Per la prima volta dopo 34 anni il presidente iraniano e il presidente
statunitense hanno avuto un colloquio telefonico. Tutti i media del
mondo ne hanno dato notizia data l'eccezionalità dell'evento. C'è chi ha parlato di nuovo corso per il Medio Oriente e chi, come Israele, guarda con timore a questo riavvicinamento temendo
che sia solamente un escamotage iraniano per prendere tempo e mantenere
la propria influenza sull'area nonostante le difficoltà dovute alla
guerra in Siria.
Il cambiamento di atteggiamento della presidenza iraniana rispetto al
nemico di sempre è evidente, ma è molto difficile dire ora se le
intenzioni di Hassan Rohani siano sincere o meno. Nonostante ciò, questo
accenno di apertura potrebbe avere conseguenze significative a
prescindere del reale miglioramento dei rapporti tra Iran e Usa.
L'Iran, infatti, è il principale sostenitore, politico ed economico del governo Assad in Siria e degli Hezbollah libanesi. Un riposizionamento dei persiani significherebbe, dunque, un mutamento radicale degli equilibri di potere nell'area.
In questo senso la volontà della dirigenza iraniana di farsi mediatrice
nella questione siriana dimostra un'apertura senza precedenti nei
confronti delle potenze occidentali. Questo non significa, però, un
cambio di rotta radicale rispetto al passato, ma una revisione delle
metodologie di politica estera del Paese. Rohani, infatti, è sostenuto nei suoi progetti dalla Guida Suprema iraniana, l'Ayatollah Ali Hosseini Khamenei. Lo stesso uomo che sosteneva l'intransigente presidenza di Mahmud Ahmadinejad e che, per primo, ha parlato di "flessibilità eroica" o di "flessibilità rivoluzionaria".
Non un segnale di debolezza, quindi, ma l'espressione di una politica
estera improntata al bilanciamento tra hard power e soft power, tra
competizione e collaborazione nell'ottica del raggiungimento degli
obiettivi voluti.
In questo contesto la dichiarazione di impegno per la messa al bando
delle armi chimiche in tutto il Medio Oriente, se da un lato va incontro
alle richieste occidentali di ridimensionamento del potere siriano e
sembra costituire una presa di distanze del governo iraniano da quello
siriano, dall'altra pone al centro della discussione il possesso di armi chimiche e nucleari di Israele e
pone un freno immediato alle volontà belliche internazionali.
Oltretutto un riavvicinamento tra Iran e Stati Uniti penalizza in primo
luogo il principale referente statunitense nell'area: l'Arabia Saudita.
Principale contendente all'egemonia iraniana sul Golfo Persico e primo
sostenitore, economico e militare, dei ribelli siriani, il regno saudita
rischia di venir escluso da un eventuale tavolo diplomatico sul destino
della Siria.
La nuova politica di Rohani sembra, dunque, porre le premesse per una "soluzione politica" della questione siriana che potrebbe salvaguardare
la dirigenza Assad nel periodo post-bellico e garantire un ruolo di
primo piano all'Iran nel bilanciamento delle forze dell'area.
D'altra parte, però, la mancanza dell'alleato forte potrebbe portare a
un ridimensionamento della capacità di intervento del governo siriano
nella lotta contro le opposizione armate interne e a un indebolimento di
Hezbollah.
Questi ultimi hanno, infatti, investito molto in Siria. Nonostante
dissidi interni alla stessa dirigenza del movimento sciita libanese
sulla partecipazione alla guerra oltre confine, molti sono stati i
militanti che hanno ingrossato le file dell'esercito ufficiale siriano
nell'opera di contrasto alle milizie ribelli. Gli effetti di questo
coinvolgimento si sono prodotti anche in terra libanese con attentati ai
danni degli sciiti e instabilità interna crescente.
Una situazione di tensione tale che il presidente libanese Michel
Suleiman, a fine settembre, ha esortato il ritiro totale del movimento
dal terreno siriano nell'interesse del Libano e di Hezbollah stesso.
Pochi giorni dopo, a seguito dei colloqui tra Obama e Rohani, pur
assicurando che i rapporti tra Iran e Stati Uniti non sono la causa
della decisione, i rappresentanti del movimento hanno annunciato
l'intenzione di ritirarsi definitivamente dal territorio siriano per
alleviare le ripercussioni della crisi siriana in terra libanese.
Il bilanciamento delle forze è, dunque, in forte mutamento. Il
cambiamento di atteggiamento iraniano potrebbe aver indotto le forze
libanesi a pensare a un ritorno al lavoro in patria. Senza gli ingenti
finanziamenti provenienti dal governo persiano, il movimento potrebbe
non riuscire a tenere due terreni di intervento e solo un arretramento
strategico immediato potrebbe consentire a Hezbollah di mantenere il
controllo nel sud del Libano e una presenza forte all'interno del
governo libanese.
Prevedere a oggi come muteranno i rapporti tra Iran e Stati Uniti e
quanto questo inciderà sulla soluzione della crisi siriana non è
possibile, ma è evidente che, in questo caso, l'intenzione dell'azione
ha già prodotto delle conseguenze in sé che potrebbero supplire alla
mancanza di una reale azione.
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