Tra il 3 e il 4 maggio si è svolto a Milano il 28esimo incontro annuale dei ministri delle Finanze e dei governatori delle banche centrali dell’Associazione delle nazioni del Sudest asiatico (ASEAN), della Cina, del Giappone e della Corea del Sud (un forum definito anche ASEAN Plus Three o 10+3).
Presieduto da Cina e Malesia, quest’anno il summit si è concentrato sulla cooperazione regionale in contrapposizione alla guerra commerciale, promossa dagli Stati Uniti. Nella dichiarazione comune alla fine del vertice, si legge una presa di posizione netta contro “il montante protezionismo commerciale”, evidente riferimento alle misure dell’amministrazione Trump.
La priorità politica affermata a questo incontro è quella di mantenere una “resilienza a lungo termine”, attraverso un pieno “impegno per il multilateralismo e per un sistema commerciale multilaterale basato su regole, non discriminatorio, libero, giusto, aperto, inclusivo, equo e trasparente, con l’Organizzazione Mondiale del Commercio al suo centro”.
Nella dichiarazione congiunta si accenna anche al supporto per la definitiva implementazione del Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) Agreement. Si tratta del più grande accordo di libero scambio al mondo, e coinvolge oltre ai paesi presenti a Milano anche Australia e Nuova Zelanda, legando insieme i principali attori che si affacciano direttamente sul Pacifico.
Ovviamente, le discussioni sono state dedicate a promuovere l’intesa tra gli ASEAN Plus Three anche sul piano fiscale e finanziario. Molto significativo è di sicuro il richiamo al Chiang Mai Initiative Multilateralisation (CMIM), di cui sono stati approvati gli ultimi aggiornamenti affinché ne venga rafforzato il carattere di “rete di sicurezza finanziaria”.
Il CMIM è sostanzialmente un fondo in valuta straniera (dollari) la cui funzione è quella di garantire ai paesi collegati una riserva di liquidità in caso di problemi a breve termine nei pagamenti. È uno strumento pensato per rendere più indipendenti i paesi che gli sono associati da istituti finanziari come il Fondo Monetario Internazionale (FMI).
È chiaro che tra gli obiettivi c’è quello di assicurarsi una maggiore autonomia da enti considerati fortemente influenzati da Washington, e in generale dalle politiche neoliberiste occidentali. Anche altri programmi sono promossi per lo sviluppo dei mercati finanziari locali, e in tutti i casi continua il dialogo con FMI e Banca Mondiale.
Ma l’effetto delle guerre commerciali, come era già successo tra Cina, Giappone e Corea del Sud, sembra spingere a una maggiore integrazione economica tra paesi che, è bene comunque sottolinearlo, non condividono sempre le stesse posizioni sui principali punti di attrito geopolitico. Ma questa dinamica è certamente da tenere sott’occhio per capire gli sviluppi futuro nell’Indo-Pacifico.
Un’ultima nota. Dal 4 al 7 maggio Milano ha ospitato in contemporanea il 58esimo meeting dell’Asian Development Bank (ADB). Erano presenti i rappresentanti di 69 paesi, oltre ovviamente a quelli dell’Italia – il ministro dell’Economia Giorgetti e il governatore di Bankitalia Panetta – che ne è tra i membri fondatori.
Era dal 2016 che il summit non si svolgeva in Europa, e alcuni analisti hanno sottolineato come l’occasione esprima un maggiore interesse per la regione dell’Indo-Pacifico, ma anche un’ulteriore opportunità di riaprire i legami tra UE e Cina dopo i dazi imposti da Bruxelles. Proprio in questi giorni ci sono contatti tra von der Leyen e Xi Jinping in merito.
Lo scenario commerciale continua a essere velocemente ridefinito dalle tariffe volute da Trump.
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