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11/02/2024

Sanremo 2024 - Pagelle e analisi del Festival

Breve introduzione alla 74° edizione

L’edizione del Festival di Sanremo che porta a termine il regno quinquennale di Amadeus si chiude con la vittoria di Angelina Mango, con una delle poche canzoni in grado di distinguersi per personalità della proposta musicale. Sì, perché sin dalla prima serata la sensazione è stata quella di assistere all'edizione meno interessante delle ultime cinque, con molti (troppi?) brani costruiti con arrangiamenti simili (gli autori sono un attimino ridondanti, ma approfondiremo più in basso...), quasi sempre incentrati su cassa dritta e voglia di dancefloor, ponendosi in scia a quei suoni à-la Elodie in grado di assicurare rapidi riscontri radiofonici. Gli spunti interessanti si perdono così nella ripetitività degli stessi, nell’eterna replica del medesimo sound, attitudine che lascia emergere l’incapacità (ma meglio sarebbe dire la mancanza di volontà) degli autori di tracciare nuove direzioni. L’obiettivo non è più comporre il motivo giusto per vincere Sanremo (cioè la tipica costruzione in crescendo, con ritornello iper-coinvolgente e ultra commovente) quanto quello maggiormente adatto a "spaccare" nelle radio – e di conseguenza nelle classifiche di vendita – in tempo reale. Omologazione dello stile, quindi, per un Festival privo di novità dal punto di vista artistico, senza sorprese, scorrevole ma a tratti tendente alla mediocrità. Grandi assenti il rock e le chitarre: non c’è nulla che possa neanche lontanamente ricordare la scossa elettrica dei Maneskin (più di qualcuno ne sarà felice), manca qualsiasi proposta realmente alternativa. Si arriva a sobbalzare dalla sedia giusto per gli orsacchiotti di Dargen D’Amico e per le creste punk dei La Sad.

Quelle di Angelina Mango e Annalisa (terza classificata) sono parse da subito le due performance più compiute, anche per la capacità di adeguare ai canoni sanremesi i modelli internazionali ai quali le due artiste si ispirano. La Mango cerca un'energica sintesi fra tradizione e contemporaneità, flirtando con elementi ispanici (la cumbia, il flamenco) e guardando in maniera decisa all'esperienza di Rosalìa (ottimo il lavoro svolto con i co-autori Madame e Dardust), Annalisa non teme di evidenziare i propri ingombranti riferimenti (qualcuno ha detto Taylor Swift?) persino attraverso il taglio dei capelli e la scelta dell'outfit. Fra le due cantanti, al secondo posto si è piazzato Geolier, spinto soprattutto da una vera e propria acclamazione giunta sulle ali del televoto, sempre decisivo quando sul palco ci sono cantanti particolarmente amati dal pubblico più giovane.
La caduta di stile avvenuta la seconda serata, nel penoso siparietto con John Travolta, viene riscattata da uno show complessivamente di buon livello, in grado negli ultimi anni – grazie al lavoro di svecchiamento portato avanti dalla direzione artistica di Amadeus – di riunire per cinque lunghissime serate un'audience transgenerazionale, avvicinando per la prima volta nella sua storia un pubblico giovanissimo. Trenta canzoni in gara sono sembrate davvero troppe, come una Serie A di trenta squadre, certamente inclusiva ma con troppe formazioni non all’altezza del massimo campionato, con il gioco che ovviamente ne risente. I troppi compromessi necessari per stilare la lista dei concorrenti, evidentemente pongono il direttore artistico nelle condizioni di non poter dire troppi “no”. (Claudio Lancia)

La questione “omologazione”

La questione spinosissima, sollevata un po’ ovunque già settimane prima dell’inizio del Festival, sulla presenza massiccia di alcuni autori nei trenta brani in gara, è giocoforza fisiologica quando la direzione artistica di una rassegna assume contorni baudiani. Il che non è una giustificazione, tutt’altro: pone in ballo la necessità di affidare alla stessa persona per troppo tempo la vetrina di fatto più importante del mainstream nostrano. Succede così che Tropico, ossia il cantautore pop napoletano Davide Petrella, si trovi a firmare ben quattro canzoni, quasi come se non fossero bastati il primo e il secondo posto dello scorso anno conquistati come autore delle canzoni di Marco Mengoni e Lazza. Oppure che Cheope, cioè Alfredo Rapetti, il figlio del paroliere per antonomasia Mogol, appaia in tre brani. E ancora altri immancabili come Davide Simonetta o Jacopo Et, al secolo Jacopo Angelo Ettore, anche lui come Rapetti presente tre volte. Insomma, se da un lato negli ultimi anni si è assistito a uno svecchiamento della proposta sanremese, dall’altro lato si è progressivamente fatto spazio un coagulo di penne più o meno satellitari alle major del caso, che ha creato l’inevitabile ristagno a valle in un’edizione annacquatissima.

Le canzoni della settantaquattresima puntata, per dirla con Netflix, della kermesse ligure finiscono dunque spesse volte per essere il risultato di una congrega narrativa (e ritmica) tanto blasonata quanto ripetitiva. Si prenda il caso della cassa dritta che mai in passato aveva tanto bordeggiato a Sanremo, o i ganci melodici che scuotono la memoria breve come ben dimostra “Cenere” di Lazza che appare e scompare in “I p’ me, tu p’ te” di Geolier. È un loop che dovrebbe dissolversi il prossimo anno, quantomeno sulla carta, a meno che Amadeus non voglia “sorprenderci” tutti con un ulteriore gettone. Eventualità, quest’ultima, che metterebbe seriamente a rischio la bontà della proposta sanremese, così come già accaduto in passato quando l’Ariston fini per diventare il palco di riserva di Amici. (Giuliano delli Paoli)

Le pagelle

Alessandra Amoroso - "Fino a qui"
Le briciole di "Amici" che un tempo non troppo lontano erano i primi piatti del Festival tornano ogni tanto sulla tavola. Accade soprattutto con Emma e per la “prima volta” ad Alessandra Amoroso, che all’Ariston si è spesso presentata come duettante accanto alla sopracitata Emma o alla meteora dei laghi Valerio Scanu. Stavolta, però, la diva delle torte fatte in casa e delle canzoni ai matrimoni da cantare per piangere con la zia debutta come concorrente con una canzone scritta da Jacopo Et che è un campionario di tutto lo scibile delle orripilanti compilation “Scialla” di "Amici", tra strofe piatte (“Un’altra notte di pioggia scivola come una goccia”) che farebbero impallidire anche Franco Arminio, ossia il peggior poeta italiano del dopoguerra, e ritornelli scipiti da chiedere aiuto a quel “simpaticone” di Cannavacciuolo. Tornando seri, “Fino a qui” è una ballata urlata male, che ha la velleità di crescere sul finale con un improvviso tambureggiare a introdurre per l’ultima volta il ritornello che somiglia ad altri duecento scritti dagli ex-concorrenti di uno dei talent più rovinosi per la musica pop di questo paese. Ammesso che esista un talent costruttivo. Ma questa è un’altra storia. (Giuliano Delli Paoli)
Voto: 2

Alfa - "Vai!"
È Ed Sheeran, no è Avicii, no sta cantando "Old Town Road". Qualcuno dice che il brano lo hanno già inciso gli OneRepublic e che il riff in ogni caso è pressoché lo stesso. Il pezzo portato in gara dal ventitreenne Alfa non brilla in assoluto per originalità, ma nel contesto del festival è tutto sommato una boccata d'aria. E senz'altro suona parecchio radiofonico. Quattro accordi (gli stessi di buona parte delle canzoni in competizione) e un efficace "wohoo!", canzonato da Fiorello per allungare ancora un po' il brodo dell'interminabile ultima serata. "Se muoio giovane spero sia dal ridere", recita uno dei versi di "Vai!", e anche questo pare sia altrui: è l'incipit di "Wait for me" del rapper Alberto Dubito, morto a ventun anni dodici anni fa, suicida. Tutto un altro il tono di Alfa, che con piglio - fortunatamente - poco serioso celebra lo slancio del seguire i propri sogni. Ingenuo, innocuo, un po' retorico? A ventitré anni ci può stare.
(Marco Sgrignoli)
Voto: 6


Angelina Mango - "La noia"
Rosalía che incontra Madame al Coachella e le gira qualche barra perché le stanno troppo simpatiche le groupie italiane. È iniziata più o meno così la genesi de “La noia”, quantomeno nelle pagine di un racconto fantasioso ma non troppo. Perché la canzone vincitrice, grazie alla sala stampa che ribalta il verdetto popolare, sembra proprio nata dall’incontro tra la cantante catalana e quella vicentina. Angelina ce la mette tutta ma non ha la voce adattabile a tutto e potente come quella di mamma Laura. È la cumbia della noia, canta la ventiduenne di Maratea. Ma al di là del ritmo vagamente gitano, utile la prossima estate per gli animatori, rigorosamente fan di Fiorello, in un campeggio a caso del Salento, il brano è un frullato di stereotipi percussivi neolatini a dir poco inflazionati. Il testo è vagamente pacchiano e il tocco di Dardust stracotto. Piace al pubblico dell’Ariston e ai giornalisti che remano da due mesi contro Geolier, ed è tutto dire. La mediocrità è raggiunta solo per l’energia che impiega la Mango in studio, rendendo il tutto meno indecente. (Giuliano Delli Paoli)
Voto: 5

Annalisa - "Sinceramente"
Taglio di capelli e outfit inequivocabilmente ispirati alla superstar Taylor Swift, brano composto con in testa “Can’t Get You Out Of My Head” di Kylie Minogue, Annalisa e i suoi autori pescano dal meglio del pop mondiale per presentare uno dei grandi tormentoni dei prossimi mesi, specialità nella quale la cantante ligure non teme certo confronti. “Sinceramente” è una canzone semplice ma efficace, in grado di colpire sin dal primo ascolto: non a caso si piazza benissimo già dalla prima serata. Seducente e convincente, Annalisa regge la scena con sicurezza, sensualità ed eleganza, ormai ultra consapevole delle proprie capacità. Visto il livello non altissimo delle canzoni in gara, si ritrova ad avere un’occasione forse irripetibile per vincere, occasione che si infrange contro il fattore televoto, in grado di spingere in alto Geolier, e ancor più contro l’inarrestabile ciclone Angelina Mango. Straordinaria anche nella serata dei duetti, quando riesce a convincere anche i più scettici reinterpretando "Sweet Dreams" degli Eurythmics, supportata da La Rappresentante di Lista. Chiude la classifica generale al terzo posto, senza demeritare nei confronti dei due colleghi che l’hanno preceduta. (Claudio Lancia)
Voto: 8 

BigMama - "La rabbia non ti basta"
Marianna Mammone in arte BigMama viene da un piccolo paesino dell’avellinese, San Michele di Serino, e arriva a Sanremo come outsider, spinta da un carico di singoli pregni di energia alla Missy Elliott. Peccato che il brano in gara, al netto dell’intenzione narrativa di lanciare un messaggio alla coscienza bambina, pecchi di vacuità, sia per quanto riguarda il ritornello che per la strofa in modalità Fiordaliso. Riesce a fare meglio nella serata delle cover, che è come giocare bene al trofeo Berlusconi in estate e finire poi sedicesimi in campionato. I discografici le avranno suggerito la carta della pietà e della bandiera queer da anteporre alla musica. Con una canzone a caso delle sue avrebbe detto la sua. Peccato. (Giuliano Delli Paoli)
Voto: 5

Bnkr44 - "Governo Punk"
Coloratissimi, con un look da qualche parte fra band emo-punk e combriccola k-pop, gli empolesi Bnkr44 sono pesci fuor d'acqua sul palco dell'Ariston. Uccelli esotici. Come quelli evocati da John Lennon commentando l'articolo del musicologo William Mann sul Times, che nel 1963 plaudeva all'utilizzo ricorrente di "cadenze eoliche" e "sopradominanti bemolli" (flattened submediants) in pezzi come "Not A Second Time". Lennon smentì ogni intenzionalità affermando "I don't know what they are. They sound like exotic birds". Chissà come replicherebbero i sei toscani, che su quelle stesse sopradominanti bemolli hanno costruito (consapevolmente? puramente perché "ci stava"?) la particolarità del loro pezzo. Un brano spigliato e dal testo non particolarmente brillante, con quel mix di immagini trite e salti di palo in frasca che ha fatto la fortuna dei Pinguini Tattici Nucleari. E una sorpresa che arriva al momento del ritornello: "Scrivo dentro un garage/ La mia testa è un collage/ Di canzoni e momenti tristi". Sui "momenti tristi" il mood si fa ombroso, con un cambio d'atmosfera impossibile da non notare. A innescarlo armonicamente, un inconsueto accordo di Do maggiore, esterno alla tonalità di Mi maggiore del pezzo. Trucco armonico estremamente raro, che fra i pochissimi esempi in campo pop conta "Coffee And TV", imbevuto della sua agrodolce pigrizia (guarda un po', il testo della strofa cita espressamente proprio "un pezzo dei Blur"...). Di altre analoghe astuzie compositive la discografia della giovane band è sostanzialmente priva. Eppure, l'azzeccata riproposizione di "Ma quale idea" portata in scena con Pino D'Angiò è stata fra i momenti più estrosi della serata cover. Pubblico e giuria non sono rimasti sedotti e hanno relegato la boyband alle ultime posizioni della classifica finale, ma per il futuro si può forse sperar bene. (Marco Sgrignoli)
Voto: 7

Clara - "Diamanti grezzi"

Perdiamo tutto
L'amore è una sala slot
Mi gioco tutto

Abbiamo chiaramente superato un confine quando il giovane rapper Gianni “Cardiotrap” Russo si è fatto rubare il pezzo emo-rap “Origami all’alba” dalla spregiudicata Giulia “Crazy J” Bertolacci e poi quella stessa canzone, uscita dal contesto della fiction adolescenziale “Mare Fuori”, è diventato un disco di platino per l’attrice e cantante Clara Soccini, che interpetava appunto Giulia. La traiettoria che ha portato questa giovane donna nata nel ‘99 al successo, passando anche per la vittoria a Sanremo Giovani 2023, è fondamentale per capire chi sia e cosa ci faccia sul palco. Ha l’onere di aprire la prima serata e lo fa in modo composto, proponendo un pop elettronico e un po’ rap, vivace ma comunque con una sua eleganza, uno dei tanti che ricorda "Cenere" di Lazza. L’esecuzione non è perfetta, il testo non buca mai e alla fine sembra più una recitazione del pop-rap contemporaneo che una canzone vera. Quando Sangiorgi la presenta rimane quasi senza parole dinanzi a lei in vestito di brillanti: comprensibile. (Antonio Silvestri)
Voto: 4,5

Dargen D'Amico - "Onda alta"

Navigando navigando verso Malta
Senza aver nuotato mai nell'acqua alta

La proposta di Dargen D’Amico, diventato famoso in modo inaspettato proprio grazie a Sanremo, è di quelle che quasi la odi per come gioca con le emozioni dell’ascoltatore. La prima volta si presenta con la giacca piena di orsetti coccolosi, monta su una cassa dritta e, nonostante non sia gioviale come sempre, quando arriva al ritornello colpisce dritto allo stomaco: il pop-rap da discoteca è in realtà un brano sul dramma dell’emigrazione e sulle guerre, che, fingendosi una filastrocca infantile, tratteggia con poche, intense, immagini, la disperazione e l’angoscia di una parte dell’umanità. Gli ultimi versi, a perdifiato, lasciano in sospeso il racconto con un cliffhanger devastante. La stavi ballando e ti senti colpevole. Nelle altre esibizioni l’effetto sorpresa sfuma, prevedibilmente, ed è sempre più chiaro che solo superficialmente ha replicato “Dove si balla”. È tra i pochi a chiedere un “cessate il fuoco”. (Antonio Silvestri)
Voto: 7

Diodato - "Ti muovi"
Alla quarta partecipazione al Festival (una vittoria nel 2020 con “Fai rumore”), il cantautore aostano si presenta al concorso con un brano che parla di emozione e di squilibrio, di qualcosa che si muove nel proprio inconscio e che può a volte creare dei dissesti inaspettati. Niente da dire, Diodato è sempre molto raffinato ed energico, in un brano che si eleva progressivamente, ma che purtroppo non raggiunge i livelli artistici ed emotivi della canzone citata in apertura, con la quale aveva sbancato Sanremo quattro anni fa. Resta, in ogni caso, tra le proposte più penetranti e stilose presentate nel corso dell’edizione. Nella serata dei duetti è accompagnato da Jack Savoretti nella cover di “Amore che vieni, amore che vai” di Fabrizio De André. Idem come sopra. Esibizione pulita, senza sbavature, ma che non regala le vibrazioni che si attenderebbe di ricevere quando si toccano episodi come quello prescelto per l’occasione. (Cristiano Orlando)
Voto: 6,5

Emma - "Apnea"

Io se avessi un telecomando
Non ti cambierei mai

L'ideale scontro tra un pezzo anni Ottanta e una hit da dancefloor di vent'anni fa, con Emma che si spertica per risultare dinamica, aggressiva e sexy allo stesso tempo. Archiviate le interpretazioni drammatiche di qualche edizione fa, e in generale superata quella fase della carriera per abbracciarne una in cui si diverte a collaborare anche con Tony Effe in brani trash come la hit "Taxi sulla luna", questa (semi-)nuova Emma Marrone non ha l'appeal di una Annalisa né il graffio da pantera di una Elodie. Con Bresh rispolvera Tiziano Ferro, ed è semplice karaoke ad alto budget(Antonio Silvestri)
Voto: 4

Fiorella Mannoia - "Mariposa"
Una delle signore della musica italiana questa volta porta al Festival una canzone che non ti aspetti. Alla partecipazione numero 6, Fiorella Mannoia mette al bando malinconie e romanticismi, lasciando spazio a un brano ritmato che flirta in maniera decisa con lo stile di Mannarino. Senza mai perdere nemmeno un briciolo del proprio stile, lascia emergere il suo lato più spensierato anche nella serata dei duetti, divertendosi visibilmente al fianco di Francesco Gabbani. Difficile che una come lei possa deludere le aspettative. Soltanto quindicesima nella classifica finale, e avrebbe meritato qualcosina di più, ma la sua canzone si aggiudica il Premio per il Miglior Testo. E lei lo ritira con grande soddisfazione. (Claudio Lancia)
Voto: 6,5

Fred De Palma - "Il cielo non ci vuole"

Staremo bene anche all'inferno
Il cielo non ci vuole
Pieni di rimpianti fino all'overdose

L'ennesima variazione di questo 2024 su "Cenere", cantata da un fu rapper che poi, quasi per caso, è diventato molto famoso come un esperto del reggaeton più kitsch. Se non lo conoscete, ringraziate la vostra bolla. Ha il vocione, sa stare sul beat e non manca di energia, ma nulla di quello che fa, neanche la semi-citazione di De André, aiuterà a farlo ricordare dopo quest'ubriacatura sanremese. Avrebbe potuto portare un po' del suo reggaeton assordante e muscolare, quantomeno sarebbe stato più distinguibile. Nella serata delle cover-duetti scongela gli Eiffel 65, peccato che imbottisca il revival con strofe sue. Imbarazzante freestyle con Fiorello che fa beatbox nella finale: voleva dimostrare di essere un rapper hardcore e se n'è uscito con quattro versi da oratorio. (Antonio Silvestri)
Voto: 4

Gazzelle - "Tutto qui"
Flavio Pardini è l’impavido del Festival che ha il peso di rappresentare la fatidica scena indie italiana dello scorso decennio. Si presenta quindi coi suoi occhiali da sole per mettere la timidezza in chiaro fin da subito. Guai a toglierli per tutta la durata del Festival. “Tutto qui” regala un onesto ritornello, un po’ Calcutta, un po’ Eeels terza fase, con le strofe telefonate e uno speciale orchestrale che sa di epica fuori tempo massimo. “Chiudere gli occhi e vedere com’è”, prima che il piano da prima comunione chiuda i battenti di una prova sufficiente che però, a differenza di altre, farà fatica in radio. (Giuliano Delli Paoli)
Voto: 6

Geolier - "I p' me, tu p' te"
Emanuele arriva al suo primo Festival spinto da Spotify e da una serie infinita di numeri che, piacciano o meno, dicono molto sul ragazzo di Miano tutto rap e fratm. Il pezzo è una variante di “Cenere” di Lazza con la strofa in dialetto che però si conficca in testa più dello stesso ritornello. Un gancio alla Tyson che nelle scuole napoletane, così come praticamente in tutta la penisola, è già colonna sonora. Geolier alla fine dei giochi finisce secondo in un Festival deciso da una sala stampa stracolma di pregiudizi, che ribalta spudoratamente il televoto. Poche ore prima dell'ultima serata, si ritrova poi a dover rispondere all’accusa di ruberia mossa in conferenza da una giornalista. Sentenze da bettola padana che seguono i fischi di un Ariston sabaudo che non accetta il verdetto del popolo nella serata dei duetti. Una scena da film a cui Emanuele, appena ventitré anni, risponde da gran signore, cantando tra il pubblico e stringendo la mano a chi l’aveva fischiato. La canzone? Spacca. Dopo tre ascolti della versione in studio, si percepisce la mano di Simonetta. Al netto della ridondanza melodica dei suoi tipici refrain, il brano funziona sempre e comunque. O quasi. Perché stavolta il resto lo fa Emanuele, che gioca un altro campionato con il suo napoletano un po’ scomodo e “sbagliato” in un Sanremo diviso in due, con le nuove generazioni che gridano a gran voce “I p' me, tu p' te” e le vecchie a farsi ancora le seghe sulla bontà dell’autotune, quando anche Paul McCartney ha sentenziato da tempo immemore sulla faccenda. (Giuliano Delli Paoli)
Voto: 7

Ghali - "Casa mia"

Ma qual è casa tua?
Ma qual è casa mia?
Dal cielo è uguale, giuro

Con il pezzo giusto, un po’ disco-funk e molto pop-rap, Ghali risolleva a sorpresa le sue quotazioni, quantomeno come cantante da alta classifica: l’ennesima giravolta, ora che sembrava voler tornare alle origini. Dal punto di vista canoro è un mezzo pastrocchio (nella terza serata, soprattutto) ma sa muoversi magnificamente sul palco, è tra i meglio vestiti della kermesse e porta un testo di quelli che tiene in equilibrio godibilità e profondità. Il ritornello, che nella versione registrata funziona assai meglio, è già candidato a un successo duraturo. Vedere Mahmood che lo presenta nella terza serata è un colpo al cuore per chi crede in slogan come “l’Italia agli italiani”. Se ascoltate Sanremo solo su Spotify, sappiate che non vale e... aggiungete pure un voto al numeretto. (Antonio Silvestri)
Voto: 6

Il Tre - "Fragili"

Odio convivere con i demoni fissi nella mia testa

Disperatamente ultimo nella prima serata, posizionamento in scaletta devastante per un esordiente, fa fatica a sostenere la dinamica del suo brano, un po’ rap e un po’ pop (ovviamente). Quando azzanna con un flow veloce e preciso, colpisce più di quando allunga le vocali alla ricerca di un’intonazione che ogni tanto gioca a nascondino. Lo premiano posizionandolo all’inizio della terza serata, così ci riprova tremando meno con la voce e dimostrando più confidenza con un palco non semplice da abitare, anche a causa di una scenografia tutta curve e luci. Dopo gli ascolti (e riascolti) rimane l’impressione di un brano che poteva essere scritto tale e quale anche tre lustri fa, con un testo sulla fragilità che ormai rientra nei cliché sanremesi tanto quanto la ballata d’amore. Segna comunque la presenza senza infamia. (Antonio Silvestri) Voto: 5

Il Volo - "Capolavoro"
Non l’avrei mai detto. E invece succede che nel Festival più mediocre della storia recente, i tre pseudo-tenori sono riusciti a combinare qualcosa di apprezzabile, quantomeno nelle strofe, poste così come sono tra Massimo Di Cataldo e il Paolo Vallesi meno chierichetto. Il ritornello purtroppo riporta tutto e tutti alla realtà. Ed è triste, a pensarci. Perché i miraggi sono dei capolavori. Anche in accezione ironica. (Giuliano Delli Paoli)
Voto: 5

Irama - "Tu no"
Si presenta al Festival per la quinta volta con un brano che tratta argomenti quali separazione e malinconia per persone che non fanno più parte della nostra vita. Qualche anno fa si sarebbe definito il classico “pezzo giusto per Sanremo”, ma le cose sono cambiate. Irama affronta la sfida esibendo la solita voce possente e graffiante. La canzone risulta, però, piuttosto debole, senza sfumature, posizionando banalmente un tema fin troppo inflazionato su una melodia che presenta scarsa efficacia. Nella serata dei duetti si esibisce con Riccardo Cocciante nella sua “Quando finisce un amore”. Invece di sfruttare l’occasione per ottenerne un utile feedback, sembra uscirne eclissato, annichilito dal magnetismo sprigionato dal suo pigmalione, senza cercare o trovare quell’empatia fondamentale in queste occasioni. (Cristiano Orlando)
Voto: 5,5

La Sad - "Autodistruttivo"

Nessuno resta per sempre
tranne i tattoo sulla pelle

L’apparenza inganna solo chi è ingenuo e chi non li conosceva già: che i La Sad giocassero con un modo di vestire e di intendere il punk che non ha nulla a che fare con i Black Flag o i Germs è stato chiaro sin dai primi singoli. Con le dovute proporzioni, stanno ai Blink 182 o i Rancid come i Maneskin stanno ai Motley Crue o ai Guns n’ Roses. Non sembrano mai prendersi sul serio, nel senso più noioso del termine, ma non per questo rinunciano a lanciare un messaggio sul malessere giovanile, anche con l’uso un po’ didascalico dei cartelloni. Cantano in modo approssimativo, hanno i capelli coloratissimi e i look più carnevaleschi del Festival. Con la Rettore trovano un’affinità tanto inaspettata quanto perfetta nella serata cover: “Lamette” è un modello a cui aspirare, lontanissimo. (Antonio Silvestri)
Voto: 4

Loredana Berté - "Pazza"
Dodicesima volta a Sanremo, fra i partecipanti di quest’anno soltanto i Ricchi e Poveri possono vantare un maggior numero di presenze. Il pubblico la adora, ne scandisce il nome alla fine delle sue esibizioni, dopo un lungo periodo difficile, la sensazione è di averla ritrovata, finalmente lucida. Capelli blu, grinta intatta e quell’innata voglia di non allinearsi, nemmeno quando si trova in uno dei luoghi più allineati della penisola. In gara ha portato il brano più “rock” di questa edizione, una composizione autobiografica, fra le sue più riuscite dagli anni Novanta ad oggi. Nella serata dei duetti va sul sicuro, e in parte si autocelebra, proponendo “Ragazzo mio”, un brano di Luigi Tenco da lei già inciso nel 1984 con un elegante arrangiamento di Ivano Fossati per aprire “Savoir faire”, uno dei suoi album di maggior successo. Non entra nella cinquina finale dei più votati ma porta a casa il prestigioso Premio della Critica intitolato da tanti anni alla sorella Mia Martini. (Claudio Lancia)
Voto: 6,5

Mahmood - "Tuta gold"
Un Re Mida degli ultimi cinque anni del Festival, con due partecipazioni e altrettante vittorie. Non c’è il due senza il tre? Non questa volta, anche se il brano è certamente tra i più interessanti tra quelli presentati nella kermesse. Scritto dallo stesso artista milanese, offre uno spaccato della vita che caratterizza le periferie delle grandi città, spietata, intrisa di mille pericoli. Mahmood si esibisce con la solita personalità, in un brano acceso, che ha alcune reminiscenze armoniche con la sua pluridecorata “Soldi” e che avrebbe certamente ben figurato all’Eurofestival. Look sempre coraggiosi, ma con quel fisico anche io avrei fatto ancora una porca figura. Sarà certamente tra i vincitori del post-Festival. “Tuta Gold” non mancherà di riempire le classifiche dei brani più selezionati, forte anche di una capacità di attrazione che cresce a ogni ascolto. Il duetto con i fantastici Tenores di Bitti su “Com’è profondo il mare” di Lucio Dalla è tra i migliori della terza serata. Alessandro affronta uno dei brani più importanti della musica italiana con grande rispetto, carisma e ottima predisposizione. (Cristiano Orlando)
Voto: 7

Maninni - "Spettacolare"

Hai imparato a cadere con stile
Come fanno i campioni di muay thai

Premessa: ho visto tutte le serate di Sanremo e questo vuol dire che ho visto ogni cantante esibirsi quattro volte. Qualcuno l'ho anche rivisto grazie a Rai Play, nei giorni successivi. Nonostante tutto, mentre scrivo queste righe, su Maninni mi trovo costretto a cercare il video della sua "Spettacolare", per raccogliere le briciole della memoria. Uscito direttamente da un Sanremo degli anni Zero, e non è un complimento, porta una ballata pianistica talmente prevedibile e anonima che lo candida a essere il più dimenticato di questa edizione. Quando duetta con Ermal Meta, vestendo i panni di Fabrizio Moro, viene surclassato. Chi sperava in un nuovo Tananai non può che rimanere deluso, perché canta anche benino.
(Antonio Silvestri)
Voto: 3

Mr. Rain - "Due altalene"

Io e te fermiamo il mondo
quando siamo insieme

Ha sfiorato la vittoria nel 2023, quindi ci riprova. Scoperto che non si può portare lo stesso brano, fa il possibile per cambiarlo quanto basta per convincere Amadeus. I bambini sono stati sostituiti dalle altalene, per la gioia dei tecnici di palco. Suonicchia il pianoforte perché fa molto artista profondo, usa l’autotune per qualche verso, fa di tutto per commuoverci alternando strofe rap, allunghi vocali da ballatona malinconica e tanti buoni sentimenti. Nella terza serata è presentato da Il Volo e, potere dei paragoni, quasi li ho rivalutati. Dopo aver scoperto di essere candidato alla metà classifica, si esibisce in finale con la faccia di chi ci aveva sperato tantissimo: spiaze(Antonio Silvestri)
Voto: 2

Negramaro - "Ricominciamo tutto"
La band salentina ritorna per la seconda volta al Festival a distanza di vent’anni con una canzone sulla rinascita, sulla rivincita, che cerca di superare la diffusa freddezza che impera oggigiorno. Sangiorgi sfoggia la sua riconoscibile vocalità, sempre perfetta e ben calibrata, tra i saliscendi previsti dal brano, scritto dallo stesso Giuliano, con un ritornello piuttosto intenso e una strofa che rimanda, nell’approccio, al grande Lucio Dalla. Nella terza serata, quella dei duetti, sono accompagnati da Malika Ayane nella cover di “La canzone del Sole” di Lucio Battisti. Il risultato regala un momento d’accuratezza, con le vocalità di Giuliano e Malika ben amalgamate in un arrangiamento piuttosto sinfonico. (Cristiano Orlando)
Voto: 6,5

Renga e Nek - "Pazzo di te"
Francesco Renga iniziò la propria carriera come talentuoso cantante dei Timoria, poi convertito alla canzonetta nazional-popolare, Nek era un cantautore pop dalla hit facile: oggi tentano il colpaccio acchiappa-voti presentandosi in coppia. Ma è un’occasione persa, con un brano proposto in maniera molto classica, reso con capacità vocali oltre tutto distanti rispetto a quelle che potevano esprimere venti o trent’anni fa. Se un amico che odia Sanremo dovesse sceglierla a supporto delle proprie convinzioni, non avreste frecce al vostro arco per poter replicare in maniera convincente. Renga ha vinto il Festival nel 2005 ed è a Sanremo per la decima volta (compresa la presenza del 1991 con i Timoria), Nek è per la quinta volta sul palco dell’Ariston: questa volta ci mettono tanto mestiere, ma non basta. Nella serata dei duetti si autocelebrano a vicenda con un medley trascurabile, relegato non a caso a notte fonda. Chiudono a fondo classifica, al 25° posto. Giusto così. (Claudio Lancia)
Voto: 3


Ricchi e Poveri - "Ma non tutta la vita"
Per la tredicesima volta a Sanremo, vincitori nel 1985 con “Se m’innamoro”, i Ricchi e Poveri rappresentano la scelta di quest’anno come quota over, quei concorrenti scelti dalla direzione artistica per catturare l’attenzione delle nostre mamme, il medesimo compito ben svolto nelle recenti edizioni da Orietta Berti e dai Cugini di Campagna. Dal 2016 ridotti a un duo, Angelo e Angela fanno il loro, presentando esattamente il tipo di canzone che ti aspetteresti dai Ricchi e Poveri. Ma al di là di un’oggettiva simpatia e nonostante stiamo cavalcando l’eterno riflusso degli anni Ottanta, non possiamo certo considerarli fra le eccellenze di questa edizione. Nella serata delle cover reinterpretano sé stessi, con Paola e Chiara come spalle. Mezzo punto in più per l’autoironia dimostrata. (Claudio Lancia)
Voto: 5


Rose Villain - "Click boom!"

Senti il mio cuore, fa così: "Boom, boom, boom"
Corro da te sopra la mia "vroom, vroom, vroom"

Non è esattamente giovanissima, ma anche per Rose Villain questo Sanremo 2024 serve a posizionarsi nella mente del pubblico più trasversale, più che competere per la vittoria. “Rose, vuoi portare una ballata o un brano pronto per Tik Tok?” “Sì”: questo il dialogo che evidentemente deve esserci stato in preparzione al Festivàl. “Click Boom” è, come suggerisce il titolo, una ballata accorata sparata contro un ritornello scemo, perfetto per le mossette sui social. Anche per la poca esperienza, lei fatica a cambiare personalità tra strofa e ritornello, anche perché non è facile risultare credibile quando devi passare in pochi secondi da trentenne malinconica ad adolescente in cerca di views. Trova più coraggio al secondo tentativo. Gazzelle fatica non poco a presentarla nella terza serata e quando lei gli tocca una spalla quasi sviene. Lascia qualche dubbio il capello in versione “appena uscita dalla palude”. (Antonio Silvestri)
Voto: 5

Sangiovanni - "Finiscimi"

Io non so come si controllano le emozioni
Perciò delle volte ho fatto un po' il coglione

Durante i giorni di Sanremo si è dichiarato stritolato dal suo stesso successo, arrivato quando era ancora troppo giovane. Invece della frizzante “Farfalle” per questa seconda volta all’Ariston propone una ballata sulle difficoltà emotive, che chiude in un sussurro felicemente in contrasto con gli acuti di tanti altri colleghi. Il testo, pur senza guizzi notevoli, colpisce nella sua semplicità e genuinità, ma lui sembra davvero in difficoltà e l’esecuzione ne risente molto. I due guasconi Rek & Renga lo presentano nella terza serata in modo da far risaltare ancora di più la differenza di mood: loro a manetta a ogni acuto, lui che combatte una battaglia nella sua testa. (Antonio Silvestri)
Voto: 5

Santi Francesi - "L'amore in bocca"
Il giovane duo torinese fa l’esordio al Festival, dopo aver vinto l’edizione propedeutica di Sanremo Giovani. Il brano scritto dal cantante Alessandro De Santis è una raccolta di diapositive che ricostruiscono la propria e l’altrui vita privata, senza dilungarsi in troppe spiegazioni. Il pezzo è tra i più gustosi tra quelli in concorso, forte di schemi synth-pop vibranti, che incontrano addirittura alcune ritmiche à-la Daft Punk e che vive dell’ottima esibizione del frontman. La versione di “Hallelujah” del grande Leonard Cohen, presentata con Skin nel corso della serata dei duetti, resta uno dei momenti più alti dell’intero Festival 2024: toccante, intensa, quasi mistica, costruita sul dualismo vocale tra la cantante degli Skunk Anansie (immensa) e l’eccellente prova di De Santis. Teniamo d’occhio questi due ragazzi perché potrebbero essere forieri di novità piuttosto interessanti. (Cristiano Orlando)
Voto: 6,5

The Kolors - "Un ragazzo una ragazza"

E lo sai, l'amore non si può cantare
in una strofa da otto

Impossibilitati dal regolamento a portare un brano già edito, i The Kolors provano a rifare “Italodisco” per capitalizzare l’incredibile successo del 2023. Ci mettono dentro, per strafare, anche un balletto da villaggio vacanze che sarebbe perfetto per un ritorno di John Travolta. Mentre si è ipnotizzati dai denti di ceramica di Stash, il loro funk-pop entra subito in testa e si fa ricordare per quel mix di semplicità e un pizzico di fantasia (ma non c’è una citazione sorprendente come quella del “basso dei Righeira”). Esecuzione da veri esperti del palco, con Stash che tra mossette, ammicchi e chitarra suonata un po’ per finta è una calamita per gli occhi insieme al batterista, suo fratello Alex Fiordispino, che sembra direttamente uscito da "Mad Max".
(Antonio Silvestri)
Voto: 6

La classifica finale

  1. Angelina Mango - La noia
  2. Geolier - I p' me, tu p' te
  3. Annalisa - Sinceramente
  4. Ghali - Casa mia
  5. Irama - Tu no
  6. Mahmood - Tuta gold
  7. Loredana Bertè - Pazza
  8. Il Volo - Capolavoro
  9. Alessandra Amoroso - Fino a qui
  10. Alfa - Vai!
  11. Gazzelle - Tutto qui
  12. Il Tre - Fragili
  13. Diodato - Ti muovi
  14. Emma - Apnea
  15. Fiorella Mannoia - Mariposa
  16. The Kolors - Un ragazzo una ragazza
  17. Mr.Rain - Due altalene
  18. Santi Francesi - L'amore in bocca
  19. Negramaro - Ricominciamo tutto
  20. Dargen D'Amico - Onda alta
  21. Ricchi e Poveri - Ma non tutta la vita
  22. BigMama - La rabbia non ti basta
  23. Rose Villain - Click boom!
  24. Clara - Diamanti grezzi
  25. Renga Nek - Pazzo di te
  26. Maninni - Spettacolare
  27. La Sad - Autodistruttivo
  28. Bnkr44 - Governo punk
  29. Sangiovanni - Finiscimi
  30. Fred De Palma - Il cielo non ci vuole


I premi

Primo Classificato: Angelina Mango
Premio della Critica "Mia Martini": Loredana Bertè
Premio della Sala Stampa "Lucio Dalla": Angelina Mango
Premio "Sergio Bardotti" per il Miglior Testo: Fiorella Mannoia
Premio "Giancarlo Bigazzi" per la Miglior Composizione Musicale: Angelina Mango

Fonte

 

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