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19/12/2013

Gioventù precaria in Portogallo


Uno squarcio di Portogallo, raccontato dalle voci di alcuni giovani precari e lavoratori nel settore della conoscenza.

Carmine, giovane ricercatore di relazioni internazionali

Dopo aver vissuto al Nord e al Sud del Portogallo per lavoro, che impressione hai della società portoghese? E quanto ha influito il passato sul presente della società?

La società portoghese, per ragioni storiche legate alla proprietà, ha sempre dimostrato caratteristiche differenti nelle variegate realtà regionali. Tolte le uniche due aree che si possono definire metropolitane – quelle di Porto e Lisbona – al nord ha prevalso la piccola proprietà, permettendo da un lato la formazione di una piccola borghesia agraria e garantendo dall’altro, soprattutto negli anni della dittatura, un radicale controllo delle forze conservatrici, e del clero. Nel nord è infatti molto debole, ancora oggi, il radicamento del partito comunista, a differenza del sud, dove il prevalere del latifondo, fino alla rivoluzione del 1974, ha anche favorito una coscienza di classe contadina e forme di resistenza. È chiaro che oggi, dopo quaranta anni di democrazia e quasi trenta di politiche europee, c’è stata un’uniformizzazione e un’omologazione sul piano sociale, che ha permesso l’integrazione al consumo di grosse fette di società. Ma l’attuale crisi e le conseguenti politiche di austerità stanno facendo fare giganteschi passi indietro al Portogallo, tanto da esser diventato uno dei paesi più diseguali d’Europa in campo socio-economico. Si riaffermano vecchie élites mentre si allarga la porzione di poveri e precari tra la popolazione. 

Cosa puoi dire invece dei lavoratori coinvolti nel campo accademico?

Il Portogallo è sostanzialmente un paese di élites, e dunque questa gerarchia sociale si ripropone anche in ambito accademico, anche se in una prospettiva diversa da quella del tradizionale “baronato” cui siamo stati abituati in Italia. C’è anche da dire che il biennio rivoluzionario del ‘74-‘76 ha condotto a una sostanziale democratizzazione dell’ambiente universitario, e nelle relazioni sociali che contraddistinguono il rapporto docente/discente. A differenza dell’università italiana, dove tanti baroni di oggi erano accessi sessantottini di ieri, gran parte di chi qui ha affrontato la dittatura sul piano accademico per poi intraprendere l’insegnamento universitario ha mantenuto una concezione aperta e orizzontale del proprio ruolo e del potere che ne deriva. Io posso solo testimoniare di rapporti sostanzialmente alla pari con chi segue il mio lavoro di ricerca. Poi gli episodi di vassallaggio esistono anche qui, ma questo dipende dal ruolo del potere, non dal paese. Quello che veramente manca nell’università portoghese è la mobilitazione studentesca. È tutto molto ovattato, c’è una crisi pazzesca ma non si assiste a una risposta all’altezza.


Filomena. Laureanda

Come descriveresti le gerarchie universitarie?

Beh. Diciamo che ogni studente ha ben chiaro in Portogallo ciò che può fare da ciò che non gli spetta. La gerarchia baronale esiste, come esiste in tutto il mondo, e influisce in modo più o meno insistente a seconda ovviamente delle situazioni e delle generazioni. Per quello che è lo stereotipo potrei dire che i poteri baronali (molto spesso nobiliari più che baronali in Portogallo) sono più evidenti nelle facoltà umanistiche rispetto a quelle scientifiche, forse anche solo per il semplice fatto che il tipo di relazione che si instaura si basa sulla capacità dialettica delle singole persone, più che sulla razionalità empirica scientifica. Non posso affermarlo con sicurezza perché la mobilità media di uno studente portoghese è sempre più bassa in questo periodo, ma credo che il potere nobiliare, come dicevo, sia qualcosa di tipico di questo Paese. Dal momento che il nobiliato qui esiste ancora, e rappresenta una casta di potere economico oltre che politico, molto spesso il potere del baronato si sposa e si abbraccia con quello del nobiliato. Inoltre, esiste nell’università portoghese una tradizione di retaggio apparentemente un po’ fascista, che è quello della Paixa, una specie di Goliardia che però è istituzionalizzata nella società e nel mondo accademico, e che di certo interagisce con tutte le logiche gerarchiche, di favoritismo e baronali dell’Università. La Paixa è una tradizione che pochi contestano, ma di fatto consiste nell’esaltazione del corporativismo tramite la formazione di gruppi di matricole, capitanati dai laureandi di primo livello, che giocano a fare la guerra gli uni contro gli altri, marciando sotto la pioggia, urlando qualsiasi cosa, eseguendo gli ordini dei “caporali del terzo anno”. Questa tradizione ha avuto le sue ondate di successo, e oggi sta ritornando ad essere qualcosa di molto popolare. Non so dire quanto influenzi l’appartenenza o meno a questi gruppi nella vita reale, ma di fatto, nel mondo universitario, delinea la differenza tra chi vi appartiene, e chi no.


Giulia. Giovane disoccupata. Ricercatrice di linguistica.

Cosa ti ha portato in Portogallo? Cosa ti ha fatto rimanere?

Ho deciso di trasferirmi qui innanzitutto perché avevo già conosciuto il Portogallo e ne ero rimasta affascinata. E questo spessissimo è il motivo principale per cui tanti italiani scelgono questo paese come meta di migrazione. Dopo il dottorato, ho passato diversi mesi alla ricerca di lavoro come insegnante d’italiano per stranieri, come traduttrice e come insegnante (ripetizioni), ma senza grandi risultati. Il 2012 in Portogallo, da questo punto di vista, non è molto diverso dall’Italia. Una volta, presa dallo sconforto, ho pure mandato il mio cv per un’offerta di lavoro in un call-center, ma non ho avuto risposta. Quindi non posso dire di aver “lavorato” al 100%, ma solo sporadicamente (come interprete in matrimoni omosessuali italo-portoghesi, come insegnante privata d’italiano; come tutto fare in un piccolo B&B). Succede a molti giovani credo, sia qui che altrove, di essere pluri-laureati e inviare CV ai call-center. L’idea che mi sono fatta, dopo quasi tre anni, è che non è molto facile trovare certi tipi di lavoro all’interno del mondo accademico. Un po’ come in Italia del resto. Ma conosco tantissimi italiani che lavorano nei call-center e che riescono a vivere più che dignitosamente qui: infatti, essere stranieri e lavorare in un call-center non significa prendere 300 euro al mese (se ti va bene) come succede ai portoghesi che svolgono la stessa mansione. Lavorare per call-center stranieri, da stranieri, paradossalmente, è più redditizio che fare lo stesso lavoro in casa propria.

Come si sta trasformando l’università in Portogallo?

In Portogallo c’è una fondazione, la FCT (Fundação da Ciência e da Tecnologia), che finanzia la ricerca, amministrando fondi che provengono dall’UE. Questo è il principale organismo di sostegno alla ricerca scientifica, di tutti i settori. Ci sono poi altre fonti di finanziamento, di carattere privato, che ricevevano aiuti statali fino a poco tempo fa: i primi tagli hanno colpito loro, che quindi difficilmente possono fare da “spalla” alla FCT. La FCT quindi sta diventando sempre di più l’unica fonte di sostegno alla ricerca, e so che per esempio già quest’anno ha potuto finanziare pochissimi progetti in ambito umanistico. Gli stessi dottorandi si sono visti togliere o ridurre considerevolmente certi benefici da un anno all’altro, ad esempio il finanziamento per soggiorni di studio all’estero. Tre anni fa, invece, la FCT aveva deciso di non permettere l’accesso ai dottorati a studenti stranieri che non avessero concluso gli studi in Portogallo, per cui molti vincitori di concorso si videro togliere la borsa. Misure di questo tipo fanno capire, secondo me, lo stato di “disperazione” delle condizioni in cui versa la ricerca: non solo tagli molto pesanti, ma scelte (guidate dalla mancanza di soldi) che vanno completamente contro i principi base della scienza, l’apertura verso l’esterno e lo scambio di conoscenze tra ambienti diversi.


Attila. Ex insegnante e precario all’università. Fisico.

Come sta cambiando il sistema d’istruzione Nazionale?

In Portogallo ci sono molte università, la maggior parte aggiuntesi alle 4 principali, dopo la caduta di Salazar e l’indipendenza delle colonie. Molti docenti, costretti a tornare in patria dalle colonie, hanno reso possibile (o necessario) l’istituzione di nuove strutture universitarie che sono nate in città secondarie del Paese.

Questo ha reso possibile l’accesso all’istruzione superiore e universitaria ad una gran fetta del paese, prima totalmente impossibilitata a farlo. In generale, fino a qualche anno fa, l’Università godeva di solidi finanziamenti pubblici e nonostante la struttura gerarchica comunque mantenuta, le risorse per la ricerca e l’innovazione erano fruibili.

Oggi, ciò che sta cambiando, come in molti Paesi dell’Unione Europea, è che la diminuzione degli investimenti nella scuola pubblica, e nella ricerca sta portando ad un aumento esponenziale dei costi dell’istruzione, e con esso l’accesso ad essa. Già dalle scuole superiori, si sta cercando di differenziare la società sul modello statunitense e svedese. I finanziamenti alle scuole private e l’istituzione di scuole secondarie “professionalizzanti” sono un chiaro segno di come questa società nel futuro diventerà. I test europei che vengono somministrati agli studenti per osservare l’andamento generale dell’istruzione nel Paese, mostrano negli ultimi anni, un lento peggioramento della qualità dell’insegnamento e della preparazione degli studenti. Questo, ovviamente non può che essere legato all’organizzazione delle risorse destinate all’istruzione.

D’altro canto, su un piano legato alla sicurezza nei locali, è ovvio che tutti gli standard si abbassano, e talvolta mancando di manutenzione, si può arrivare anche a condizioni totalmente inaccettabili per la salute dei lavoratori. Parlo per lo meno per quanto riguarda la maggior parte dei laboratori scientifici di mia conoscenza: ovviamente, come su ogni cosa, non basta costruire un edificio per ottenere il risultato. Senza un lavoro periodico e serio di manutenzione degli edifici e dei sistemi di tutela, si arriva prima o poi al collasso del sistema, e chi ne paga le spese, sono studenti e giovani ricercatori.


Joao. Giovane lavoratore.

Come sono le condizioni di lavoro nel paese?

In Portogallo c’è una precarizzazione molto accelerata delle figure professionali e comunque delle varie categorie lavorative. Uno degli strumenti famelici che hanno accelerato questa tendenza si chiama “recibo verde”: è una sorta di partita IVA che oggi prevale nei rapporti di lavoro. Una fattura che il lavoratore presenta al datore, dovendosi poi pagare per conto suo iva e previdenza sociale. Il “recibo verde” è stata la scusa con cui molte entità lavorative hanno sostituito rapporti di lavoro di forma contrattuale con rapporti di lavoro determinato, a progetto e dunque precario. Sulla sanità basta dire che è uno dei settori che, in tempo di crisi, ha subito i maggiori tagli. In molte zone dell’Alentejo, regione prettamente agricola che si estende a est e a sud di Lisbona mancano gli ospedali, concentrati solo nelle città principali; mentre i locali “centros de saude” non sono attrezzati a fronteggiare le emergenze più gravi. L’Alentejo è un territorio molto grande, con distanze che possono essere letali.

Con la crisi che avanza quali prospettive vedi nel futuro del Portogallo? Quanto influenzerà secondo te il passato e il presente del Paese nel suo futuro?

Siccome con la crisi ci hanno abituato a estremizzare, estremizzando posso dire che il Portogallo è un paese che sta scomparendo. Quello che è in atto è comunque un grande attacco allo Stato, alla sua funzionalità pubblica, alle sue ricchezze. Lo si vuole smembrare e offrire in pasto agli speculatori finanziari internazionali. Trasporti, sanità, energia, tutto viene messo all’asta e neppure al miglior offerente. Solo per fare un esempio,  cinque anni fa il governo ha nazionalizzato una banca in crisi (una banca molto vicina agli interessi del presidente della Repubblica, Aníbal Cavaco Silva), salvo poi rivenderla quest’anno, per quattro soldi, agli investitori angolani, i nuovi “ricchi” nel pianeta finanziario. Il tutto a svantaggio dei contribuenti portoghesi che hanno dovuto pagare il riscatto pubblico, e dei lavoratori, che dovranno affrontare una profonda ristrutturazione. Ma i casi che si potrebbero riferire sono tanti.

Purtroppo il Portogallo è ridivenuto terra d’emigrazione: un fenomeno che non colpisce solo i nativi, ma chiunque aveva creduto di poter trovare qui delle prospettive di lavoro e crescita.

* Dal Portogallo

Fonte

Capitale umano gettato nel cesso, allucinante a dir poco.

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