Le forze di occupazione israeliane hanno invaso Tulkarem, Jenin, Tubas e i villaggi e le città di Ramallah ed Hebron, in un nuovo attacco denominato “Campi Estivi”, che coinvolge numerose città e villaggi della Cisgiordania. L’obiettivo si è concentrato inizialmente sui campi profughi, poiché rappresentano significati politici importanti, in particolare per la questione dei rifugiati palestinesi e il diritto al ritorno.
Questo è un attacco studiato e organizzato in modo sistematico che continua senza sosta da decenni, che visto nel tempo implica il coinvolgimento dei campi profughi in Libano, Siria e Cisgiordania.
È parte del “Piano del Secolo” e delle visioni della soluzione finale secondo la prospettiva israeliana.
Questo attacco, nelle sue attuali dimensioni, sarà limitato nel tempo, nello spazio e negli obiettivi, cioè non si evolverà in un attacco totale come è avvenuto a Gaza. Perché Israele utilizzerà solo una parte della sua forza. Se continua nei limiti attuali, non vi è un reale pericolo di svuotamento dei campi spingendo la popolazione allo sfollamento e al trasferimento, ma il rischio di un’escalation rimane e i piani di sfollamento e trasferimento sono reali, in attesa del momento opportuno.
Israele non passerà alla fase successiva, più importante e pericolosa in Cisgiordania, se non dopo aver soddisfatto una serie di condizioni e fattori. La fase successiva sarà un’escalation graduale, un aumento dell’uso della forza e il tentativo di replicare il modello di Gaza dopo il 7 ottobre.
Ma prima di dare inizio al piano di trasferimento, Israele dovrebbe raggiungere alcuni obiettivi: preparare l’opinione pubblica mondiale, convincendo i governi e i paesi occidentali del legame tra la resistenza nel nord della Cisgiordania e l’Iran. Come ha già fatto, convincendo i paesi occidentali che l’origine del problema palestinese è stato l’attacco di Hamas il 7 ottobre, etichettando Hamas come “terrorista”, affermando che Israele ha subito un nuovo Olocausto, che il 7 ottobre è la versione palestinese dell’11 settembre, e che Israele sta difendendo se stessa.
Ciò ha permesso a Israele di compiere crimini e genocidio di portata inaudita senza essere fermata o criticata seriamente dalle potenze occidentali.
Per raggiungere un risultato e giustificazioni simili in Cisgiordania, Israele creerà un collegamento tra la resistenza palestinese e l’Iran, dicendo al mondo che sta combattendo contro l’Iran e la sua influenza in Cisgiordania.
Convincere il mondo che la resistenza in Cisgiordania non è meno potente della sua controparte a Gaza e che è necessaria una grande campagna militare, giustificando uccisioni, distruzioni e devastazioni (anche se in realtà la resistenza dispone solo di semplici armi leggere), cercando di oscurare ogni riferimento all’occupazione che è all’origine della Nakba e della resistenza del popolo palestinese come pure è stato recentemente decretato dalla Corte Internazionale dell’Aja.
In questa missione, Israele avrà bisogno del sopporto della macchina di guerra della comunicazione occidentale, e non solo, che ha già iniziato a usare lo stesso approccio utilizzato a Gaza: enfatizzare la forza della resistenza, amplificare l’evento, e sottolineare che ciò che sta accadendo non è un’aggressione, ma piuttosto “feroci battaglie” e “scontri violenti”. Usando gli stessi termini: agguato complesso, cecchini, colpi contro i mezzi nemici, esplosione di bulldozer, ordigni esplosivi altamente distruttivi, campi minati, assi di combattimento.
Israele sta utilizzando, per la prima volta, tecniche militari non necessarie e sproporzionate rispetto agli obiettivi: operazioni di sbarco, uso di droni, distruzione di strade, danneggiamento delle infrastrutture, assedio di ospedali, bombardamenti aerei (in passato si limitava a incursioni e arresti, ricorrendo agli assassini mirati solo in casi particolari).
Come dire, vuole replicare la situazione di Gaza nel nord della Cisgiordania (come prima fase) per confondere l’immagine del mondo e degli osservatori. Così come il mondo si è abituato alla situazione di Gaza (nonostante l’intensità della tragedia), si è abituato ai crimini di bombardamento e ai massacri (nonostante la loro brutalità), e la cosa è diventata accettabile e abituale, sarà così anche in Cisgiordania.
Si tratta poi di mettere in imbarazzo l’Autorità Palestinese, mostrando la sua debolezza e incapacità, incitando contro di essa, suscitando l’opinione pubblica locale contro, fino a spingere forze e individui a prendere di mira le sue sedi (accompagnato da un assedio finanziario e politico, trattenendo le tasse e accusandola di sostenere il terrorismo). Dopo averla indebolita, si creerà l’opportunità per farla cadere, sostituendola con uno stato di caos e disordini, con conflitti interni, lasciando un vuoto politico e privando i palestinesi di qualsiasi rappresentanza.
Con un’atmosfera di guerra aggressiva che indebolirà o eliminerà la resistenza, con un clima di caos interno e lasciando i coloni liberi di devastare i villaggi, le città e le strade, si creerà l’opportunità di attuare i piani di trasferimento verso la Giordania. La fuga da questo inferno diventerà il desiderio di chiunque cercherà di salvarsi per sopravvivere.
Rimango convinto che i palestinesi hanno la consapevolezza di dover agire e pensare con razionalità per poter sventare le prospettive di Israele, e non cadere nella trappola sionista. Questo non significa che il problema si concluda e il conflitto si fermi, ma che si torni alla situazione originale: una situazione di scontro e resistenza popolare con ogni mezzo, contro l’occupazione.
Il problema è che in tempi di guerra, con le invasioni, prevalgono sentimenti di rabbia e paura istintiva, e di solito questi sentimenti negativi prevalgono sul pensiero razionale, sostituendolo con l’emotività e il desiderio, e a volte con il populismo. Penso che, il movimento di solidarietà con la giusta lotta del popolo palestinese e la sua multiforme resistenza, dovrebbe assumere il ruolo non solo di sostegno alle varie iniziative, mantenendo alta la narrazione palestinese, ma allargando il movimento di boicottaggio BDS, a tutti i livelli, come mezzo di pressione anche sulle istituzioni per congelare se non annullare ogni forma di sostegno politico, diplomatico, militare e commerciale con Israele.
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