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16/12/2013

Confermato: anche per Letta con la cultura non si mangia


“Valore cultura” era stato presentato come la risposta del governo Letta a quell’ignobile «con la cultura non si mangia» tremontiano. Ma a ben guardare, anche con le larghe intese, al massimo ci si può permettere una mensa sociale, vivendo -chi può- a casa da mamma. È quanto si evince dal bando del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo per la selezione di cinquecento giovani laureati da formare nelle attività di catalogazione e digitalizzazione del patrimonio culturale italiano, come previsto appunto dal decreto “Valore cultura”.

Ebbene questi 500 giovani dovranno essere bravissimi, laureati col massimo dei voti e con un livello d’inglese certificato come B2 (ai limiti dell’eccellenza), ma saranno compensati per un anno con uno stipendio lordo di 417€ al mese, corrispondenti, qualcuno si è preso la frustrazione di calcolarlo, a circa 3€ l’ora, ovviamente senza alcun contributo previdenziale. Nell’Italia di oggi sarà forte per tanti la tentazione di pensare che «meglio di niente» e aggrapparsi alla speranza e tener duro rimandando la vita. Ma è necessario anche leggere nel sottotesto di questi bandi.

E il sottotesto è che questi 25-30enni, al massimo delle loro energie e colmi di speranza che qualcosa si sblocchi e possano infine essere assorbiti nel mondo del lavoro formale, dovranno necessariamente essere «di buona famiglia», ovvero in grado di farsi mantenere da qualcuno. Sono in pratica dei bandi classisti, che selezionano per censo offrendo -a parità di titoli- un’opportunità solo a chi può permetterselo. Non sfugge infatti che il ministero potrebbe tranquillamente fare un concorso e assorbire una parte di questi e poi formarli come dovuto nell’ambito del tuo percorso lavorativo. Del resto con 35 ore alla settimana per un anno, c’è così tanto tempo per formarsi che è forte il dubbio che tale tempo possa essere riempito col lavoro semischiavo tipico degli stage. Ebbene sì, oggi i figli della media e piccola borghesia sono liberi di farsi schiavizzare a tre euro l’ora ma almeno possono continuare a baloccarsi nell’illusione di lavorare nel mondo della cultura.

Da tempo il business della formazione post-laurea, master, dottorati senza borsa, corsi di formazione in grado di dare punticini in graduatoria senza i quali si resta irrimediabilmente indietro, sposta lontano nel tempo e in alto per censo il completamento di un percorso formativo che la riforma del 3+2 doveva racchiudere in sé. Così le lauree, pur se col massimo dei voti, non bastano più e per chi non può stare ad uno spietato gioco ad eliminazione dove conta non la bravura ma la resistenza che solo una famiglia alle spalle può darti, diventano inutili. Citius, altius, fortius, ma alla linea del traguardo non c’è la gloria olimpica ma solo -forse- uno straccio di lavoro.

Fonte

Manco a farlo apposta, se ne parlava ieri passeggiando per le vie del centro con Osso di questa gioventù che a fronte di un bagaglio culturale notevole si butta via per 4 spicci in "lavori" che non tributano nemmeno un briciolo di dignità a chi si presta ad eseguirli.
La domanda è: perché 40 anni fa un giovane di vent'anni imbracciava il mitra di fronte a vergogne del genere mentre ora c'è magari gente che ne fa un vanto di finire in simili tritacarne perché "io almeno lavoro nella cultura"?

Anche a sto giro manca un sociologo, ma di quelli bravi, senza paraocchi.

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