Secondo i risultati ufficiali provvisori, Bassirou Diomaye Faye avrebbe ottenuto la vittoria al primo turno delle elezioni presidenziali con il 54,28% dei consensi.
L’annuncio è stato dato mercoledì dalla Commissione nazionale di censimento dei voti, confermando ciò che era chiaro già nella giornata di lunedì, riconosciuto da tutti i candidati alla presidenza.
Non si tratta di una vittoria di stretta misura considerando che il candidato espresso dalla coalizione che governava il paese ha ottenuto solo il 35,79% dei voti.
Le due figure politiche, la prima esplicitamente “di rottura” mentre l’altra “di continuità”, hanno monopolizzato il voto come era da attendersi, con il terzo candidato – Aliou Mamadou Dia, del Parti de l’unité et du rassemblent – che ha ottenuto appena il 2,8% dei suffragi.
Una vittoria “straordinaria” considerando che una decina di giorni prima delle elezioni, Faye era ancora un prigioniero politico detenuto nelle carceri di Dakar.
Una vittoria “storica” tenendo conto che per la prima volta dall’indipendenza, il candidato dell’opposizione vince al primo turno.
Se, come sembra, nessun candidato depositerà presso il Consiglio costituzionale alcun ricorso – entro 72 ore dopo l’annuncio della Commissione nazionale – i risultati “provvisori” diventano “definitivi” secondo la Costituzione ed il passaggio di poteri tra il vecchio presidente Macky Sall e Faye dovrebbe essere lineare.
Se invece ci sarà un ricorso, entro 5 giorni il Consiglio dovrà esprimersi, ed il passaggio entro il 2 aprile potrebbe essere rimesso in causa.
A complicare infatti il quadro è stato, a febbraio, il maldestro tentativo di “golpe istituzionale” tentato da Sall stesso – che “stranamente” non aveva fatto “strappare le vesti” alla cosiddetta comunità internazionale – e che ad un certo punto sembrava volersi presentare per un “terzo mandato” non previsto dalla Costituzione.
Faye, 44 enne, è il più giovane presidente della storia del Senegal e non ha mai avuto un incarico nazionale in precedenza. Ha di fronte un compito certo non facile, ma ha idee chiare e grande determinazione nel far cambiare il corso politico complessivo del Paese.
Dovrà al più presto comporre il governo e con ogni probabilità sciogliere l’Assemblea nazionale, proclamando nuove elezioni, forte di un consenso che gli darebbe la maggioranza assoluta.
Nel suo primo discorso pubblico ha confermato sostanzialmente le priorità già enunciate, in primis la lotta alla “corruzione” e la necessità di una “riconciliazione nazionale”, dopo la frattura provocata dalla torsione autoritaria che il presidente uscente ha imposto al paese da alcuni anni a questa parte, nel tentativo di annichilire ogni alternativa politica, a colpi di repressione di piazza e di “messa al bando” dell’opposizione.
Era la forma politica di un modello di sviluppo fatto per soddisfare le esigenze delle multinazionali straniere – in particolari francesi – e di una élite che viveva delle prebende di questo sistema.
Un modello fatto di accumulazione per esproprio delle maggiori risorse nazionali (pesca ed idrocarburi) e di dipendenza dalle importazioni – anche per ciò che concerne il proprio fabbisogno alimentare – come tratti peculiari. Mentre sullo sfondo pesava il signoraggio economico del Franco CFA e una sovranità amputata dalla presenza militare francese a Dakar.
Faye ha cercato di rassicurare il partner internazionali che vorranno “impegnarsi con noi in una cooperazione virtuosa, rispettosa e mutuamente proficua”.
Un Senegal che proietta quindi il suo profilo nel mondo multipolare senza che vi siano primus inter pares.
Il campo ex-presidenziale – sia la coalizione BBY che il partito di Sall, l’APR – esce dalle consultazioni con le ossa rotte, così come i suoi padrini internazionali. Lì sta incominciando una poco velata resa dei conti, in specie nei confronti dell’ex presidente, mettendone in discussione le scelte scellerate e lo scarso sostegno a Ba.
La redde rationem nelle fila degli ex-governanti del paese potrebbe portare ad un processo di decomposizione di quell’espressione politica di interessi tenuti insieme dalla prospettiva di potere, e da null’altro.
Le élite filo-occidentali africane hanno un chiaro problema di riproduzione di “propri” rappresentanti politici all’altezza, ossia capaci di essere qualcosa di più di obbedienti tecnocrati ben visti dalla cosiddetta “comunità internazionale”, nonostante gli ingenti mezzi a loro disposizione.
Una fonte anonima negli alti ranghi del partito presidenziale spiega al corrispondente del quotidiano francese Le Monde: “Sulla carta erano elezioni imperdibili. Noi avevamo l’apparato di Stato, i soldi, il rullo compressore della nostra coalizione ed un bilancio materiale da elogiare”.
Non avevano fatto i conti con una variabile determinante: la volontà popolare e le capacità politica di una opposizione ridotta stricto sensu alla clandestinità ed al carcere, ma non alla marginalità politica.
È chiaro che il voto popolare ha espresso il rigetto per questi ultimi 12 anni di presidenza – in specie gli ultimi 3 – e ha voluto punire coloro i quali hanno ordito un colpo di stato istituzionale non andato in porto solo grazie alla mobilitazione popolare.
La frattura infatti tra il presidente e l’opposizione – che aveva esordito alle scorse presidenziali con il 19% dei consensi, con la leadership di Sonko – si era definitivamente consumata nel 2021, con l’uso politico del potere giudiziario nei confronti di Sonko e le manifestazioni represse nel sangue.
Una frattura tra “centro” e periferia”, tra il vecchio establishment politico e le nuove generazioni senegalesi, tra la narrazione auto-compiacente del potere – “il bilancio materiale da elogiare” – ed una realtà sociale impoverita e costretta all’immigrazione, che agognava un cambiamento radicale.
Faye ha fatto il pieno di voti nelle periferie di Dakar, come a Pikine o Guédiawaye, importanti bacini di voto della gioventù senegalese.
Nell’area metropolitana della capitale, dove vive circa il 26% degli elettori totali, con un milione di aventi diritto, Faye ha ottenuto più di 286 mila voti contro i 118 circa di Ba; cioè molto più del doppio.
Senza sorpresa, Faye ha polverizzato i concorrenti nei bastioni dell’opposizione, come nella regione di Ziguinchor; e non solo a Casamance dove Sonko è sindaco, ma anche a Bignona e Oussouye.
Nel Nord ha vinto a Saint-Louis, nell’ovest a Mbour.
Di fatto Ba ha vinto solo nei bastioni tradizionali della coalizione al potere, cioè a Metam e Podor.
Faye si appresta a cambiare il “paradigma economico”, promuovendo la sovranità alimentare con la creazione di otto poli agro-industriali regionali, diversificando le colture, per invertire l’indebitamento causato dalle importazioni; vuole inoltre aumentare l’interdizione dello sfruttamento ittico da parte delle navi straniere fino a 20 km dalla costa favorendo i pescatori locali; e infine decentrare gli investimenti, considerato che l’80% di questi sono indirizzati verso la capitale.
Vuole rinegoziare il debito e avviare una politica fiscale progressiva, e soprattutto rinegoziare i contratti per lo sfruttamento del petrolio e del gas.
Sulla sovranità monetaria è stato più cauto e sembra deciso a intraprendere una strada più graduale, ma comunque risoluta.
In sintesi: se la CEDEAO/ECOWAS non deciderà di dar seguito al progetto di nuova valuta della Comunità Economica degli Stati dell’Africa dell’Ovest nel 2027 – l’éco – il Senegal adotterà una divisa nazionale che subentri al Franco CFA dopo avere aumentato le sue riserve auree e appianato il suo bilancio.
Se il compito è arduo, rimane chiaro che un altro “pezzetto di mondo” ha visto la caduta dell’egemonia politica di chi aveva adottato un profilo di “modernizzazione” – frutto della globalizzazione neo-liberista per la “periferia integrata” – che non ha dato risultati tangibili per la maggioranza della popolazione.
Ora i desiderata dell’Occidente non detteranno più l’agenda politica del paese, che dovrà comunque faticare non poco per recuperare credibilità agli occhi di chi ha conosciuto la schiavitù, la colonizzazione ed il neo-colonialismo e che oggi vuole riacquistare la propria indipendenza reale dentro un riscatto continentale.
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