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06/10/2013

Iran, Siria, Hezbollah: un rapporto in divenire

Per la prima volta dopo 34 anni il presidente iraniano e il presidente statunitense hanno avuto un colloquio telefonico. Tutti i media del mondo ne hanno dato notizia data l'eccezionalità dell'evento. C'è chi ha parlato di nuovo corso per il Medio Oriente e chi, come Israele, guarda con timore a questo riavvicinamento temendo che sia solamente un escamotage iraniano per prendere tempo e mantenere la propria influenza sull'area nonostante le difficoltà dovute alla guerra in Siria.

Il cambiamento di atteggiamento della presidenza iraniana rispetto al nemico di sempre è evidente, ma è molto difficile dire ora se le intenzioni di Hassan Rohani siano sincere o meno. Nonostante ciò, questo accenno di apertura potrebbe avere conseguenze significative a prescindere del reale miglioramento dei rapporti tra Iran e Usa.

L'Iran, infatti, è il principale sostenitore, politico ed economico del governo Assad in Siria e degli Hezbollah libanesi. Un riposizionamento dei persiani significherebbe, dunque, un mutamento radicale degli equilibri di potere nell'area. In questo senso la volontà della dirigenza iraniana di farsi mediatrice nella questione siriana dimostra un'apertura senza precedenti nei confronti delle potenze occidentali. Questo non significa, però, un cambio di rotta radicale rispetto al passato, ma una revisione delle metodologie di politica estera del Paese. Rohani, infatti, è sostenuto nei suoi progetti dalla Guida Suprema iraniana, l'Ayatollah Ali Hosseini Khamenei. Lo stesso uomo che sosteneva l'intransigente presidenza di Mahmud Ahmadinejad e che, per primo, ha parlato di "flessibilità eroica" o di "flessibilità rivoluzionaria". Non un segnale di debolezza, quindi, ma l'espressione di una politica estera improntata al bilanciamento tra hard power e soft power, tra competizione e collaborazione nell'ottica del raggiungimento degli obiettivi voluti.

In questo contesto la dichiarazione di impegno per la messa al bando delle armi chimiche in tutto il Medio Oriente, se da un lato va incontro alle richieste occidentali di ridimensionamento del potere siriano e sembra costituire una presa di distanze del governo iraniano da quello siriano, dall'altra pone al centro della discussione il possesso di armi chimiche e nucleari di Israele e pone un freno immediato alle volontà belliche internazionali. Oltretutto un riavvicinamento tra Iran e Stati Uniti penalizza in primo luogo il principale referente statunitense nell'area: l'Arabia Saudita. Principale contendente all'egemonia iraniana sul Golfo Persico e primo sostenitore, economico e militare, dei ribelli siriani, il regno saudita rischia di venir escluso da un eventuale tavolo diplomatico sul destino della Siria.

La nuova politica di Rohani sembra, dunque, porre le premesse per una "soluzione politica" della questione siriana che potrebbe salvaguardare la dirigenza Assad nel periodo post-bellico e garantire un ruolo di primo piano all'Iran nel bilanciamento delle forze dell'area. D'altra parte, però, la mancanza dell'alleato forte potrebbe portare a un ridimensionamento della capacità di intervento del governo siriano nella lotta contro le opposizione armate interne e a un indebolimento di Hezbollah.

Questi ultimi hanno, infatti, investito molto in Siria. Nonostante dissidi interni alla stessa dirigenza del movimento sciita libanese sulla partecipazione alla guerra oltre confine, molti sono stati i militanti che hanno ingrossato le file dell'esercito ufficiale siriano nell'opera di contrasto alle milizie ribelli. Gli effetti di questo coinvolgimento si sono prodotti anche in terra libanese con attentati ai danni degli sciiti e instabilità interna crescente.

Una situazione di tensione tale che il presidente libanese Michel Suleiman, a fine settembre, ha esortato il ritiro totale del movimento dal terreno siriano nell'interesse del Libano e di Hezbollah stesso. Pochi giorni dopo, a seguito dei colloqui tra Obama e Rohani, pur assicurando che i rapporti tra Iran e Stati Uniti non sono la causa della decisione, i rappresentanti del movimento hanno annunciato l'intenzione di ritirarsi definitivamente dal territorio siriano per alleviare le ripercussioni della crisi siriana in terra libanese.

Il bilanciamento delle forze è, dunque, in forte mutamento. Il cambiamento di atteggiamento iraniano potrebbe aver indotto le forze libanesi a pensare a un ritorno al lavoro in patria. Senza gli ingenti finanziamenti provenienti dal governo persiano, il movimento potrebbe non riuscire a tenere due terreni di intervento e solo un arretramento strategico immediato potrebbe consentire a Hezbollah di mantenere il controllo nel sud del Libano e una presenza forte all'interno del governo libanese.

Prevedere a oggi come muteranno i rapporti tra Iran e Stati Uniti e quanto questo inciderà sulla soluzione della crisi siriana non è possibile, ma è evidente che, in questo caso, l'intenzione dell'azione ha già prodotto delle conseguenze in sé che potrebbero supplire alla mancanza di una reale azione.

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