Il candidato espresso dall’establishment politico senegalese, Amadou Ba, ha riconosciuto nella giornata di lunedì la vittoria di Bassirou Diomaye Faye al primo turno delle presidenziali che si sono svolte domenica.
É un terremoto politico – che avevamo previsto oltreché auspicato – non solo per gli equilibri interni al paese africano, ma per le mire occidentali che non trovano più acconsenzienti esecutori dei desiderata dei consigli d’amministrazione delle multinazionali e dell’establishment occidentale.
Se i risultati finali del primo turno verranno ufficializzati nel corso di questa settimana, è chiaro che l’opposizione ha vinto la sfida elettorale nonostante il processo di criminalizzazione che va avanti almeno dal 2021; è così naufragato il tentativo del presidente uscente Macky Sall di posticipare il voto per restare al potere.
La commissione elettorale nazionale ha tempo fino a venerdì per pubblicare i risultati “provvisori” prima che vengano validati dal Consiglio costituzionale, ma la vittoria “eclatante” di Faye – scarcerato da poco grazie ad una travagliata amnistia – è un fatto evidente.
Faye, che fino a poche settimane fa era un “prigioniero politico”, insieme al principale leader dell’opposizione Ousmane Sonko – e a tanti altri – diverrà il 5° presidente del paese dell’Africa Occidentale, con 18 milioni di abitanti, di cui solo 7,3 aventi diritto di voto.
Faye si definisce legittimamente “candidato del cambiamento di sistema” e di “panafricanismo di sinistra”, insistendo su una sovranità nazionale calpestata dai paesi stranieri con il beneplacito dei loro tirapiedi locali.
La sua schiacciante vittoria è forse la peggiore notizia che potevano ricevere Parigi e Bruxelles (ma anche Washington) dopo l’affermarsi in Sahel di un nuovo corso politico inaugurato dai colpi di Stato dei “militari patriottici”, sostenuti dalla maggioranza della popolazione, in Mali, Burkina Faso e Niger.
Il nuovo presidente si era impegnato nel corso della campagna elettorale, tra l’altro, per la rinegoziazione dei contratti minerari, del gas e del petrolio stipulati – a tutto loro vantaggio – dalle compagnie straniere.
Se in un primo momento, quasi subito dopo la chiusura delle urne, c’era ancora il dubbio di una vittoria al primo turno o il ricorso al ballottaggio, nel corso della giornata di lunedì le cose si sono chiarite definitivamente.
Gli elettori e le elettrici non si sono sbagliati, ed hanno seguito alla lettera lo slogan in Wolof dell’opposizione: “Sonko moy Diomaye, Diomaye moy Sonko”, letteralmente “Sonko è Diomaye, e Diomaye è Sonko”.
Sonko era “ineleggibile” per una delle classiche strategie di uso strumentale del potere giudiziario, che si era accanito contro di lui.
Fin dai primi exit pool le persone sono scese in strada, in particolare i giovani e le donne, per urlare la loro gioia e danzare ai bordi delle strade, e per impedire sempre possibili “colpi di mano” da parte di un potere morente.
Un’ultima avvisaglia era stata l’indicazione del PDS dell’anziano presidente Abdoulaye Wade che, tre giorni prima del voto, ha chiamato a votare per Faye, per provare a “salire sul carro dei vincitori” dopo essere stato a lungo l’utile idiota delle trame del presidente uscente.
Già in mattinata 13 candidati su 19 si erano già complimentati con Faye per la vittoria, mentre Ba andava ancora dicendo che “nel peggiore dei casi” sarebbe andato al secondo turno, in data ovviamente imprecisata.
È stata una doccia fredda per l’establishment e, come sempre in questi casi, la tracotanza di un potere crepuscolare appare in tutta la sua paradossale ilarità attraverso le prime dichiarazione di Ba.
“Il campo che festeggia prima di conoscere il risultato dimostra solamente una volontà di manipolazione e di conquista del potere per vandalismo. Il precipitare del Senegal nell’avventurismo populista non è una fatalità”.
In realtà, è proprio l’establishment politico che portava la responsabilità di una possibile precipitazione nel caos del paese.
Dopo la repressione e la messa al bando dell’opposizione, Macky Sall (e Ba) le avevano tentate tutte, cercando di posticipare le elezioni e continuando con la scia di morti: 4 persone hanno perso la vita nelle manifestazioni contro il loro possibile rinvio.
Una vittoria conquistata attraverso la mobilitazione popolare e l’organizzazione in condizione di “clandestinità” per il PASTEF, che avrà conseguenze dirette in tutta la regione, al di là della frontiera del Senegal.
Come ha affermato lo specialista di storia senegalese Mamadou Diouf: “la regione è arrivata alla fine del ciclo post-coloniale nato con i primi presidenti. Altri paesi come la Costa d’Avorio potrebbero fare lo stesso”.
Un effetto domino che si è realizzato sia con i colpi di Stato dei “militari patriottici” sia per via elettorale, e che segna la nuova alba dei popoli africani.
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