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02/01/2024

Quelli che... senza guerra siamo rovinati!

Mano a mano che si fa più chiaro che gli Stati Uniti hanno intenzione di ridimensionare il proprio impegno nella guerra russo-ucraina, scatenata dalla Russia ma provocata dal comportamento dell’Occidente allargato (ovvero da Washington), cresce a vista d’occhio, almeno qui in Italia, la schiera delle vedove inconsolabili, almeno nel variopinto mondo di quello che un tempo chiamavamo giornalismo e oggi sarebbe forse meglio chiamare “ufficio stampa dell’Impero”.

Non si contano ormai gli articoli, di fondo e non, che levano urla di dolore all’indirizzo della Casa Bianca: non abbandonate l’Ucraina, non abbandonate i valori dell’Occidente alla ferocia dello zar Putin!

In verità danno la colpa (preventiva) all’eventuale futuro presidente repubblicano, ovvero a Trump, dal momento che questi ha più volte sostenuto di voler risolvere la guerra «in due o tre giorni».

Ma non v’è chi non capisca che la preoccupazione è per l’oggi, o se vogliamo anche per l’eventuale Biden-bis: anche tra i democratici, infatti, al di là della retorica, si sta facendo strada molto velocemente la voglia di sfilarsi dal conflitto.

I democratici (e i nostri giornaloni con loro) attribuiscono tale propensione ai soli Repubblicani, i quali in effetti stanno bloccando l’ultima tranche di aiuti (61 miliardi di dollari) per l’Ucraina; ma è anche vero che l’Amministrazione si sta raffreddando a vista d’occhio verso Zelensky, complici i sondaggi (tra meno di un anno si vota) che ormai danno il 55% degli statunitensi contrari a ulteriori aiuti.

Una situazione di “disaffezione” che si risente subito a Kiev, dove il regime di Zelensky è alla disperazione, mentre le voci dissonanti ormai si moltiplicano: dalle dichiarazioni-bomba del generale Zaluzhny all’Economist [1] fino al riemergere, nella scena politica di una figura come Arestovich, che osa porre il tema del compromesso con la Russia [2].

In ogni caso i toni sono altamente drammatici. Angelo Panebianco, dalla prima pagina del Corriere del 9 dicembre strilla che il «nostro mondo» è minacciato da due eventi-fine-del-mondo: «Donald Trump vincitore delle elezioni presidenziali del 2024 e Vladimir Putin vincitore nella guerra in Ucraina» [3]. E ora tenetevi forte:

«Se questi due eventi si verificassero, l’Occidente come lo abbiamo conosciuto non esisterebbe più. Nel resto del mondo subirebbe una accelerazione la corsa, già in atto da tempo, di tanti paesi a stringere legami con le potenze autoritarie, Cina e Russia. (…) Ne deriverebbe (…) un forte aumento del disordine mondiale. Con conseguenti rischi di guerra tra le grandi potenze [come se la guerra tra grandi potenze non fosse già in atto, e proprio come effetto della volontà degli Usa di non scendere a patti in alcun modo con la Russia! – NdR]».

Per l’Europa, in particolare, sarebbe un disastro. Non essendosi minimamente preoccupato che questa guerra russo-ucraina senza se e senza ma sta comportando la distruzione dell’economia europea – di cui il sabotaggio del NordStream 2 nel settembre 2022 è stata la rappresentazione plastica – ora Panebianco sembra però terrorizzato dalle conseguenze di un disimpegno americano:

«La Nato perderebbe forza e credibilità. Agli europei verrebbe di colpo meno la protezione americana. Il successo di Putin renderebbe politicamente più forti e influenti le forze filo-russe presenti in Europa occidentale. Esse chiederebbero a gran voce un accordo tra Europa e Russia», ciò che per Panebianco rappresenta il peggiore incubo.

Poi – continua Panebianco – farebbero una pessima figura anche le classi dirigenti dell’Ue (e qui vorremmo segnalargli che la stanno già facendo da tempo a prescindere…), dal momento che «avevano puntato tutto sulla Nato e sulla sconfitta di Putin in Ucraina».

A quel punto, poi, la Russia dilagherebbe verso Occidente senza più freni. Tanto che il nostro editorialista liberale ormai disperato non si trattiene dall’invocare una stretta autoritaria nella “governance” dell’Ue, così descritta:
«Chissà? Forse posti di fronte a una situazione di emergenza e a opinioni pubbliche spaventate e nelle quali crescerebbe la domanda di sicurezza, le élites europee (di alcuni Paesi europei) potrebbero decidersi a realizzare ciò che hanno sempre fin qui evitato di fare: spostare definitivamente il comando politico (i giuristi direbbero: la sovranità) dal livello nazionale a un livello sovranazionale, europeo.

Per inciso, ciò non potrebbe certo avvenire, come vorrebbero le nostre tradizioni e le nostre propensioni legalitarie, seguendo un’impeccabile procedura, con la “revisione” dei trattati europei. Avverrebbe, come sempre accade nelle situazioni di emergenza, per via extra-giuridica, con un accordo politico fra alcuni Paesi europei, aggirando la vigente regola dell’unanimità che è in grado di bloccare tutto».
Non resta indietro il Sole 24 Ore, che strilla in prima pagina che “Un mondo senza America è una manna per i dittatori”. Analoghi gli argomenti dell’autore, il solito Sergio Fabbrini, predicatore domenicale del Verbo turbo-capitalistico e atlantista sulle pagine del quotidiano economico. Solo, non si capisce perché un eventuale riorientamento degli Stati Uniti dovrebbe coincidere addirittura con… un mondo senza America [4].

Insomma, da questi documenti – e chi vuole se ne può procurare a volontà sfogliando o scorrendo il sito di qualsiasi “giornalone” italiano – emerge chiaro il profilo di quel ceto giornalistico organico al sistema di potere globale americano (al quale del resto appartiene, via NATO, anche quello dell’Unione europea – come questa guerra ci ha dimostrato in maniera irrefutabile) per il quale, senza il colosso americano in guerra è la fine del mondo, e la stessa Unione europea è bene che si trasformi quanto prima in una pura e semplice colonia americana.

Ma la cosa divertente è che questi ormai sono più realisti del re. Anzi, più amerikani del Presidente (amerikano).

Naturalmente, si potrebbe obiettare, razionalmente, a questi cosiddetti osservatori e analisti, in verità semplici propagandisti dell’impero Usa-NATO, che, tra stanchezza per la guerra (di tutti i protagonisti), elezioni presidenziali americane in arrivo, esplosione del quadro mediorientale, si potrebbe pure prospettare qualcosa di buono, almeno rispetto ai quasi due anni di guerra tra Russia e Ucraina.

Mi riferisco alla possibilità di riapertura di un decente canale diplomatico con la Russia, terreno sul quale si potrebbero esercitare le diplomazie europee se venissero “riattivate”, con un possibile effetto positivo anche nel raffreddamento delle tensioni in Medioriente (posto che qualcuno lo voglia), perché è chiaro che un ruolo di una Russia “riabilitata” potrebbe essere fondamentale nel costruire canali di comunicazione tra Israele e Hamas.

Naturalmente – sia detto per inciso – parlo di possibilità assai poco probabili [5].

Si potrebbe dire tutto questo, ma per ora basti rilevare il disorientamento dei servitori della stampa iper-atlantista che si sentono anticipatamente orfani, nonché il fatto, altamente ironico, che il maggiore disagio per l’eventuale raffreddamento del conflitto russo-ucraino (è difficile immaginare che si arrivi a breve a una pacificazione tra le parti) sembra percepirsi più tra le classi dirigenti europee vassalle degli Usa, che nello stesso cuore dell’Impero a stelle e strisce.

Qui, infatti, vige da sempre un certo grado di pragmatismo: se c’è da fare una guerra la si fa, e si racconta anche che è giusta, oppure inevitabile, o che il nemico è Mefistofele in persona eccetera; poi però, se le cose cambiano, la si chiude in fretta e Mefistofele può anche ritornare un partner accettabile. Si pensi alla vicenda afghana 2001-2021.

Diverso qui in Europa: alle baggianate che diffondiamo (per nostro conto o per conto di Washington) ci crediamo davvero.

Tanto è vero che, ormai a corto di argomenti per infinocchiare le nostre opinioni pubbliche sulla facile e rapida sconfitta del «dispotismo» russo, non ci resta che festeggiare a reti e giornali e siti web unificati il (piuttosto remoto) ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea. [6]

Come se poi questo fosse un fatto politico-militare rilevante, e non rappresentasse d’altra parte (quando mai dovesse avvenire) una spaventosa zavorra economica capace forse di azzoppare definitivamente la nostra area economica (di «buco nero di dimensioni epocali» ha parlato non a torto Lucio Caracciolo) [7].

E così, mentre l’economia va a rotoli e le relazioni con la Russia da puntello geoeconomico si sono trasformate in fonte di tensione e debolezza, col cerino in mano finiremo per restarci noi europei [8]. Che romantici!

Note

[1] Il comandante in capo ucraino Valey Zaluzhny (cfr. War of attrition, “The Economist”, November 4th 2023, p. 23-24) ha parlato di situazione di stallo e senza sbocchi, accusando esplicitamente i partner Nato di avere spinto le forze armate ucraine a sferrare una controffensiva impossibile. Le dichiarazioni di Zaluzhny non devono essere piaciute molto a Zelensky, e per nulla a coloro che, qualche giorno dopo, hanno mandato a uno stretto collaboratore del generale, un certo Gennady Chastyakov, nel giorno del suo compleanno, un simpatico… pacco-bomba.

[2] La vicenda del ritorno di Arestovich è molto sintomatica. Oleksiy Arestovich è stato un uomo dell’inner circle di Zelenzky, suo consigliere alla comunicazione tra l’altro, e ha accumulato grande influenza a partire dall’inizio della guerra. Dopo essere, però, caduto in disgrazia, da alcuni mesi è riapparso alla ribalta presentandosi come alternativa al sempre più “autoritario” governo personalistico di Zelensky (ma lui conta di contrapporgli in suo personalismo – pensate che allegria) e soprattutto come alternativa alla prospettiva di guerra senza fine alla Russia. In tal senso Arestovich sembra proporre un percorso di compromesso incentrato sullo scambio pace in cambio di alcuni territori e diritti per i russofoni. Cfr. Oleksiy Bondarenko, Oleksiy Arestovich: ascesa, caduta e ritorno di un politico ucraino, “East Journal”, 11 dicembre 2023.

[3] Angelo Panebianco, Le minacce al nostro mondo, “Corriere della sera”, 9 dicembre 2023, p. 1 e 40.

[4] Sergio Fabbrini, Un mondo senza America è una manna per i dittatori, “Il Sole 24 Ore”, 10 dicembre 2023.

[5] Con queste considerazioni, infatti, non intendo alimentare troppe illusioni su un riorientamento “pacifista” dell’imperialismo Usa per i prossimi anni, né nell’ipotesi di una vittoria del fronte isolazionista-trumpiano, in cui all’apprezzabile critica della politica di “esportazione della democrazia” si associa però una forte ostilità alla Cina e al mondo arabo (nonché all’Iran); né nell’ipotesi della vittoria dei democratici “bideniani”, di cui allo stato delle cose è difficile immaginare una conversione a una politica estera diversa da quella dell’interventismo democratico-liberale (a presidio del quale sta l’abile e preparato neocon Antony Blinken). In questo senso, mi sento di concordare con quanto scrive Fabrizio Poggi, La resa in Ucraina? Nessuna illusione sull’imperialismo Usa-Ue, “L’Antidiplomatico”, 10 dicembre 2023.

[6] Il Consiglio europeo ha decretato l’inizio dei negoziati per l’entrata dell’Ucraina in Europa: come poi tale processo prosegua e finisca, è tutto da vedere!

[7] Francesco Rigatelli, Lucio Caracciolo: “Kiev è ormai uno stato fallito: saranno gli europei a pagare il conto”, “La Stampa”, 15 dicembre 2023.

[6] Basta guardare alle ultime dichiarazioni dell’ormai decotto premier tedesco Olaf Scholz, che al congresso della Spd ha dichiarato che, se gli Usa dovessero ridimensionare il loro sostegno militare all’Ucraina, a fare la differenza ci penserà… la Germania .

È probabile che non si accontenti del tasso di popolarità del 20% che gli attribuscono i sondaggi (il più basso tra tutti i cancellieri della Repubblica federale), ma voglia scendere un po’ più giù.

Fonte

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