Il nuovo capitolo del Tav a Firenze ha
mostrato, ancora una volta, come il teatrino della politica fatto di
finte opposizioni, falsi problemi, trasformismi, personaggi grotteschi e
larghe intese, celi qualcos’altro. Adesso si ri-scopre che le larghe
intese, non sono solo in parlamento, ma anche fuori, ad un tavolo, per
spartirsi il bottino. Negli ambienti giudiziari le chiamano “larghe
intese degli affari” e sono proprio questo. Esponenti politici di destra
e di sinistra che, attraverso un meccanismo collaudato e capillare,
muovono affari milionari, favoriscono imprese amiche e rimuovo i tecnici
scomodi che intralciano i loro piani.
E’ proprio attraverso l’uso dei tecnici
di fiducia, autentiche marionette, che i politici implicati riescono nel
loro intento di sbloccare pratiche ingarbugliate come la questione
delle terre di scavo a Firenze. La principale indagata, Maria Rita Lorenzetti,
membro PD, ex-presidente della Regione Umbria ed ex-presidente di
Italferr, la società che si occupa di progettare, controllare e
realizzare gli appalti di FS, faceva uso da ben 4 anni di Walter Bellomo,
un geologo siciliano anch’esso del PD. Il cavalier servente Bellomo è
in un ruolo chiave, perché componente della commissione VIA (Valutazione
Impatto Ambientale) del Ministero dell’Ambiente, fondamentale per dare
il via libera a qualunque opera. In cambio di questo aiuto fondamentale,
Bellomo si era fatto garantire da alti esponenti del Pd (in questo
caso, Anna Finocchiaro) un posto nella giunta Crocetta.
Ma cosa otteneva la Lorenzetti in cambio? Pare che usasse come merce di
scambio le valutazioni “positive” di Bellomo, allo scopo di ottenere
favori per il marito da parte delle aziende che facevano richiesta del
“servizio” (in questo caso Coopsette e Nodavia). In pratica la
Lorenzetti sbloccava i lavori e le aziende amiche richiedevano
consulenze di migliaia di euro proprio a suo marito.
La “squadra” funziona così bene che riesce persino ad eliminare l’Arch. Fabio Zita,
il responsabile dell’ufficio VIA della Regione Toscana. Il dirigente
regionale si era opposto alla nuova valutazione delle terre di scavo che
da rifiuti (cioè elementi che vanno trattati, per il rischio ambientale
e per la sicurezze della salute umana, con costi aggiuntivi) passavano a
semplici sottoprodotti (cioè elementi che non hanno bisogno di alcun
trattamento e possono essere riutilizzati per altri processi
produttivi). Secondo il gip che segue le indagini, la rimozione di Zita
dal suo ufficio avvenne per le pressioni esercitate dalla Lorenzetti
sulla Regione Toscana. E’ quanto mai sospetto che l’ex-presidente di
Italferr, sapesse con un giorno di anticipo, rispetto alla sua
ufficializzazione, che Zita sarebbe stato rimosso. Al giornale La
Nazione, Zita, che per l’ecologissimo business dell’eolico a Pisa ha
ricevuto minacce di morte, ha dichiarato: “sono amareggiato ma non sorpreso di quanto mi è accaduto”. “Da 30 anni a ora la situazione è molto peggiorata. Ora non ho fiducia in questa politica, in questa pubblica amministrazione per come è organizzata e per chi ci sta intorno: ci sono interessi e appetiti troppo grandi, è lo specchio dei tempi”.
Le dichiarazioni di Zita, e i fatti lo
confermano, fanno pensare che questo è un sistema più che rodato, e che
ormai la valutazione VIA non sia più spendibile come un giudizio
oggettivo e sicuro per valutare qualsivoglia opera. Oltre alla Tav a
Firenze (ma ricordiamoci anche del disastro del Mugello), ci sono altre
opere che sono state sottoposte alla valutazione VIA. Tra queste c’è la centrale geotermica Bagnore 4 nel comune di Santa Fiora, contro la quale si sono organizzati numerosi gruppi locali.
Dopo questo ennesimo scandalo, appare in maniera sempre più evidente un aspetto di cui abbiamo parlato anche nei precedenti editoriali,
e cioè che la realizzazione di opere pubbliche e la gestione dello
spazio, urbano e non, non può prescindere da fenomeni di natura
speculativa e “vizi di forma” come la corruzione di tecnici e funzionari
per favorire imprese amiche. Questo proprio a causa della natura stessa
di questi processi decisionali e realizzativi, fatta di tempi
lunghissimi, ostacoli da superare, costi da ridurre e l’impossibilità,
da parte delle imprese, a smettere di costruire. Il fenomeno è
strutturale e accettato da tutti in modo bipartisan. Dopo l’ennesimo
caso giudiziario, l’immagine del PD vergine e moralmente superiore alla
sua (finta) controparte di destra, crolla definitivamente. Persino il
presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, è rimasto coinvolto nella vicenda del nodo Tav fiorentino e inchiodato alle sue responsabilità dal Comitato No Tunnel Tav.
Le caratteristiche di
questo vero e proprio “sistema” per ingrassare i profitti dei soliti
noti (come ha mostrato anche Ivan Cicconi), sono sostanzialmente le
stesse, a Firenze, in Val di Susa, come nel resto d’Italia.
Un motivo in più per
unire le lotte, per respingere unitariamente questo “modello”: utile a
loro, dannoso per chi vive nel mondo reale e prende il treno senza
“snack dolci o salati”, ma in carri bestiame stracolmi; un motivo più
che valido, perchè stiamo parlando non solo della gestione dello spazio,
ma anche di quella del tempo delle nostre vite. E non c’è ideologia del
“progresso” che tenga: i fatti dimostrano che non siamo di fronte ad
alcun tipo di progresso per la mobilità collettiva, né, tanto meno,
rispetto al lavoro che “non c’è” e che il Tav “creerebbe in qualche
anno”, i numeri sono impietosi, basta aprire gli occhi. E ultimo, ma non
superfluo punto da respingere, specie dopo questa vicenda made in
Tuscany, è quello della retorica delle “mele marce”: abbiamo mostrato,
le immagini, i servizi, i dati dimostrano che non siamo di fronte ad
eccezioni, ma ad una prassi del capitalismo italiano. Inadeguato per
rivoluzionarsi e diventare “moderno”, con o senza il Tav, più che
appropriato per mantenere la sua società in regime di putrescenza. A voi
scegliere da che parte stare.
Da che parte stare? Da quella dove non si fanno prigionieri!
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