Zitto e taci. E’ la procedura.
Marco Bascetta, il manifesto 11 Settembre 2013
VAL DI SUSA. Non accade con frequenza che un conflitto radicato in un
territorio circoscritto e incentrato su un oggetto ben determinato
(un’opera infrastrutturale come la linea ad alta velocità Torino-Lione)
si trasformi in una arena politica in cui emergono, mostrando tutte le
tensioni e gli attriti che le attraversano, non poche «grandi
questioni».
Prima Gianni Vattimo, poi Erri De Luca e Ascanio Celestini, infine Massimo Cacciari e Giovanni De Luna,
una bella schiera di intellettuali si sentono chiamati a prendere
posizione non solo su una delle lotte più lunghe, tenaci e partecipate
degli ultimi vent’anni in Italia, ma sul suo significato generale quanto
alle forme della politica, le prerogative di governanti e governati, le
priorità economiche o ambientali e il rapporto tra la legalità vigente e
queste priorità. Tutti sembrano comunque concordare sull’inutilità, o
quantomeno la scarsa razionalità economica di questa grande opera,
considerati i costi, gli effetti ambientali e l’ostilità popolare che la
circonda. È già qualcosa. La questione, per Vattimo, De Luca e ora Celestini
è il diritto ad opporsi, anche trasgredendo leggi e ordinanze, allo
sfruttamento di un territorio da parte di un intreccio di forti
interessi politici ed economici che pretendono di agire nel nome di un
discutibile «interesse generale». Nella sostanziale asimmetria di poteri
che caratterizza la nostra società e la capacità di disporre della
qualità delle nostre vite, è difficile dar loro torto.
De Luna,
intervistato da «La Repubblica», si limita a ribadire il confine
invalicabile tra violenza e non violenza, dimenticando, cosa che uno
storico non dovrebbe fare, che la violenza praticata dai o nei movimenti
è qualcosa che si produce e alimenta in un contesto relazionale in cui
il potere costituito fa la sua parte e non la scelta arbitraria e
onanistica di un singolo o di un gruppo. Come vorrebbero lasciar credere
quelli che dipingono la Val di Susa come una sorta di palestra per
casseurs. Né dovrebbe dimenticare, lo storico, che diverse forme di
sabotaggio fanno parte da sempre del repertorio dei movimenti pacifisti e
non-violenti. Certo, c’è un problema di gradazione e di consenso, ma è
un problema interno alla natura e allo sviluppo dei movimenti con tutti i
suoi paradossi e le sue asprezze.
Ma la questione delle questioni la prende di petto il professor Cacciari
che, a partire dall’esperienza della Val di Susa, ci rende edotti su
cosa sia o non sia la democrazia. La Torino-Lione fa piuttosto schifo,
dichiara alla «Repubblica», ma poiché è stata decisa secondo le
procedure formali previste, bisogna farla. La democrazia, perbacco, non è
una assemblea permanente! Che, nel fare questa affermazione, il
professore avesse in mente la tragica fine della Comune di Parigi? La
democrazia, invece, quella seria e duratura, sarebbe una sequenza di
procedure che ti permette di opporti fino a quando la decisione è presa.
Poi ci devi stare. Sparisce in questo discorso il fattore tempo, il
mutare dei cicli economici, delle sensibilità e dei rapporti sociali, il
progredire del sapere scientifico. E a nessun italiano si può andare a
raccontare che le riforme istituzionali, il rinnovo delle procedure e un
qualche ripristino della rappresentanza possano, non dico anticipare,
ma neanche seguire da presso questi mutamenti. Restano, però, scolpiti
nel marmo dei protocolli i poteri dominanti al tempo della decisione e
l’obbligo di tutti a rispettarne la volontà. Ahimé, bisogna rassegnarsi,
la democrazia è proprio un’assemblea permanente che si esercita però
nelle strade poiché non vi sono «sedi opportune» in cui esercitarla. O,
meglio ancora, una sequenza di conflitti che mira a render possibile ciò
che nella sequenza delle «procedure» non troverà mai spazio.
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