Le bombe s’impossessano dell’esplosiva situazione politica egiziana e gli attentati si susseguono a ritmo quasi quotidiano in vari centri urbani. Giovedì mattina paura e sangue si sono riaffacciati al Cairo, nella zona di Nasr City già carica di tensioni da un anno a questa parte: da lì prese il via la protesta contro il deposto presidente Mursi. Un autobus di linea è stato investito da una deflagrazione che ha ferito cinque persone, una di esse ha perso la vita. Testimoni sostenevano che lo scoppio fosse avvenuto all’interno della vettura, si è invece stabilito che la rudimentale bomba costruita con polvere da sparo e schegge di marmo si trovava in un’aiuola a ridosso della fermata del bus. Un successivo sopralluogo poliziesco ha rinvenuto altri tre ordigni simili inesplosi. Niente a che vedere con l’impatto devastante creato dall’attentato di martedì 24 a Mansoura che ha investito un’ampia area (le vittime sono salite a sedici e i feriti a centocinquanta). Quest’attacco al quartier generale della polizia, che ha perso otto suoi agenti, è stato avocato a sé dal gruppo jihadista Ansar Beit Al-Maqadis attivo da mesi nell’area del Sinai.
Attentati veri, attentatori dubbi – Stabilire la paternità di simili atti, rivendicazioni a parte, è un fattore che s’ingarbuglia nell’intrigo della politica nazionale fortemente sostenuto dal ferreo patto fra Fronte di Salvezza Nazionale e lobby militare. La mano degli attentati può essere effettivamente jihadista o mossa dall’Intelligence locale e internazionale. Per non parlare delle infiltrazioni che, comunque, non sono a senso unico visto che alla maniera talebana lo stesso esercito di Al-Sisi può essere usato dagli oppositori. La storia del fallito attentato al ministro dell’Interno Mohammed Ibrahim, confessato in un video-propaganda dall’autore del gesto, l’ex maggiore Walid Badr, può risultare sintomatica di un fenomeno in corso: il reclutamento al jihad di militari o l’inserimento nelle file del nemico di propri adepti. Situazione in cui cadde vittima proprio il presidente Sadat nel lontano 1981. In verità si potrebbe diffidare della medesima rivelazione di Badr, visto che il ministro è scampato alla spettacolare esplosione del 5 settembre scorso e che, come qualsiasi azione paramilitare, essa può portare acqua al mulino della stretta repressiva del governo delle Forze Armate.
Pogrom di Stato contro gli odiati Fratelli – Quest’ultimo col marchio terroristico apposto dal vicepremier Hossam Heissa alla Fratellanza Musulmana la riconduce al buio periodo seguito all’attentato a Sadat, dal quale pur non praticando alcun jihad la Confraternita ereditò prigionie, torture e uccisioni per volontà di Mubarak. Il marchio terroristico apposto alla Brotherhood puzza di piano preconfezionato o di prassi comunque espiatoria nei confronti dell’ingombrante movimento dell’Islam politico, unico a subire le purghe governative (i salafiti non sono attaccati in questo modo). Così poco prima che scoppiassero le bombe nel Delta del Nilo El-Beblawi pensava d’incarcerare anche il suo predecessore Qandil, ultimo esponente dell’establishment rimasto in libertà. Anche lui finisce in galera, come migliaia di oppositori musulmani che da due giorni, in 450, hanno iniziato uno sciopero della fame per protestare contro l’ennesimo arresto illecito, e per sottolineare le oscure trame della via del terrore che ormai s’impossessa della vita quotidiana.
Scioperi della fame - Scende in sciopero della fame anche una triade illustre della Primavera tradita: Ahmed Maher, Mohammed Adel, Ahmed Doume del movimento “6 Aprile”. Tutti condannati a tre anni di detenzione e reclusi dallo scorso novembre per essersi uniti, coi propri seguaci, a sit-in e cortei dell’Alleanza per la Legalità. Schieramento che dal golpe bianco di luglio e dai massacri di metà agosto conduce a rischio delle personali libertà e incolumità la protesta delle “quattro dita” contro militari e politici considerati impostori. Però quest’ultimi godono d’un ampio appoggio fra la popolazione. Non solo coloro che vivono in rapporto alla filiera economica nutrita dalla lobby delle stellette, ma da quella parte dell’Egitto votato a far fuori con ogni mezzo la presenza dell’Islam moderato. Una prosecuzione dello scontro in atto ormai da un anno e mezzo che assume contorni sempre più esasperati e sanguinosi. Da cui non si escludono schieramenti a parole votati alla democrazia: Partito socialdemocratico, Wafd, Partito degli Egiziani liberi, stretti al Fronte di Salvezza Nazionale nel decretare la cancellazione politica, sociale, organizzativa e ideale dei Fratelli.
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