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31/03/2024

La facoltà di “Scienze Repressive” della Hebrew University

«Le Università non possono schierarsi o entrare in guerra», ha detto giorni fa la ministra Anna Maria Bernini. «Ritengo ogni forma di esclusione o boicottaggio sbagliata ed estranea alla tradizione e alla cultura dei nostri Atenei da sempre ispirata all’apertura e all’inclusività».

È questo il mantra ripetuto e declinato da tutti i difensori degli accordi esistenti tra università italiane e israeliane. Che non sempre si fermano sul limite segnato dalla Costituzione, ossia l’autonomia garantita degli atenei.

Il loro obiettivo è stigmatizzare le mobilitazioni studentesche, che hanno convinto diversi atenei a sospendere alcuni progetti comuni con quelli israeliani, grazie anche alla pressione di un folto numero di docenti.

Fanno ovviamente molto peggio i sionisti da battaglia.

Stefano Parisi, presidente dell’Associazione «Setteottobre», afferma che è «una scelta gravissima ed inquietante che ci riporta ad un passato lontano che non avremmo mai voluto rivivere. Colpire il mondo dell’università e della ricerca di Israele che è all’avanguardia nel mondo ed impedire la collaborazione con un ateneo importante come quello di Torino, che potrebbe portare ricadute positive per il nostro Paese, è l’ennesima dimostrazione del clima di odio antisemita che dal 7 ottobre sta montando con furia in Italia».

Inutile far notare a gente con questa che proprio la riduzione dell’universo ebraico al solo Stato di Israele e la condanna di ogni critica nei suoi confronti sono in realtà la più potente spinta per eventuali rigurgiti antisemiti, al momento ancora molto sottotraccia visto che dovunque la destra nazifascista è compattamente al fianco di Netanyahu.

Assistere impassibili a un genocidio in diretta – o a un “semplice massacro”, come osa dire qualche giornalista che si improvvisa intellettuale – o addirittura “tifare” per i massacratori e aiutarli in molti modi, è possibile solo se si accantonano completamente i più elementari sentimenti umani e si accetta la condizione de La zona di interesse.

Parlare dell’università come “tempio del confronto” è ovviamente giustissimo e doveroso. Ma le parole debbono corrispondere ai fatti, altrimenti si condanna l’università e la sua millenaria storia a subire la squallida sorte della classe politica occidentale, ormai votata alla guerra mondiale – in posizione oltretutto servile – mentre quotidianamente si auto esalta come “democrazia” e “difensore dei diritti umani”.

Questo resoconto che ci illustra la realtà di una delle principali università israeliane documenta come quel “confronto” evocato qui all’unico scopo di prorogare rapporti di ricerca dual use, con ricadute sia civili che militari, sia da tempo stato seppellito – senza onore – proprio dagli atenei dello “Stato ebraico”.

Che, come ogni altro Stato non laico, assume la stessa logica di ogni altro “Stato confessionale”. Sia questo uno “Stato cristiano” oppure uno “Stato islamico”.

Dunque la mobilitazione degli studenti, non solo italiani come ha dovuto verificare anche Biden, non è solo “giustificata” ma è l’umanissima riaffermazione che non c’è possibilità di dialogo con chi considera gli altri esseri umani come “animali” da sterminare.

Buona lettura.

*****

“Un’università che promuove la diversità e l’inclusione è un’università che favorisce l’uguaglianza”. Queste sono alcune delle parole usate dalla Hebrew University di Gerusalemme, una delle più importanti istituzioni accademiche del Paese, per descrivere i suoi presunti valori e la sua visione.

La settimana scorsa, però, l’università ha deciso di sospendere la professoressa Nadera Shalhoub-Kevorkian, un’importante studiosa di diritto e cittadina palestinese di Israele.

La scandalosa decisione, emessa senza una regolare udienza, è arrivata subito dopo la puntata del podcast di Shalhoub-Kevorkian su Makdisi Street, in cui esponeva le sue posizioni critiche nei confronti del sionismo e dell’assalto di Israele a Gaza.

Ma la studiosa è stata nel radar dell’università per mesi (e addirittura anni), dopo aver firmato una petizione a fine ottobre che chiedeva un cessate il fuoco a Gaza e descriveva la guerra come un “genocidio”. La Shalhoub-Kevorkian, ha scritto l’università, dovrebbe “trovare un’altra sede accademica che corrisponda alle sue posizioni”.

La sospensione svuota certamente di significato alcuni dei corsi “illuminati” che l’università ha da offrire. Infatti, cosa può insegnare un’università, che sospende un membro anziano della facoltà senza un’udienza, ai suoi studenti in un corso intitolato “La Corte Suprema in uno Stato democratico”?

Cosa può insegnare un’istituzione accademica, che si allinea ai sentimenti più estremi e falsi della società, su “Libertà, cittadinanza e genere”? Cosa può insegnarci su “Diritti umani, femminismo e cambiamento sociale” un’istituzione che mette a tacere in modo crudele e prepotente la voce critica di una donna, di una docente e di un membro di una minoranza perseguitata?

In una dichiarazione che presentava la sua visione dell’istituzione accademica diversi anni fa, il presidente dell’università, il professor Asher Cohen – che insieme al rettore, il professor Tamir Sheafer, ha autorizzato la sospensione di Shalhoub-Kevorkian – ha affermato che l’università ha “guidato un processo di inclusione delle popolazioni che compongono la società israeliana. Crediamo in un campus eterogeneo, pluralista ed egualitario, dove il pubblico proveniente da contesti diversi si conosce e viene introdotto al valore della coesistenza”.

Sono queste le parole importanti di un uomo che sembra però incapace di ascoltare voci politiche critiche che differiscono dalle sue.

Nella stessa dichiarazione, Cohen si vanta della grande responsabilità dell’università “nei confronti della società israeliana, e in particolare di Gerusalemme”.

Quella stessa Gerusalemme dove metà della città è sotto occupazione e dove oltre 350.000 palestinesi sono oppressi ogni giorno, le loro case demolite e i loro figli tirati arbitrariamente giù dal letto e arrestati nel cuore della notte – senza che nessuno dei dirigenti della torre d’avorio di Cohen dica una parola su di loro.

C’è molto da dire sui quartieri palestinesi di Silwan e Sheikh Jarrah, entrambi a poche centinaia di metri dal campus di Mount Scopus, che devono affrontare le espropriazioni di terre e proprietà da parte dei coloni sostenuti dallo Stato.

Ma è particolarmente grave che la Hebrew University non abbia mai ritenuto opportuno protestare contro la violenta oppressione in atto nel villaggio di Issawiya, le cui case sono chiaramente visibili dalle finestre degli edifici del campus, a pochi metri di distanza.

Possibile che nelle serate che Cohen trascorre nel suo ufficio non senta il rumore degli spari della polizia israeliana, che da tempo sono la colonna sonora del villaggio, proprio sotto la sua finestra?

Se solo il grande peccato dell’Hebrew University (ed è davvero un grande peccato) fosse l’oblio. La sospensione di Shalhoub-Kevorkian si aggiunge a una lunga lista di persecuzioni politiche e di indottrinamento militarista promossi dall’istituzione nel corso degli anni.

Dopo tutto, questa è la stessa università che, nel gennaio 2019, ha assecondato una brutta campagna di incitamento condotta da un gruppo studentesco di destra contro la dottoressa Carola Hilfrich, sostenendo falsamente che aveva rimproverato uno studente per essersi presentato al campus in uniforme militare.

Invece di difenderla dalle false accuse, l’università ha emesso una vergognosa lettera di scuse per l’“incidente”.

Questa è la stessa università che, pochi mesi dopo, ha scelto di trasformare il campus in un piccolo campo militare, ospitando corsi per l’unità di intelligence dell’esercito israeliano – una di una lunga serie di proficue collaborazioni con l’esercito – nonostante le proteste di studenti e docenti.

Questa è la stessa università che, più volte, ha molestato e messo a tacere le associazioni studentesche palestinesi, concedendo al contempo crediti accademici agli studenti che fanno volontariato con il gruppo di estrema destra Im Tirtzu.

E questa è la stessa università che, negli ultimi cinque mesi, non ha detto nulla su come Israele distrugge sistematicamente le scuole e gli istituti di istruzione superiore di Gaza, tradendo vergognosamente non solo i loro colleghi assediati, bombardati e affamati a Gaza, ma i principi stessi del mondo accademico.

In una lettera al deputato Sharren Haskel per spiegare la loro decisione, il presidente Cohen e il rettore Sheafer hanno accusato la Shalhoub-Kevorkian di essersi espressa in modo “vergognoso, antisionista e incitante” dall’inizio della guerra, schernendola per aver definito la politica di Israele a Gaza un genocidio.

Ma non è la sola a farlo. Non solo il popolo palestinese e centinaia di milioni di persone in tutto il mondo considerano la calamità di Gaza un genocidio, ma la stessa Corte Internazionale di Giustizia, il più alto tribunale del mondo, ha preso sul serio questa pesante accusa e ha stabilito che non può essere respinta a priori.

È come se Cohen e Sheafer non solo fossero sorpresi di apprendere che Shalhoub-Kevorkian è palestinese, ma che è anche – il cielo non voglia! – antisionista.

Se il sionismo fosse un prerequisito per l’ammissione all’università, i suoi dirigenti avrebbero dovuto essere obbligati a informare ogni docente e studente prima di varcare i cancelli.

È lecito affermare che uno dei motivi principali per cui non lo fanno, a parte le restrizioni legali, è che la Hebrew University beneficia della presenza di palestinesi per presentarsi al mondo accademico internazionale come un modello di pluralismo, liberalismo e inclusione. Nel frattempo, può continuare a perseguitare i palestinesi in patria, lontano dagli occhi del mondo.

Questo atto vergognoso si sta già ripercuotendo con forza nel mondo accademico e nei media di tutto il mondo, marchiando la Hebrew University con la vergogna che merita.

Fino ad allora, l’unico corso che posso trovare nei moduli dell’università che sembra appropriato da insegnare agli studenti è quello offerto dal Dipartimento di Scienze Politiche: Machiavelli, il filosofo del governo tirannico.

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