Nel suo ultimo libro, lo storico e antropologo diagnostica La Sconfitta dell’Occidente. Nel suo saggio La Caduta finale, pubblicato nel 1976, l’autore aveva previsto con precisione il crollo dell’Unione Sovietica. «Le Figaro» spera che, questa volta, il “profeta” Todd si sbagli.
Un’analisi fondata su pilastri assai diversi dalla critica dell’economia politica capitalistica, e dell’imperialismo occidentale in particolare, ma che comunque “vede” il fenomeno storico in corso fuori dalla propaganda spicciola.
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LE FIGARO – Secondo lei, questo libro ha come punto di partenza l’intervista che ha concesso a «Le Figaro» esattamente un anno fa, intitolata “La Terza Guerra Mondiale è iniziata“. Ora lei constata la sconfitta dell’Occidente. Ma la guerra non è finita...
Emmanuel Todd – La guerra non è finita, ma l’Occidente è uscito dall’illusione di una vittoria ucraina possibile. Non era ancora chiaro per tutti quando scrivevo, ma oggi, dopo il fallimento della controffensiva di quest’estate, e la constatazione dell’incapacità degli Stati Uniti e degli altri paesi della NATO di fornire armi sufficienti all’Ucraina, il Pentagono sarebbe d’accordo con me.
La mia constatazione della sconfitta dell’Occidente si basa su tre fattori.
Primo, la carenza industriale degli Stati Uniti con la rivelazione del carattere fittizio del PIL americano. Nel mio libro, smonto questo PIL e mostro le cause profonde del declino industriale: l’insufficienza della formazione di ingegneria e più in generale il declino del livello educativo, a partire dal 1965 negli Stati Uniti.
Più in profondità, la scomparsa del protestantesimo americano è il secondo fattore della caduta dell’Occidente.
Il mio libro è in fondo un seguito a L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, di Max Weber. Egli pensava, alla vigilia della guerra del 1914, con giustezza, che l’ascesa dell’Occidente era nel suo cuore quella del mondo protestante: Inghilterra, Stati Uniti, Germania unificata dalla Prussia, Scandinavia.
La fortuna della Francia fu di essere geograficamente attaccata al gruppo di testa. Il protestantesimo aveva prodotto un livello educativo elevato, inedito nella storia umana, l’alfabetizzazione universale, perché esigeva che ogni fedele potesse leggere da sé le Sacre Scritture.
Inoltre, la paura della dannazione, il bisogno di sentirsi eletto da Dio inducevano un’etica del lavoro, una forte moralità individuale e collettiva. Con, in negativo, alcuni dei peggiori razzismi mai esistiti – anti-nero negli Stati Uniti o anti-ebreo in Germania – poiché, con i suoi eletti e i suoi dannati, il protestantesimo rinunciava all’uguaglianza cattolica degli uomini.
Il vantaggio educativo e l’etica del lavoro hanno prodotto un vantaggio economico e industriale considerevole.
Oggi, simmetricamente, il recente crollo del protestantesimo ha innescato un declino intellettuale, una scomparsa dell’etica del lavoro e una cupidigia di massa (nome ufficiale neoliberismo): l’ascesa si converte in caduta dell’Occidente.
Questa analisi dell’elemento religioso non denota in me alcuna nostalgia o deplorazione moralistica: è una constatazione storica. D’altronde anche il razzismo associato al protestantesimo scompare e gli Stati Uniti hanno avuto il loro primo presidente nero, Obama. Non possiamo che rallegrarcene.
E qual è il terzo fattore?
Il terzo fattore della sconfitta occidentale è la preferenza del resto del mondo per la Russia. Questa ha scoperto discreti alleati economici ovunque. Un nuovo soft power russo conservatore (anti-LGBT) ha funzionato a pieno regime quando è diventato chiaro che la Russia reggeva lo shock economico.
La nostra modernità culturale appare infatti piuttosto folle al mondo esterno: constatazione da antropologo, non da moralista rétro. E inoltre, poiché viviamo del lavoro sottopagato degli uomini, delle donne e dei bambini dell’ex terzo mondo, la nostra morale non è credibile.
In questo libro, il mio ultimo, voglio sfuggire all’emozione e al giudizio morale permanente che ci avvolgono e proporre un’analisi spassionata della situazione geopolitica.
Attenzione, coming out intellettuale in arrivo: nel mio libro mi interesso alle cause profonde e di lunga durata della guerra in Ucraina, piango la scomparsa del mio padre spirituale in storia, Emmanuel Le Roy Ladurie, e confesso tutto: non sono un agente del Cremlino, sono l’ultimo rappresentante della scuola storica francese delle Annales!
Possiamo davvero parlare di guerra mondiale? E la Russia ha davvero vinto? O ci troviamo semmai in una forma di stallo...
Gli americani cercheranno effettivamente uno stallo che permetterebbe loro di mascherare la propria sconfitta. I russi non lo accetteranno. Sono consapevoli non solo della loro superiorità industriale e militare immediata, ma anche della loro debolezza demografica futura.
Putin vuole certamente raggiungere i suoi obiettivi di guerra risparmiando uomini e si prende il suo tempo. Vuole preservare quel che ha acquisito nella stabilizzazione della società russa. Non vuole rimilitarizzare la Russia e tiene a proseguire il suo sviluppo economico.
Ma sa anche che classi demograficamente vuote stanno arrivando e che il reclutamento militare sarà nei prossimi anni (tre, quattro, cinque?) più difficile. I russi devono quindi abbattere l’Ucraina e la NATO ora, senza permettere loro alcuna pausa. Non facciamoci illusioni. Lo sforzo russo si intensificherà.
Il rifiuto occidentale di pensare alla strategia russa nella sua logica, con le sue ragioni, le sue forze, le sue limitazioni, ha portato a una cecità generale. Le parole fluttuano nella nebbia. Sul piano militare, il peggio deve ancora arrivare per gli ucraini e gli occidentali.
La Russia vuole probabilmente recuperare il 40% del territorio ucraino e ottenere un regime neutralizzato a Kiev. E sui nostri schermi televisivi, proprio mentre Putin afferma che Odessa è una città russa, si continua a raccontare che il fronte si sta stabilizzando...
Per dimostrare il declino dell’Occidente, si insiste sull’indicatore della mortalità infantile... In che modo questo indicatore è rivelatore?
Fu nell’osservare l’aumento della mortalità infantile in Russia tra il 1970 e il 1974, e l’interruzione della pubblicazione delle statistiche su questo argomento da parte dei sovietici, che avevo dedotto che il regime non avesse futuro, nel mio libro ‘La Caduta finale’ (1976). Quindi è un parametro che ha dimostrato la sua efficacia.
Gli Stati Uniti sono qui in ritardo rispetto a tutti i paesi occidentali. I più avanzati sono i paesi scandinavi e il Giappone, ma anche la Russia è avanti. La Francia sta meglio della Russia, ma si sentono da noi i primi segni di un aumento. E, in ogni caso, siamo qui in ritardo rispetto alla Bielorussia.
Questo significa semplicemente che quello che ci viene detto sulla Russia è spesso falso: viene presentata come un paese in declino, enfatizzando i suoi aspetti autoritari, ma non si vede che è in una fase di rapida ristrutturazione. La caduta è stata violenta, il rimbalzo è sbalorditivo.
Questo dato può essere spiegato, ma significa prima di tutto che dobbiamo accettare una realtà diversa da quella veicolata dai nostri media. La Russia è certamente una democrazia autoritaria (che non protegge le sue minoranze) con un’ideologia conservatrice, ma la sua società si sta muovendo, diventando molto tecnologica con sempre più elementi che funzionano perfettamente.
Dire questa realtà mi definisce come uno storico serio piuttosto che un putiniano. Ogni putinofobo responsabile avrebbe dovuto prendere le misure del suo avversario. Sottolineo costantemente che la Russia ha, assolutamente come questo Occidente che pensava decadente, un problema demografico. La legislazione russa anti-LGBT, se probabilmente seduce il resto del mondo, non porta i russi a fare più figli di noi. La Russia non sfugge alla crisi generale della modernità. Non c’è un contro-modello russo.
Creare un orizzonte sociale con l’idea che un uomo possa veramente diventare una donna e una donna un uomo, significa affermare qualcosa di biologicamente impossibile, è negare la realtà del mondo, è affermare il falso.
Tuttavia, non è impossibile che l’ostilità generale dell’Occidente strutturi e dia armi al sistema russo, suscitando un patriottismo di raduno. Le sanzioni hanno permesso al regime russo di lanciare una politica protezionistica di sostituzione su larga scala, che non avrebbe mai potuto imporre da solo ai russi, e che darà alla loro economia un vantaggio considerevole su quella dell’UE.
La guerra ha rafforzato la loro solidità sociale, ma anche loro hanno una crisi individualista, i resti di una struttura familiare comunitaria sono solo un elemento di mitigazione. L’individualismo che muta pienamente in narcisismo si sviluppa solo nei paesi dove regnava la famiglia nucleare, soprattutto nel mondo anglo-americano.
Osiamo un neologismo: la Russia è una società di individualismo incorniciato, come il Giappone o la Germania.
Il mio libro propone una descrizione della stabilità russa, poi, muovendosi verso l’ovest, analizza l’enigma di una società ucraina in decomposizione che ha trovato nella guerra un senso alla sua vita, passa poi al carattere paradossale della nuova russofobia delle ex democrazie popolari, poi alla crisi dell’UE, e infine alla crisi dei paesi anglo-sassoni e scandinavi.
Questo movimento verso l’ovest ci porta per tappe verso il cuore dell’instabilità del mondo. È un tuffo in un buco nero. Il protestantesimo anglo-americano ha raggiunto uno stadio zero della religione, oltre lo stadio zombie, e produce questo buco nero. Negli Stati Uniti, all’inizio del terzo millennio, la paura del vuoto si trasforma in deificazione del nulla, in nichilismo.
Parlare di democrazia autoritaria a proposito della Russia non è forse un po’ troppo lusinghiero?
Bisogna uscire dalla contrapposizione fra democrazia liberale e autocrazia pazza. Le prime sono piuttosto oligarchie liberali, con un’élite disconnessa dalla popolazione: nessuno al di fuori dai media si preoccupa del rimpasto a Palazzo Matignon. Al contrario, bisogna anche usare un altro concetto per sostituire quelli di autocrazia o di neostalinismo.
In Russia, la maggioranza della popolazione sostiene il regime, ma le minoranze – che siano gay, etniche, od oligarchi – non sono protette: è una democrazia autoritaria, nutrita dai resti del temperamento comunitario russo che aveva prodotto il comunismo. Il termine ‘autoritario’ pesa per me tanto quanto il termine ‘democrazia’.
A causa della sua critica alla decadenza delle ‘oligarchie liberali’, si potrebbe pensare che lei invidi il secondo modello...
Assolutamente no. Sono un antropologo: a forza di studiare la diversità delle strutture familiari e dei temperamenti politici, ho accettato la diversità del mondo. Ma sono un occidentale, e non ho mai aspirato a essere altro.
La mia famiglia materna si era rifugiata negli Stati Uniti durante la guerra, sono stato formato alla ricerca in Inghilterra, dove ho scoperto quanto sono francese e nient’altro. Perché volermi deportare in Russia?
Riesco a percepire questo tipo di accusa come una minaccia alla mia cittadinanza francese, tanto più che, mi scuso, nato nell’ambiente intellettuale, faccio parte, in un senso modesto, non finanziario, dell’oligarchia: prima di me, mio nonno aveva pubblicato pre-guerra presso l’editore Gallimard.
Lei collega il declino dell’Occidente alla scomparsa della religione – in particolare del protestantesimo – e data questa scomparsa alle leggi sul matrimonio gay...
Non ho espresso alcuna opinione personale su questo argomento sociale. Sono qui solo come sociologo della religione, troppo felice di avere un indicatore preciso per situare nel tempo il passaggio dalla religione da uno stato zombie a uno stato zero.
Nei miei libri precedenti, avevo introdotto il concetto di uno stato zombie della religione: la fede è scomparsa ma i costumi, i valori e le capacità di azione collettiva ereditati dalla religione persistono, spesso tradotti in linguaggio ideologico – nazionale, socialista o comunista.
Ma la religione raggiunge all’inizio di questo terzo millennio uno stato zero (nuovo concetto), che catturo attraverso tre indicatori – cerco sempre indicatori statistici per valutare fenomeni sia morali che sociali: sono un fan di Durkheim, fondatore della sociologia quantitativa, ancora più di Weber.
Nello stato zombie, le persone non vanno più a messa ma battezzano ancora i loro figli; oggi la scomparsa del battesimo è evidente, stato zero raggiunto. Allo stato zombie, si seppelliscono ancora i morti, obbedendo ancora al rifiuto della Chiesa della cremazione; oggi, la diffusione massiccia della cremazione diventa la pratica più generale, pratica ed economica, stato zero raggiunto.
Infine, il matrimonio civile del periodo zombie aveva tutte le caratteristiche del matrimonio religioso antico: un uomo, una donna, dei figli da educare. Con il matrimonio tra persone dello stesso sesso, che non ha alcun senso per la religione, si esce dallo stato zombie, e grazie alle leggi sul matrimonio per tutti, si può datare il nuovo stato zero della religione.
Con il tempo, non è diventato un po’ reazionario?
Sono stato allevato da una nonna che mi diceva che, sessualmente, tutti i gusti sono nella natura, e io sono fedele ai miei antenati. Quindi, LGB, benvenuti. Per quanto riguarda T, la questione trans, è un’altra cosa. Gli individui interessati devono essere ovviamente protetti. Ma la fissazione delle classi medie occidentali su questa questione ultraminoritaria pone una questione sociologica e storica.
Costituire come orizzonte sociale l’idea che un uomo possa realmente diventare una donna e una donna un uomo, significa affermare qualcosa di biologicamente impossibile, è negare la realtà del mondo, è affermare il falso.
L’ideologia trans è quindi, secondo me, una delle bandiere di questo nichilismo che ora definisce l’Occidente, questa pulsione di distruzione, non solo delle cose e degli uomini ma della realtà stessa. Ma, di nuovo, non sono in alcun modo sopraffatto qui dall’indignazione, dall’emozione. Questa ideologia esiste e devo integrarla in un modello storico.
All’epoca del metaverso, non saprei dire se il mio attaccamento al reale mi rende un reazionario.
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