Viene arrestata una donna che per 30 anni è stata nelle liste delle persone ricercate dalla polizia. L’evento balza al centro dell’eccitazione resa pubblica. Segue una caccia a altri due ricercati sui quali fino ad oggi non si è riusciti a mettere le mani.
Sono ex appartenenti alla RAF, sono coloro che nel 1998 dopo 28 anni, con un’ampia dichiarazione avevano dichiarato concluso il progetto RAF. Chi ancora conosce i media del periodo attivo della RAF, percepisce il ricordo. Eppure: quali sono i paralleli se il programma della guerriglia urbana non esiste più?
Università di Graz a gennaio: qui parla Heinz Bude, sociologo in permanente assistenza del potere. Con parole gentili, recitate in stile discorsivo, seguo le parole e i concetti (come »Vorratsreflektion« [riflessione di scorta] che solo la sociologia può inventare), che spiegano che la sociologia deve produrre »disponibilità all’ubbidienza« [Folgebereitschaft], eventualmente attraverso una ‘politica della paura’ ma che allo stesso tempo non deve averne l’aspetto, presentandosi sotto le spoglie della scientificità.
Ci saranno crisi, catastrofi climatiche, pandemie e anche la guerra torna nuovamente in Europa. All’occorrenza, per questa ubbidienza bisognerà anche »esercitare coercizione« per poter affrontare le crisi con »capacità di azione collettiva«.
Ciò che qui si ascolta va definito apologia del fascismo, o almeno l’apologia di una fascistizzazione dell’apparato statale. Il suo punto di partenza è: il capitalismo come fondamento della società è intoccabile.
Non è lui che va messo in discussione – meno che mai negato – per via delle sue crisi, ma il singolo che rifiuta la propria sottomissione o semplicemente fa le bizze perché non vuole capire perché non venga risparmiato lui, che non è mai stato nemico del sistema.
Oltre la gestualità di una »capacità di azione collettiva« dichiarata necessaria nell’interesse di tutti, dilaga una disponibilità alla fascistizzazione che – poiché si sforza di non essere ideologica – si rivela essere fascismo tecnico.
Non ha bisogno di ideologia, tranne quella secondo la quale le condizioni mondiali capitaliste seguono una sorta di legge di natura. Su questa base si possono organizzare manifestazioni di Stato contro i fascisti ideologici dell’AFD, mentre la politica governativa ufficiale in materia li ha superati da tempo.
»Siamo in grado di farlo in una società liberale moderna, è possibile questo?«, chiede retoricamente Bude preso qui come esempio, con un implicito »si« che nessuno ha più bisogno di pronunciare.
È il segno distintivo della »democrazia liberale« del capitalismo che rispetto alle sue forme autoritarie si spaccia per »fondato su valori«, per essere rimosso nel processo reale della società in conformità al sistema. Rien ne va plus si modifica in: rien ne compte plus.
Davvero niente vale più. Tutto è negoziabile nella »democrazia liberale«, solo una cosa non lo è: il capitalismo come base vitale.
Ormai da tempo non esiste più un impegno autonomo in prima persona proveniente dal sociale, vincolante nei confronti degli altri. Questa è una delle ragioni per le quali lo Stato diventa sempre più centralista e autoritario.
La dissoluzione interna di tutti i valori del processo di capitalizzazione dell’intera vita richiede una cornice di tenuta esterna. La società che strutturalmente si auto-svaluta politicamente e moralmente ha bisogno di sempre più polizia. Questo è inevitabile.
Pier Paolo Pasolini un tempo lo ha esposto per la diagnosi di una condizione di distruzione sociale che definì »mutazione antropologica«. Nel mondo del consumo e della produzione, uno svuotamento dell’essere umano e la creazione di un nuovo modello di società social-economico: il »fascismo del consumo«.
Il fascismo è immanente al capitalismo e l’uno non è pensabile senza l’altro. In Ucraina viene condotta la lotta per l’egemonia tra capitalismo »liberale« e »autoritario« fino all’ultimo ucraino e a Gaza si rivela quanta barbarie si pretende di proporre all’umanità come »normale«.
Coloro che pensano di poter affrontare il fascismo fondato sull’ideologia brandendo la ‘democrazia liberale capitalista’, si troveranno completamente disarmati quando anche la democrazia liberale avrà rivelato il suo punto critico nell’acculare le sue brutalità e nel suo culmine oggi possibile nella grande guerra.
Qui il clamore sulla RAF che oggi attraversa i media si rivela come parte della promozione della »disponibilità all’ubbidienza«. Anche questo un tentativo di ripetizione: popolo e Stato come comunità investigativa.
È costante l’eterno odio nei confronti di coloro che si sono presentati come ‘controsovrani’. Tutto è permesso. Qui il giornalismo d’inchiesta di LEGION (4) che si auto-eccita, può rendere KI strumento di uso quotidiano del fascismo tecnicamente possibile.
Ma da tempo si va oltre: »terroristi climatici«, (troppe fonti per citarle qui), »fattore di trazione-RAF« (redazione digitale di SWR), »Un intero Paese in ostaggio« (la Taz sullo sciopero delle ferrovie).
Viene richiesta sottomissione e ubbidienza. Tutt’al più una protesta nella forma che non disturba il funzionamento in essere. Tutto viene sottomesso allo schema amico-nemico, quindi alla logica della guerra che precede quella militare, la accompagna e quindi la segue.
Da tempo la società è formata in modo autoritario. A posteriori il coronavirus si rivela il punto di svolta in cui la politica della paura è diventata momento centrale della trasmissione del dominio. Segue la nuova richiesta di ubbidienza nei confronti dello Stato come virtù e la rivalutazione morale di una figura abietta: il gregario e collaborazionista.
Dopo che ci si è fatti belli per decenni citando Hannah Arendt (»Nessun uomo ha il diritto di ubbidire«), si lasciano cadere gli augusti gesti nei confronti del passato nazista e si propaga lo Stato del comando [Führungsstaat], vicino a ciò che in seguito prima o poi, non solo per Trump, evolve in Stato del comandante [Führerstaat].
Libertà per Julian Assange. Per una prospettiva orientata alla libertà per Daniela Klette, Burghardt Garweg, Volker Staub e le e gli antifascisti detenuti e perseguitati dall’Ungheria e dalla Germania.
Traduzione a cura di Sveva Haertter
Note
1) Citazioni di Heinz Bude da »Gesellschaft im Ausnahmezustand – Was lernen wir aus der Coronakrise?« (Società in stato di emergenza – cosa impariamo dalla crisi del coronavirus?) , Iniziativa pubblica Università di Graz del 24.01.2024, accessibile dalla pagina dell’università di Graz
2) Pier-Paolo Pasolini, colloquio con Gideon Bachmann del gennaio 1965 in: PASOLINI BACHMANN, GESPRÄCHE 1963-1975, Vol. 1, di Gabriella Angheleddu e Fabien Vitali, Galerie der abseitigen Künste, Amburgo 2022 pp. 79
3) Vedi nota 2: qui Vol. 2, commento Fabien Vitali pp. 137 e 415
4) Giornalisti di inchiesta per il canale TV tedesco ARD
Fonte
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