Sabato 16 marzo, l’autorità che governa attualmente il Niger – il CNSP – dopo il colpo di stato attuato dai militari patriottici che il 23 luglio 2023 hanno deposto il presidente Bazoum, ha denunciato “con effetto immediato” l’accordo di cooperazione militare sottoscritto con gli Stati Uniti nel 2012.
Un duro colpo per Washington, considerato che gli USA hanno nel paese del Sahel un contingente militare di 1.100 uomini ed una importante base ad Agadez; la seconda – per importanza – nella regione dopo quella di Gibuti. Gli USA avevano sospeso, senza annullarla, la propria cooperazione con il Niger dopo il putsch di luglio.
Bisogna ricordare che a fine dicembre l’ultimo soldato francese aveva dovuto lasciare il paese, così come era già successo prima in Burkina Faso e prima ancora in Mali.
Gli Stati Uniti – a fine luglio – hanno pensato di potersi differenziare rispetto alla potenza ex-coloniale francese, così come in parte lo credono Italia e Germania, e di conservare i propri legami nel paese. Ma la storia sembra girare in tutt’altra direzione.
Il quotidiano francese Le Monde parla espressamente di “ritorno della guerra fredda” in Sahel, ma bisognerebbe piuttosto parlare di una ripresa del processo di liberazione nazionale dal neo-colonialismo che va sempre più consolidandosi.
Recentemente Niger, Burkina Faso e Mali, dopo avere in precedenza formalizzato l’Alleanza degli Stati del Sahel (AES, l’acronimo francese), ed essere usciti dalla Comunità Economica degli Stati dell’Africa dell’Ovest (CEDEAO/ECOWAS), hanno annunciato ad inizio marzo la creazione di una forza militare congiunta anti-jihadista.
Questi tre paesi si avviano con ogni probabilità ad una uscita comune dal franco CFA. “La moneta è una tappa dall’uscita dalla colonizzazione” aveva dichiarato Tieni, a capo dell’organismo che governa il Niger all’inizio di febbraio...
Tornando però alla rottura della cooperazione militare tra gli USA ed il Niger.
Con lo stile che ha contraddistinto il CNSP, il portavoce del governo, Amadou Abdramane – attraverso un annuncio televisivo fatto sabato 16 marzo – ha denunciato che l’accordo sarebbe stato imposto unilateralmente da Washington, ma sarebbe anche sempre rimasto un “semplice accordo verbale”.
Che costringerebbe il paese a pagare diversi miliardi per le spese connesse alla gestione degli aerei nord-americani.
Niamey lamenterebbe la mancanza di trasparenza sulle operazioni condotta da Washington, che l’ha sempre lasciata nella più totale ignoranza sugli effettivi ed i materiali impiegati.
Le parole del portavoce sono lapidarie: “Questo accordo è non soltanto profondamente ingiusto, ma allo stesso tempo non corrisponde alle aspirazioni e agli interessi del popolo”.
Così continua il membro del Consiglio Nazionale: “la presenza americana sul territorio del Niger è illegale e viola tutte le regole costituzionali e democratiche”.
L’annuncio arriva dopo alcuni giorni di incontro, tra martedì 12 e giovedì 14 marzo, con una delegazione statunitense di alto livello a Niamey che, nel discorso televisivo, viene definita “senza rispetto dei protocolli diplomatici” e “imposta”.
La delegazione statunitense era di prim’ordine e composta dal segretario di Stato aggiunto per gli affari africani, Molly Phee, da un alto responsabile del Pentagono come Celeste Wallender, e nientemeno che dal comandante in capo del commando americano per l’Africa (Africom), Michael Langley.
Gli inviati statunitensi avrebbero accusato Niamey di avere stipulato accordi segreti a livello militare con Mosca, o sull’uranio con l’Iran, ed avrebbe minacciato ritorsioni.
La cooperazione militare con il Niger sarebbe ripresa se gli fosse stato assicurato di non trovarsi sullo stesso terreno con i russi.
Nel corso degli ultimi mesi i rapporti tra Mosca e Niamey si sono intensificati dopo la visita, il 4 dicembre, del vice-ministro alla difesa russo Evkourouv, accolto con tutti gli onori dal generale Tieni; in quell’occasione è stato firmato tra i due paesi un protocollo di difesa dalle clausole segrete.
L’atteggiamento nord-americano è stato legittimamente considerato il superamento di una “linea rossa” tendente a dettare la politica estera ad un paese sovrano che si è già sbarazzato della presenza francese e che ora si appresta a mettere in fuga, diplomaticamente, pure gli USA.
Gli inviati statunitensi si erano trattenuti un giorno in più nella speranza di avere qualche risposta rispetto al “ritorno all’ordine costituzionale” o sull’avvenire della loro presenza militare nel paese, ma non hanno avuto risposte dai propri interlocutori.
Una fonte anonima interna alla giunta, citata da Rfi Afrique, avrebbe affermato che ci sarebbe una ragione più profonda legata alla mancata collaborazione in materia di lotta contro l’insorgenza jihadista che, con la caduta di Gheddafi in Libia, è esondata in tutto il Sahel.
“Ci sono un migliaio di soldati americani da noi, in Niger. Hanno dei droni e altri apparecchi sofisticati. Rifiutano di condividere le informazioni con noi sui movimenti dei terroristi. È troppo!”, dichiara la fonte del sito d’informazione francofono.
La base di Agadez, secondo la strategia statunitense in Africa, controlla infatti la Libia.
Un’altra fonte fa sapere che “se noi fissiamo una data per la loro partenza, ci impegniamo affinché tutto si svolga senza baccano”.
Paul-Siomin Handy, direttore dell’istituto di studi sulla sicurezza (ISS) ad Addis-Abeba, è costretto ad ammettere che si apre uno scenario simile a quello della Repubblica Centro Africana (RCA) e al Mali, dove una possibile relazione con la Russia “porterà un sostegno militare che permetterà di ottenere delle vittorie tattiche”. Cosa – aggiungiamo noi – che non è mai riuscita ad assicurare la presenza occidentale, francese o americana che sia.
Questa è anche una percezione piuttosto condivisa dalle popolazioni locali.
“C’è una dinamica di un Sud che si allontana dall’Occidente”, è la valutazione realista di Frédéric Carillon, professore a Science-Po a Parigi e co-direttore del Defence & Leadership Center presso ESSEC.
E gli Stati Uniti non sfuggono a questo destino in Sahel, nonostante non siano una potenza ex coloniale nel continente.
In generale ciò si tradurrà in un deficit sostanziale nella capacità di intervento sul campo da parte dell’Occidente, considerato il consolidamento dell’alleanza tra Mali, Burkina Faso e Niger e la sconfitta della CEDEAO/ECOWAS, tradizionale strumento filo-francese nella regione.
Vediamo nel dettaglio l’importanza della base di Agadez.
La base aerea 201 vede la presenza di 700 militari, sul migliaio impiegati in Niger.
Ci sono nella base due aerei da ricognizione elettromagnetici, due elicotteri di manovra e soprattutto una decina di droni MQ-9 Reaper; un format che poteva estendersi a 15-20 macchine in caso di necessità.
I Reaper permettevano di avere uno sguardo d’insieme su tutto il Sahel e soprattutto sulla Libia.
La fuga dal Niger – come dal resto del Sahel – potrebbe costringere le due potenze allontanate dal paese a ripiegare sui pochi perni rimasti all’Occidente nell'area, dando vita a basi franco-americane. Il Ciad potrebbe apparire una destinazione logica, vista la sua collocazione geografica e la fedeltà filo-francese – nonostante il regime debba imporsi con il sangue attraverso la strage degli oppositori – ed in cui Parigi ha già una importante base aerea al campo Cosy, nella capitale Ndjamena.
Altre location potrebbero essere la Mauritania, il nord del Benin o il Marocco.
La Francia è piuttosto in difficoltà visto che la situazione in Ciad è tutto meno che stabilizzata. Ma va anche tenuto conto che le elezioni in Senegal – dopo il vano tentativo di “posticiparle” da parte del presidente uscente – potrebbero vedere trionfare l’opposizione, con Bassirou Diomaye Faye, ed aprire un nuovo corso per il paese e l'intera regione.
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