di Michele Paris
Anche se gli
Stati Uniti stanno cercando in queste settimane di far partire un
faticoso processo diplomatico che porti ad una soluzione pacifica della
crisi in Siria, non più di tre mesi fa l’amministrazione Obama sembrava
essere sul punto di scatenare una nuova e ancora più rovinosa guerra in
Medio Oriente basandosi su menzogne e manipolazioni della realtà sul
campo.
Come è noto, il governo di Washington aveva accusato apertamente il
regime di Bashar al-Assad di avere condotto un devastante attacco con
armi chimiche nei pressi di Damasco pur sapendo, come ha dimostrato una
recente indagine dell’autorevole giornalista americano Seymour Hersh,
che le prove disponibili potevano indicare responsabili ben diversi.
Un
lungo e dettagliato articolo (“Whose sarin ?”) del veterano giornalista
premio Pulitzer che attualmente collabora soprattutto con il New Yorker è apparso qualche giorno fa sulla London Review of Books,
sostenendo che il presidente Obama, nel descrivere l’episodio accaduto
il 21 agosto a Ghouta, “aveva da un lato omesso importanti informazioni
di intelligence e dall’altro presentato semplici congetture come fatti
accertati”.
In particolare, Obama “aveva mancato di riconoscere…
che l’esercito regolare siriano non era l’unica parte in lotta nella
guerra civile ad avere accesso al gas sarin”. Infatti, continua Hersh,
nei mesi precedenti l’attacco “le agenzie di intelligence americane
avevano prodotto una serie di rapporti altamente classificati, culminati
in un “Operations Order” - cioè un documento che pianifica e precede
un’invasione di terra - contenente prove che il Fronte al-Nusra, un
gruppo jihadista affiliato ad Al-Qaeda [e attivo tra le forze di
opposizione in Siria], aveva acquisito le capacità di fabbricare sarin
in grande quantità”.
Nonostante questo gruppo armato che si batte
per rovesciare il regime di Assad avrebbe quanto meno dovuto essere
preso in considerazione per avere condotto l’attacco, l’inquilino della
Casa Bianca decise al contrario di basarsi unicamente e deliberatamente
sul materiale di intelligence che avrebbe permesso di giustificare
un’aggressione militare contro Damasco.
In un discorso pubblico
tenuto il 10 settembre scorso, Obama ha così raccontato al mondo come
Assad aveva senza dubbio portato a termine un attacco con armi chimiche
facendo “più di mille vittime”, descrivendo le operazioni nel dettaglio,
come la distribuzione di maschere anti-gas alle truppe del regime prima
che i suoi uomini colpissero i quartieri controllati dall’opposizione.
Attraverso
una serie di interviste con anonimi membri dell’intelligence e
dell’apparato militare degli Stati Uniti, Hersh afferma però di avere
riscontrato “forti preoccupazioni” e talvolta “rabbia” per quella che
viene descritta come una “deliberata manipolazione” delle informazioni a
disposizione del governo.
Secondo un ex agente dell’intelligence a stelle e strisce, ad
esempio, l’amministrazione Obama avrebbe “alterato le informazioni - in
relazione ai tempi e alla sequenza degli eventi - per consentire al
presidente e ai suoi consiglieri di fare in modo che i dati raccolti
svariati giorni dopo l’attacco apparissero ottenuti e analizzati in
tempo reale”, così da dare l’impressione di avere monitorato le
decisioni prese dal regime e di disporre di prove inconfutabili della
sua responsabilità.
In
realtà, Hersh ha potuto stabilire che tra il 20 e il 22 di agosto i
consueti rapporti mattutini preparati per la Casa Bianca dai militari e
dall’intelligence degli USA, nei quali vengono riassunti i principali
eventi militari nel mondo per i quali si dispone di informazioni, non
citavano in nessun modo l’attacco di Ghouta.
Inoltre, come reso noto da un articolo di qualche mese fa del Washington Post
basato su documenti segreti forniti da Edward Snowden, gli Stati Uniti
disponevano di sensori segreti sul terreno in Siria per monitorare e
segnalare tempestivamente ogni movimento di armamenti chimici in questo
paese.
Ebbene, nelle settimane e nei giorni precedenti il 21
agosto, questo sistema di sensori non aveva prodotto alcuna allerta.
Hersh spiega che ciò non escluderebbe, almeno in teoria, che le forze
armate siriane abbiano potuto ottenere il sarin usato a Ghouta da altre
fonti, ma dimostra in ogni caso come il governo americano non sia stato
in grado di monitorare gli eventi secondo la ricostruzione fatta da
Obama e dal suo entourage.
Tanto più che nel dicembre del 2012
questi sensori avevano fatto il loro lavoro, informando Washington che i
militari siriani stavano producendo sarin in un deposito di armi
chimiche. Successivamente sarebbe emerso che si trattava soltanto di
un’esercitazione, ma gli Stati Uniti mandarono comunque un messaggio al
regime per mezzo di canali diplomatici, avvertendo che l’uso del sarin
sarebbe stato “del tutto inaccettabile”. Perciò, è più che legittimo
chiedersi il motivo per cui l’amministrazione Obama non si era mossa
anche lo scorso agosto per impedire il presunto attacco con armi
chimiche da parte delle forze regolari nel caso fosse stata a conoscenza
anticipatamente dell’operazione.
In ogni caso, alla Casa Bianca
servirono nove giorni per mettere assieme un atto d’accusa formale
contro Assad ed esso venne presentato a Washington di fronte ad un
gruppo di giornalisti selezionati, da cui fu escluso, ricorda Hersh, il
reporter Jonathan Landay dell’agenzia di stampa McClatchy perché frequentemente critico nei confronti dell’amministrazione Obama.
Il
rapporto presentato in questa occasione era significativamente
attribuito al “governo” e non alla “comunità di intelligence”, dal
momento che risultava essere un documento “essenzialmente politico” per
supportare le accuse contro Assad. In esso si sosteneva appunto che gli
USA sapevano che la Siria stava preparando armi chimiche tre giorni
prima dell’attacco del 21 agosto, anche se, come si è visto, nessuno
alla Casa Bianca sembrava essere stato informato in tempo reale né gli
strumenti di monitoraggio avevano segnalato situazioni
meritevoli di attenzione.
I leader del cosiddetto Libero Esercito
Siriano, dopo avere appreso che gli USA stavano monitorando i movimenti
delle armi chimiche nel paese, si sarebbero in seguito lamentati con
gli americani, colpevoli di non avere fatto nulla per avvertire i
ribelli dell’imminente attacco o per fermare i piani del regime.
Le
accuse rivolte da Obama ad Assad si basavano dunque su informazioni e
intercettazioni acquisite in Siria anche molti mesi prima dell’attacco e
analizzate solo nei giorni successivi al 21 agosto. In altre parole,
spiega Hersh, “la valutazione fatta dalla Casa Bianca e il discorso di
Obama [del 10 settembre] non riguardavano eventi specifici che hanno
condotto all’attacco del 21 agosto, ma erano il resoconto della sequenza
di comportamenti che l’esercito siriano avrebbe seguito in caso di una
qualsiasi operazione con armi chimiche”.
Le accuse contro Damasco non erano basate cioè sulla disponibilità e
l’esame di informazioni relative ai fatti di Ghouta ma su una sorta di
manuale di comportamento in dotazione all’esercito di Assad in caso di
utilizzo di armi chimiche, nonché su frammenti di intelligence risalenti
anche a più di otto mesi prima.
La
ricostruzione fatta dal governo USA ha poi escluso scrupolosamente
qualsiasi informazione che poteva contraddire la propria versione. In
particolare, come già era accaduto per alcuni attacchi su piccola scala
con armi chimiche segnalati tra marzo e aprile, l’amministrazione Obama
ha ignorato dei rapporti della CIA risalenti almeno al mese di maggio
nei quali si affermava come il Fronte al-Nusra e un altro gruppo
fondamentalista sunnita attivo in Siria - al-Qaeda in Iraq - disponevano
dei mezzi tecnici per produrre armi equipaggiate con il gas sarin. Il
Fronte al-Nusra, inoltre, nella tarda primavera stava operando proprio
in alcuni sobborghi di Damasco, tra cui Ghouta.
Un documento di
intelligence dell’estate, inoltre, era dedicato a Ziyaad Tariq Ahmed,
descritto come un esperto di armi chimiche iracheno trasferitosi in
Siria e anch’egli in attività a Ghouta al servizio del Fronte al-Nusra.
Tariq Ahmed era un ex membro dell’esercito iracheno, implicato proprio
nella produzione di Sarin e per questo finito nel mirino degli Stati
Uniti.
Nelle settimane successive all’attacco di Ghouta,
l’amministrazione Obama mise comunque in atto un’offensiva pubblica per
convincere sia i cittadini americani che i membri del Congresso -
chiamati dal presidente stesso ad autorizzare un intervento militare in
Siria - delle responsabilità di Assad. In ogni audizione, i membri del
governo si erano impegnati ad assicurare come solo il regime avesse la
disponibilità del sarin, escludendo invece i rapporti di intelligence
che avevano mostrato l’accesso a questo gas letale da parte delle
formazioni jihadiste anti-Assad.
Il desiderio mostrato
dall’amministrazione Obama di attaccare la Siria senza alcuna prova
concreta della colpevolezza del regime aveva provocato parecchi malumori
all’interno dell’apparato militare e dell’intelligence a stelle e
strisce, tanto che un consigliere per le operazioni speciali degli Stati
Uniti ha confidato a Hersh che intervenire militarmente sarebbe stato
in sostanza come “fornire supporto aereo al Fronte al-Nusra”.
Queste
divisioni all’interno del governo hanno alla fine contribuito - assieme
alla profonda avversione dell’opinione pubblica mondiale per una nuova
guerra illegale - a far naufragare i piani bellici e a costringere gli
USA ad accettare la proposta russa di smantellare l’arsenale chimico di
Assad, approvata infine dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
lo scorso 27 settembre.
Nonostante la serietà dell’analisi e
l’autorevolezza di Seymour Hersh - Premio Pulitzer nel 1970 per avere
rivelato il massacro di My Lai in Vietnam e i tentativi di occultare le
responsabilità USA - la sua indagine sulla London Review of Books è stata ignorata dalla gran parte dei giornali negli Stati Uniti, tra cui i “liberal” New York Times e Washington Post,
impegnati tra agosto e settembre a produrre editoriali che spingevano
l’amministrazione Obama a dar seguito alle proprie minacce contro Assad.
Proprio al Washington Post, così come al New Yorker
per cui scrive regolarmente, Hersh aveva proposto di pubblicare il suo
pezzo sui fatti di Ghouta ma entrambi hanno preferito declinare. Secondo
quanto riportato dall’Huffington Post, il materiale di Hersh sarebbe
stato valutato dal direttore del Washington Post, Marty Baron, e bocciato perché “le fonti dell’articolo non corrispondevano agli standard” del giornale della capitale.
Un
giornale che, va ricordato, senza alcuna seria indagine o verifica dei
fatti, era stato in prima linea nell’appoggiare la tesi della Casa
Bianca e a promuovere un’altra guerra imperialista in Medio Oriente
dalle conseguenze potenzialmente catastrofiche per l’intero pianeta.
Fonte
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