In Germania, in queste ore, file di trattori bloccano strade e autostrade un po’ come ai tempi dei leghisti “Cobas del latte” (uno dei tanti casi di appropriazione indebita di sigle di sinistra da parte della destra).
Sono gli agricoltori tedeschi che stanno protestando contro i cambiamenti delle politiche agricole del governo, in particolare contro l’eliminazione di una serie di sussidi, tra i quali gli sconti per il gasolio agricolo.
Apprendiamo così, nell’occasione, che i sussidi vietati – o sotto minaccia di sanzioni – in tutti i paesi UE in Germania sono stati allegramente concessi per decenni.
Un po’ come la storia delle banche, per cui è stato imposto il bail in (salvataggio a carico di azionisti, obbligazionisti e correntisti) nel caso di paesi deboli (ricordiamo Cipro, ma anche in Italia), mentre Berlino metteva le landesbanken regionali al riparo dell’azione della Bce e procedeva a salvare Deutsche Bank dal fallimento (esposizione sui derivati Usa).
Ora l’agricoltura viene scossa dal combinato disposto di almeno tre processi voluti dall’Unione Europea e dunque dallo stesso governo tedesco: le politiche ambientali, che penalizzano ovviamente i combustibili fossili (i trattori elettrici sono di là dal venire progettati, se pure sarà possibile); la riduzione degli “aiuti di stato”, su cui Berlino tuona quando riguardano altri; la concorrenza dei paesi dell’Est, ormai quasi completamente integrati nelle filiere tedesche.
L’impoverimento drastico del “ceto medio” (nelle sue componenti inferiori) che aveva già riguardato i lavoratori salariati – vessati con il blocco salariale, le leggi Hartz IV, i mini-job, la precarietà a vita – ora investe anche gli “agricoltori diretti”, ossia gli imprenditori di basso livello e scarsi capitali.
Il “modello tedesco” imposto a tutta Europa con l’austerità ora si va rompendo su diversi piani, ma non è per nulla chiaro dove possa trovare spazi di crescita alternativi.
Il “mercantilismo” e la moneta unica hanno dato un grande vantaggio strategico all’economia di Berlino, ma la guerra alle porte, la fine del gas a buon mercato dalla Russia, la necessità-imposizione di aumentare la spesa militare, stanno rompendo i meccanismi “virtuosi” (a vantaggio della Germania) dell’attuale assetto continentale.
Questa fulminante analisi di Guido Salerno Aletta per TeleBorsa getta una luce sinistra sul futuro a breve. Non solo per Berlino, ovviamente...
Sono gli agricoltori tedeschi che stanno protestando contro i cambiamenti delle politiche agricole del governo, in particolare contro l’eliminazione di una serie di sussidi, tra i quali gli sconti per il gasolio agricolo.
Apprendiamo così, nell’occasione, che i sussidi vietati – o sotto minaccia di sanzioni – in tutti i paesi UE in Germania sono stati allegramente concessi per decenni.
Un po’ come la storia delle banche, per cui è stato imposto il bail in (salvataggio a carico di azionisti, obbligazionisti e correntisti) nel caso di paesi deboli (ricordiamo Cipro, ma anche in Italia), mentre Berlino metteva le landesbanken regionali al riparo dell’azione della Bce e procedeva a salvare Deutsche Bank dal fallimento (esposizione sui derivati Usa).
Ora l’agricoltura viene scossa dal combinato disposto di almeno tre processi voluti dall’Unione Europea e dunque dallo stesso governo tedesco: le politiche ambientali, che penalizzano ovviamente i combustibili fossili (i trattori elettrici sono di là dal venire progettati, se pure sarà possibile); la riduzione degli “aiuti di stato”, su cui Berlino tuona quando riguardano altri; la concorrenza dei paesi dell’Est, ormai quasi completamente integrati nelle filiere tedesche.
L’impoverimento drastico del “ceto medio” (nelle sue componenti inferiori) che aveva già riguardato i lavoratori salariati – vessati con il blocco salariale, le leggi Hartz IV, i mini-job, la precarietà a vita – ora investe anche gli “agricoltori diretti”, ossia gli imprenditori di basso livello e scarsi capitali.
Il “modello tedesco” imposto a tutta Europa con l’austerità ora si va rompendo su diversi piani, ma non è per nulla chiaro dove possa trovare spazi di crescita alternativi.
Il “mercantilismo” e la moneta unica hanno dato un grande vantaggio strategico all’economia di Berlino, ma la guerra alle porte, la fine del gas a buon mercato dalla Russia, la necessità-imposizione di aumentare la spesa militare, stanno rompendo i meccanismi “virtuosi” (a vantaggio della Germania) dell’attuale assetto continentale.
Questa fulminante analisi di Guido Salerno Aletta per TeleBorsa getta una luce sinistra sul futuro a breve. Non solo per Berlino, ovviamente...
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Guido Salerno Aletta – Agenzia Teleborsa
Alla Germania, sono tanti anni che dell’Europa non interessa più niente: dalla crisi del 2010 in poi, non è più il mercato di riferimento su cui guadagna di più con le esportazioni.
Anzi, ci perde!
L’unione europea a 28 è un Continente imbolsito da decenni di politiche fiscali estenuanti, al cui interno si manifestano distorsioni profondissime determinate dall’euro, una “moneta debole” per l’economia tedesca, che la sfrutta per accumulare risorse immense.
Sono già tre anni che la Germania accusa un saldo negativo per merci nelle relazioni infra-UE: -11 miliardi di euro nel 2020, -14 miliardi nel 2021 e -38 miliardi nel 2022. Nel 2007, alla vigilia della Grande Crisi Finanziaria Americana, questo saldo era stato invece attivo per la somma record di 101 miliardi di euro.
Da lì in avanti, questa cifra si è andata costantemente riducendo, soprattutto a partire dal 2012 quando era già crollata a soli 19 miliardi di euro, fino ad arrivare al passivo nel 2020: è chiaro che per la Germania l’Unione Europea non è più la gallina dalle uova d’oro che era stata dal 1992 al 2008.
La feroce stretta fiscale introdotta con il Fiscal Compact nel 2012, dopo due decenni di follie finanziarie e bancarie compiute sotto la copertura dell’euro, ha trasformato l’Europa in una sorta di cimitero dello sviluppo.
Tanto per essere chiari: mentre nel decennio che intercorre tra il 2002 ed il 2012 la Germania ha accumulato un saldo attivo per merci infra-UE per ben 683 miliardi di euro, nel decennio che intercorre tra il 2012 ed il 2022 il saldo attivo accumulato è crollato ad appena 55 miliardi di euro.
La storia è completamente diversa se si considera invece il saldo estero complessivo della Germania, infra-UE ed extra-UE, che vede invece anche in questi ultimi tre anni un attivo: pari a 184 miliardi di euro nel 2020, a 181 miliardi nel 2021 ed a 90 miliardi nel 2022.
Questo dato è di una importanza straordinaria.
Bisogna chiedersi infatti come mai in questi tre anni, 2020, 2021 e 2022, la Germania abbia contemporaneamente accumulato un saldo “passivo” solo nei confronti degli altri Paesi dell’Unione europea, il totale infra-UE è stato pari a -63 miliardi di euro, mentre il saldo è stato “attivo” per una cifra sbalorditiva considerando tutte le transazioni commerciali: infra-UE ed extra-UE pari a 455 miliardi.
Eliminando il passivo infra-UE, il saldo attivo extra-UE della Germania è stato infatti di 518 miliardi di euro.
Due considerazioni: mentre le merci tedesche non hanno più mercato in Europa, un Continente imbalsamato nelle sue contraddizioni, le stesse merci hanno continuato ad essere vendute benone nel resto del mondo per merito di un euro “debole”.
La debolezza dell’Unione europea, che si riflette sul cambio della moneta unica, è stata utile alla Germania per conquistare i mercati extra-UE.
Nessuno sa bene, ora, che cosa succederà alla competitività della produzione industriale della Germania, e dell’intera Europa, non avendo più il vantaggio del gas russo a buon mercato.
Ma è certo che un euro debole, per la Germania, è stato ed è un grande vantaggio: più il resto dell’Europa annaspa, e meglio è. L’Unione deve solo galleggiare, basta che non imploda.
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