AGGIORNAMENTO ORE 17: Ha parlato di "progressi" nel negoziato il
segretario di Stato Usa, John Kerry, al termine dell'incontro con il
primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, per tentare di far
ripartire la trattativa tra israeliani e palestinesi. Durante la
conferenza stampa congiunta, il premier israeliano, Benjamin Netanyahu,
ha detto che lo Sato ebraico è pronto a un accordo di pace basato sulla
soluzione due popoli-due Stati, ma ha aggiunto che "ogni accordo deve
prevedere per Israele la possibilità di difendersi da solo". Il futuro
Stato palestinese, invece, dovrebbe essere demilitarizzato, secondo
Netanyahu che ha escluso il dispiegamento di forze di sicurezza
neutrali, cioè israeliane e palestinesi. La sicurezza di Israele è stata
al centro dell'incontro, con Kerry che ha voluto rassicurare l'alleato
sul dossier Iran, ribadendo che Washington non consentirà a Teheran di
costruire armi nucleari che minaccino lo Stato ebraico. È previsto un
incontro anche con il presidente dell'Autorità nazionale palestinese
(Anp), Mahmoud Abbas.
AGGIORNAMENTO ore 13.50: "La sicurezza di Israele è in cima alla
nostra agenda", ha detto il segretario di Stato Usa, John Kerry, in
visita a Gerusalemme per tentare di dare nuova linfa al negoziato tra
israeliani e palestinesi.
Ma è il dossier Iran a dominare la visita di Kerry che ha voluto
rassicurare l'alleato, irritato dall'accordo sul programma nucleare
iraniano raggiunto lo scorso 24 novembre, ribadendo che nel
negoziato con Teheran la sicurezza dello Stato ebraico è stato uno dei
temi principali e che Washington farà "ogni cosa in suo potere per
fermare i progetti atomici militari dell'Iran".
"Ci consulteremo continuamente con i nostri amici israeliani per
raggiungere un accordo che passi l'esame di tutti", ha detto Kerry. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu aveva definito l'intesa con l'Iran un "errore storico",
chiarendo che Tel Aviv non rinuncia a un'azione armata unilaterale
contro la Repubblica islamica, qualora fosse necessario.
Roma, 5 dicembre, Nena News - Iran e processo di pace. Di questo parlano oggi John Kerry e il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, nel corso dell'ottava visita da febbraio nella regione del segretario di Stato Usa che incontrerà anche il presidente dell'Autorità nazionale palestinese (Anp), Mahmoud Abbas.
Kerry è in Israele per tentare di dare nuova linfa al negoziato tra
israeliani e palestinesi ripreso lo scorso luglio, dopo tre anni di
stallo, ma mai realmente ripartito e per molti destinato all'ennesimo
naufragio. Tel Aviv non ha mai smesso di progettare nuovi
insediamenti sui territori che dovrebbero essere parte della futura
Palestina e anche ieri, alla vigilia della visita di Kerry, le ruspe
israeliane sono entrate in azione nel villaggio di Mazraa al-Qibliya,
50 chilometri da Gerusalemme. Qui è prevista la costruzione di 255
nuove unità abitative per coloni, parte di un progetto più ampio (800
nuove unità abitative ) annunciato lo scorso ottobre dal governo.
Il negoziato è stato disseminato di annunci di nuovi insediamenti nella
Cisgiordania occupata, che hanno reso arduo il compito di Kerry e hanno
fatto infuriare i palestinesi. Israele ha fatto marcia indietro su un
progetto di 20.000 case nelle colonie dei Territori occupati, che aveva
provocato le dimissioni, non ancora accettate da Abbas, dei delegati
palestinesi, ma la politica degli insediamenti non si è mai fermata. Il
presidente dell'Anp ha avvertito: se la trattativa fallisce, i palestinesi si rivolgeranno agli organismi internazionali per vedere riconosciuti i propri diritti. "L'impegno a non rivolgerci all'Onu termina alla fine dei nove mesi stabiliti per il negoziato", ha detto ieri.
Ma la pace con i palestinesi in questo momento non sembra in cima
alle preoccupazioni di Netanyahu, né è l'argomento che tiene banco in
Israele, dove l'attenzione è concentrata sull'Iran: il nemico che
per anni si è profuso in dichiarazioni minacciose contro lo Stato
ebraico e a cui bisogna impedire di costruire la bomba atomica. Kerry
dovrà rassicurare l'alleato sul riavvicinamento tra Washington e
Teheran, dopo l'elezione alla presidenza dell'Iran del moderato Hassan
Rouhani, uomo dai toni decisamente più pacati rispetto al suo
predecessore Mahmud Ahmadinejad. Un clima più disteso ha portato alla
firma, lo scorso 24 novembre, di un primo accordo sul programma nucleare iraniano
raggiunto a Ginevra tra i Paesi membri permanenti del Consiglio di
sicurezza dell'Onu (Usa, Gran Bretagna, Russia, Cina, Francia), più la
Germania (P5+1), e la Repubblica islamica: alleggerimento delle sanzioni in cambio di uno stop all'arricchimento dell'uranio.
Un'intesa giudicata uno "storico errore" dal premier israeliano,
mentre il ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, ha suggerito al suo
governo di cercare nuovi alleati. Non sono bastate le rassicurazioni di
Washington a placare l'irritazione di Tel Aviv che si è riservata i
diritto di agire, anche militarmente, se si riterrà minacciata
dall'Iran, o meglio dalla possibilità che Teheran si doti della bomba
atomica. Israele è l'unica potenza nucleare nella regione
mediorientale.
Dall'entourage di Kerry hanno riferito che il segretario di Stato
discuterà con il premier israeliano dei prossimi passi per raggiungere
un accordo definitivo sul nucleare iraniano, che al momento ha un
carattere temporaneo. Per quanto riguarda il negoziato con i
palestinesi, invece, Kerry si gioca la carta della sicurezza per
riaprire la trattativa. Il quotidiano israeliano Haaretz, ha riferito che Kerry presenterà un piano per la sicurezza di Israele dopo la nascita dello Stato di Palestina,
che garantirebbe la presenza di truppe israeliane lungo tutto il fiume
Giordano e nei punti di transito per il fiume e il controllo aereo dello
spazio aereo sulla Cisgiordania.
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