”, che dovrebbero essere solo un ricordo del passato, il DdL invece le rilancia, disponendo persino, per quelle di più di due giorni, l’affidamento a strutture convenzionate per lo svolgimento di attività sociali, che potranno essere prolungate anche dopo il rientro a scuola.
In pratica, qualcosa di simile all’affidamento ai servizi sociali sinora riservato ai condannati dalla Magistratura come pena alternativa al carcere.
Il DdL pretende così di affrontare fenomeni, anche reali, di disagio sociale che si riflettono nella scuola, o anche lo scarso rispetto verso gli insegnanti esclusivamente con provvedimenti di carattere repressivo. Giorgia Meloni ha parlato di ristabilire “l’autorevolezza” e “l’autorità” degli insegnanti confondendo ancora una volta tali termini con l’autoritarismo, che è tutt’altra cosa.
A parte questa confusione terminologica, normale per chi ha ancora nel simbolo del partito la fiamma in memoria di Mussolini, c’è da chiedersi, valutando le azioni del suo governo, come proprio Giorgia Meloni possa parlare di autorevolezza degli insegnanti.
Le e gli insegnanti sono costretti da anni (in questo il governo Meloni non è il primo) a fare i conti con un impoverimento della loro professionalità, dovuto a una drastica riduzione della libertà d’insegnamento e a un aumento della burocratizzazione del loro lavoro, alla dematerializzazione del loro ruolo a causa della digitalizzazione ossessiva e infine a subire contratti punitivi ed economicamente umilianti.
Infine, avanza la gerarchizzazione del ruolo docente, con la creazione dei tutor, degli orientatori, dei collaboratori scelti dal preside ecc. Il progetto è trasformare gli insegnanti da professionisti in soldatini burocrati, tutt’altro che promuovere la loro autorevolezza, che peraltro si conquista e si afferma con il lavoro nel corso degli anni e non per decreto.
Come se non bastasse, il principale partner di governo di Meloni, Matteo Salvini, ha più volte additato all’opinione pubblica gli insegnanti come nullafacenti e vacanzieri per tre mesi l’anno (cosa falsa, ma ossessivamente ripetuta).
Inoltre, per quanto riguarda i rapporti a volte complicati con gli studenti, nulla si fa per una riduzione del numero di alunni per classe, che permetterebbe una migliore relazione educativa né per migliorare gli spazi fatiscenti e oppressivi in cui si svolge la vita scolastica. In questa situazione ciò che si vuole portare nella scuola è solo un’ondata autoritaria di stampo fascista.
Ben altri che la riforma del voto di condotta dovrebbero essere i provvedimenti per concorrere ad affermare l’autorevolezza degli insegnanti minata da un contesto politico e sociale a cui hanno concorso governi e partiti anche dell’attuale maggioranza.
Tutto ciò non esclude peraltro la questione che da sempre riguarda il voto di condotta, cioè il suo uso repressivo che in presenza di un governo di estrema destra è un pericolo sempre più evidente. È più di un sospetto che il pretesto di colpire comportamenti violenti e irrazionali contro insegnanti e compagni di scuola possa nascondere il fine di reprimere occupazioni, scioperi e l’attività politica in genere nella scuola.
Siamo quindi di fronte a un DdL autoritario e repressivo che nulla ha a che vedere con il miglioramento della vita scolastica e delle relazioni educative che notoriamente non si fondano sulla repressione e sulle punizioni che, in genere, per quanto riguarda i bambini e gli adolescenti, hanno il solo effetto di esacerbarne i comportamenti scorretti.
Appaiono quindi completamente fuori luogo i commenti di alcuni pedagogisti o psicologi che hanno voluto assimilare i temi oggetto del DdL governativo con il ripristino della legalità e con l’educazione alla stessa. Anche su questo vale la pena di spendere qualche riga.
Molti progetti di “educazione alla legalità” appaiono infatti ispirati più alla passività verso il rispetto delle leggi qualunque esse siano piuttosto che alla discussione sul potere che le emana e sulla loro origine. Le leggi che si sono succedute nella storia, anche in quella recente, della Repubblica, non piovono dal cielo ma sono la codificazione dei rapporti sociali e tra le classi. Questa è la realtà storica che si deve presentare ai giovani.
Per questo credo sia più utile pensare a un’educazione alla giustizia in tutti i suoi aspetti e non alla legalità, poiché possono esistere anche leggi ingiuste e sbagliate contro le quali è bene lottare per ottenere un loro cambiamento. Questo è il vero senso della partecipazione civile e della cittadinanza a cui risvegliare ed educare i giovani; il che non ha nulla a che vedere la stesura di qualche elaborato farlocco, magari scaricato da internet per rimediare a un sei in condotta.
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