Una domenica di febbraio sui Navigli di Milano: ci aspetteremmo freddo, nebbia, brume malinconiche, secondo la ‘tradizionale’ iconografia di Milano consegnataci dalla letteratura e dal cinema, nonché dall’immaginario comune. E invece lo scorso febbraio c’era un caldo che sembrava maggio, un sole battente ed era pieno di turisti a mezze maniche. Evidentemente, il cambiamento climatico che sta avanzando sempre più rapido sta creando una profonda frattura in certe rappresentazioni mentali, derivate dall’immaginario condiviso e riproposte da diverse forme artistiche (al cinema e alla letteratura potremmo allora aggiungere anche la pittura), che ci proponevano immagini-tipo della realtà. La nebbia a Milano è una di queste. E poco importa che ci siano ancora rare giornate di nebbia, una volta ogni tanto; quello che ci preme sottolineare è che oggi non possiamo più rimanere intrappolati in queste immagini stereotipate, consegnateci dalla tradizione, perché fanno parte di un mondo che non esiste più. La stringente realtà del cambiamento del clima sta perciò mutando inesorabilmente anche le nostre proiezioni mentali e psicologiche.
Pensiamo al 1956 di Totò, Peppino e la malafemmina, in cui Totò e Peppino, per recarsi a Milano, si vestono (comunque iperbolicamente e comicamente) come se andassero in Siberia, oppure al 1960 di Rocco e i suoi fratelli, che ci mostra un rigido e nevoso inverno milanese. Quella Milano non esiste più, come non esiste più quella rappresentata da Testori nei racconti de Il Ponte della Ghisolfa (1958): è un mondo lontano, uno spazio che è mutato architettonicamente, divorato dall’universo della società dei consumi che ha mutato il volto anche di Milano (basta leggersi, allora, un capolavoro come La vita agra del grande Luciano Bianciardi). Ma è pure uno spazio che ha subito un mutamento in virtù del cambiamento del clima, come moltissimi altri luoghi nel mondo che, in virtù di questi cambiamenti, hanno subito delle trasformazioni anche ben più tragiche. Nel 1972 Fernando Di Leo gira Milano calibro 9, tratto dall’omonima raccolta di racconti di Giorgio Scerbanenco, e ci ripropone l’immagina di una Milano fredda, livida e nebbiosa, rappresa in una malinconia invernale soprattutto nello scenario dei navigli. In alcuni racconti di Scerbanenco, la nebbia si insinua dappertutto, non solo per le strade ma entra anche negli androni dei palazzi, come se fosse una materia vivente. Nel 2024 siamo costretti a pensare che quella Milano lì è ormai uno stereotipo finto, artefatto, appartenente al passato. Viviamo in un tempo in cui non solo è cambiato lo spazio che ci accoglie (ad esempio, lo spazio urbano), come è sempre avvenuto in passato (gli spazi sono sempre stati modificati dall’uomo) ma anche le condizioni climatiche che avvolgono questo spazio. Non c’è più il freddo intenso ma siamo avvolti da un inquinamento che sta raggiungendo livelli altissimi. Come leggiamo in questo articolo, l’inquinamento non è provocato solo dalle industrie o dalle automobili ma anche, e in misura non certo poco rilevante, dagli allevamenti intensivi che infestano la pianura padana.
Nella mia immaginazione fantastica e surreale l’atmosfera, bucata come un groviera, fa passare venti caldi e gelidi come un colabrodo. Non è certo così scientificamente ma succede che siamo esposti ai capricci di un clima bizzarro. Il clima si è tropicalizzato e le stagioni si sono spostate avanti, cosicché a ottobre abbiamo spesso 30 gradi a Milano. Abbiamo avuto mesi consecutivi di piogge quest’anno, con un clima mite, mentre avrebbe dovuto essere freddo e ghiacciato. Stando ai ricordi degli anni '70, perlomeno. E così i piumini invernali servono raramente, e raramente ghiacciano le strade. Che poi è subito pronto il famigerato sale grosso che passa alla vegetazione dei campi intorno pronto ad ucciderla (delenda Carthago). Le tecnologie dei pannelli solari sono da decenni in decollo, ma non decollano a livello massivo. Lo stato può dare soldi per la ristrutturazione di palazzi e case con una copertura di un composto di plastiche: altro inquinamento che si produce.
Ma tornando alla Milano della nebbia, quest’ultima non esiste più da decenni. Era il suo fascino peculiare. Ricordo da bambina quando mano nella mano con mio nonno si camminava tra strade milanesi con questa leggera foschia autunnale che rendeva magica l’atmosfera, come il territorio delle favole dei druidi del nord. C’era una volta il nord.
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