Nonostante le accuse di complotto ‘interno’ ed ‘esterno’ contro il governo e la grandezza della Turchia rivolte nei giorni scorsi nei confronti di non meglio precisati burattinai, la maxi inchiesta scattata il 17 dicembre contro l’entourage del premier che ha portato all’incriminazione di alcune decine tra esponenti politici, imprenditori, banchieri e funzionari comincia a produrre le prime serie ripercussioni sul governo di Recep Tayyip Erdogan.
L’opposizione, la grande stampa e negli ultimi giorni anche la piazza hanno chiesto le dimissioni del governo, a cominciare dai ministri coinvolti direttamente nell’inchiesta che ha messo a nudo le relazioni clientelari tra il partito di governo liberal-islamista Akp e la speculazione edilizia. E sono state proprio le teste di tre ministri chiave dell’esecutivo Erdogan quelle che sono saltate per prime.
Anche su pressione del presidente della Repubblica Abdullah Gul, considerato vicino a Fethullah Gulen, capo della potente confraternita religiosa Hizmet e da alcuni mesi feroce competitore del premier all’interno del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo.
A lasciare per primi sono stati i ministri dell'Economia e quello dell'Interno, Zafer Caglayan e Muammer Guler. I rispettivi figli, infatti, sono stati arrestati con l’accusa di corruzione e riciclaggio, insieme a quello del titolare del dicastero della Pianificazione Urbana e dell'Ambiente, Erdogan Bayraktar, che ha fatto sapere di aver rinunciato poche ore dopo i colleghi, affermando che "sarebbe il caso che si dimettesse anche Erdogan". "Lascio il mio posto da ministro dell'Economia perché possa essere fatta piena luce su questa ignobile operazione che coinvolge il nostro governo", ha dichiarato invece Caglayan in un breve e laconico comunicato ufficiale.
Non è tutto, perché proprio oggi un'altra tegola è caduta su un premier già in fortissima difficoltà. Oggi Idris Naim Şahin, tra i fondatori dell'Akp ed ex ministro degli Interni, e attualmente deputato, ha deciso di abbandonare il partito.
A tre mesi dalle elezioni amministrative di primavera la "mani pulite" turca mette seriamente a rischio la continuità dell’esecutivo e il potere personale di Erdogan. Il blitz ordinato dalle procure di Istanbul e Ankara ha coinvolto anche il sindaco del distretto di Fatih a Istanbul, Mustafa Demir (Akp), gli imprenditori Ali Agaoglu e Ruiza Sarraf e il direttore generale della banca pubblica Halkbank Suleyman Aslan.
Nonostante abbia accusato il colpo, il premier non ha esitato a scatenare una vera e propria rappresaglia contro giudici e magistrati, cercando di eliminare coloro che gli stanno dando filo da torcere. Se nei giorni scorsi ha decapitato i cinque più importanti dipartimenti della polizia di Istanbul, compresi quelli che stanno indagando sul suo entourage, è notizia di queste ore che il primo ministro ha ordinato la rimozione dal loro incarico di circa 400 ufficiali di polizia solo nella metropoli sul Bosforo. Domenica scorsa il governo di Ankara ha ordinato misure simili contro 15 dirigenti della Polizia della città costiera di Antalya e contro due della capitale, portando finora il numero di agenti e ufficiali trasferiti a 500.
Sembrano lontani anni luce i tempi in cui - ma era solo giugno - il primo ministro incitava le forze dell'ordine ad agire senza ripensamenti contro le folle che scendevano in piazza contro la repressione e il modello economico-politico autoritario dell'Akp elogiando la determinazione e la 'professionalità' dei poliziotti.
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