Girano molti commenti molesti intorno alla storia e alla morte di Barbara Balzerani. Per i giornali e i commentatori borghesi o della destra corre l’obbligo della demonizzazione della persona e del contesto, una sorta di esorcismo ripetuto e ossessivo che dura ormai da decenni.
Poi è partita la criminalizzazione di chiunque – giornalisti, attivisti o docenti universitari – abbia provato a non utilizzare esclusivamente il linguaggio della vendetta o della “verità di Stato” per ricordare o salutare Barbara Balzerani. Anche i ricordi, talvolta più personali che politici, sono stati brutalizzati dai plotoni di esecuzione mediatici e “disciplinari”.
Ma rumori molesti sono arrivati anche da alcuni ambiti erroneamente ritenuti “di movimento”, fin troppo tollerati.
Se si potesse prenderli sul serio, i Carc sarebbero una microformazione da “caso di studio”. Da quasi 40 anni, infatti, si ergono a custodi testamentari della stagione della lotta armata – con particolare attenzione alle BR – sfornando documenti, condanne, critiche a questo o quel militante di quei tempi, aprendo polemiche cui nessuno risponde, ecc., stabilendo a proprio insindacabile giudizio cosa sia ammissibile dire o pensare.
Una identità davvero temeraria e potenzialmente suicida, se fosse seria...
Se si potesse prenderli sul serio, dei Carc andrebbe infatti spiegata prima di tutto la sopravvivenza in una stagione politica in cui anche il passare a miglior vita diventa un’occasione – per il potere e i suoi menestrelli mediatici – per ri-criminalizzare nomi e fatti di quei tempi.
Viviamo una stagione in cui chi salva vite in mare viene descritto – e imputato – come “complice degli scafisti”. Oppure si manganellano studenti minorenni “armati” solo di dignità e idee di giustizia sociale, accostando strumentalmente e minacciosamente le piccole forme di conflitto sociale presenti oggi, ai fuochi veri degli anni Settanta.
Una stagione in cui un anarchico accusato di aver fatto esplodere un petardone nei pressi di una caserma, senza provocare né danni né feriti, può essere tranquillamente condannato all’ergastolo per “strage politica” e sepolto al 41 bis.
Tempi, insomma, in cui non si scherza né con i fatti né con le parole.
Ma, naturalmente, neanche volendo si possono prendere i Carc sul serio.
Tanto meno quando – anche loro – sfruttano la morte di una compagna per “provocare discussioni”... riproponendo oggi i propri deliri di otto anni fa anche contro il nostro giornale.
Questo giornale, notoriamente, non si cura affatto di questa gente, neanche quando viene da loro preso di mira nella speranza di una reazione. Ce ne siamo occupati solo in occasione di un’aggressione ad un compagno che era stata, in modo obliquo, da loro “giustificata”, se non proprio “rivendicata”.
Ma le generazioni di attivisti fortunatamente si rinnovano e dunque sorge ogni tanto la necessità di far sapere anche a chi si affaccia per a prima volta al conflitto sociale e politico che tipo di “fauna” popola questo angolo di mondo. In modo da semplificare le relazioni ed evitare di perder tempo con chi sta lì proprio e solo per fartene perdere.
In occasioni come queste un silenzio dignitoso sarebbe stato apprezzabile, ma è un auspicio del tutto sprecato.
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