23/12/2013
Turchia. Monta la rabbia contro Erdogan, scontri a Istanbul e Nusaybin
Il movimento popolare contro il governo Erdogan e il suo liberal-islamismo autoritario è tornato ieri a occupare le piazze turche dopo una relativa pausa. E lo ha fatto sull’onda della maxi inchiesta che – pur essendo riconducibile allo scontro di potere interno allo stesso Akp – ha messo a nudo esattamente quell’intreccio perverso tra politica, criminalità e speculazione che il movimento a difesa del Gezi Park di Istanbul aveva denunciato alla fine di maggio, investito da una repressione selvaggia che ha lasciato sul terreno numerosi morti e feriti ed ha riempito le carceri già stipate di dissidenti politici, militanti dei gruppi armati curdi ma anche sindaci, parlamentari, giornalisti, intellettuali, ragazzini.
Anche ieri le forze di sicurezza agli ordini del governo non hanno mancato di far sentire la propria asfissiante presenza. A farne le spese anche le decine di migliaia di persone radunatesi sulla sponda asiatica di Kadikoy, bastione della Istanbul laica e progressista, dove ieri sono arrivati in tantissimi per partecipare ad un appuntamento – all’insegna dello slogan ‘Istanbul è nostra’ - convocato da parecchie settimane, da ben prima che finissero in manette esponenti politici, imprenditori e banchieri accusati di corruzione.
Non sono mancati a Kadikoy canti e slogan contro la cementificazione delle aree verdi interessate dai progetti di gentrificazione di Erdogan e dei suoi più stretti collaboratori, così come le feroci critiche al terzo aeroporto e al terzo ponte di Istanbul, oppure all’autostrada che il governo vuole far passare all’interno del campus dell’Università Tecnica del Medio Oriente di Ankara. Tutti progetti faraonici per lo più inutili e costosissimi oltre che dannosi il cui scopo è ingrassare le lobby che sostengono l’ascesa del premier alle prese ora anche con una fronda interna alla sua stessa maggioranza. La piazza – dove abbondavano anche migliaia di attivisti dei partiti di sinistra e delle organizzazioni sociali protagoniste della rivolta estiva – ha chiesto a gran voce le dimissioni del governo, la punizione dei responsabili della feroce repressione contro le proteste dei mesi scorsi e lo stop a tutte le ‘grandi opere’ che stanno cambiando in peggio la qualità della vita in una città che sta rapidamente raggiungendo i 20 milioni di abitanti.
Contro la festante ma determinata protesta la polizia è intervenuta pesantemente con una pioggia di lacrimogeni e con i consueti getti d’acqua a pressione sparati dagli idranti montati sui Toma e sugli Scorpioni che da mesi intervengono ogni volta che lavoratori, donne, attivisti curdi o della sinistra turca tentano di manifestare nel centro della metropoli sul Bosforo. Ma alcuni dei settori della piazza erano pronti a resistere alla prevedibile repressione e quando sono cominciati gli attacchi dei reparti antisommossa i dimostranti hanno eretto barricate in più parti del centro asiatico della città, e gli scontri sono durati per molte ore, fino a notte.
Mentre migliaia di turchi scendevano in piazza in altre città del paese, nelle regioni del sud al confine con la Siria la giornata è stata caratterizzata da una forte protesta contro il muro che il governo dell’Akp sta facendo erigere sulla frontiera. In particolare nella città curda di Nusaybin, a pochi passi dal confine, a migliaia hanno assaltato la barriera che divide gli abitanti dai loro vicini di Qamishli (città curda in territorio siriano). Mentre alcuni parlamentari del Partito della Pace e della Democrazia intervenivano dal palco, migliaia di persone si sono diretti in corteo verso ‘il muro della vergogna’ ed hanno cominciato a colpirlo con picconi, bastoni e pietre, scatenando la reazione dei reparti antisommossa.
Oltre a rafforzare la repressione contro le dimostrazioni popolari Erdogan sta continuando la sistematica opera di rimozione dai loro incarichi di alcuni dei responsabili dell’inchiesta, coordinata dalle procure di Istanbul e Ankara, che ha portato all’arresto di decine di esponenti politici – tra cui i figli di tre ministri – di banchieri, imprenditori e funzionari legati al suo entourage. Ieri il premier ha rimosso i capi di ben 25 dipartimenti di Stato, portando cosi' il totale a circa una settantina in appena quattro giorni. Tra coloro che sono stati espulsi dal corpo, destituiti o trasferiti ad altro incarico spiccano i nomi del generale Huseyin Capkin, comandante della polizia ad Istanbul, e di Ertan Ercikti, responsabile dell'ordine pubblico nel municipio centrale di Fatih, distretto europeo della citta' sul Bosforo il cui sindaco, Mustafa Demir, è finito in manette nei giorni scorsi ed è stato rimesso in libertà dopo un lungo interrogatorio.
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