Dalla Cirenaica a Nassiriya le proiezioni italiane all’estero sono state sempre accompagnate dalla litania degli italiani “brava gente”. La scoperta di un archivio dei Carabinieri Reali – Ufficio speciale (una sorta di Ros attuale) di stanza a Rodi durante la dominazione italiana dell’arcipelago del Dodecaneso, rimasto segreto fino ad oggi, porta l’ennesimo colpo a questa retorica del “colonialismo buono”. Un controllo capillare e oppressivo, un abitante su quattro schedato; erano queste le basi del consenso e le forme di civiltà che la “grande proletaria”, evocata da Pascoli, dispensava nelle sue colonie.
Lo storico Marco Clementi, che ha contribuito a riportare alla luce queste carte segrete, ci racconta quel che ha potuto leggere fino ad ora.
Marco Clementi
L’Huffington Post 8 dicembre 2013
Rodi, Gruppo Carabinieri Reali – Ufficio Centrale Speciale. Dietro
questa sigla si nascose per più di dieci anni, dal 1932 fino alla fine
della seconda guerra mondiale, l’ufficio politico italiano di pubblica
sicurezza, che riuscì a mettere sotto controllo praticamente l’intero Dodecaneso.
Su una popolazione di 130.000 abitanti furono raccolti circa 90.000
dossier, conservati oggi in un archivio unico e per il momento non
accessibile agli studiosi, ma che si spera in un paio d’anni potrà
fornire materiale in grado di aiutare a rileggere la presenza italiana
nel Dodecaneso (1912-1947) e offrire nuovi spunti per la comprensione
del fascismo.
Eirini Toliou, la direttrice del locale Archivio di Stato che ha
acquisito i fascicoli, sostiene che fu Mussolini a volere questo stretto
controllo. Probabilmente, nonostante un governo non disprezzabile,
l’Italia non era stata in grado di ottenere la piena fiducia dei
dodecanesini. Il luogo, inoltre, meta turistica di prestigio, si
prestava allo spionaggio di stranieri residenti o di passaggio,
provenienti dal Levante o dall’Europa, alleati o possibili nemici.
Scheda del nominato: così era chiamata la cartella contenente cognome
e nome della persona controllata, paternità e maternità, data e luogo
di nascita e residenza. In basso il numero di pratica, ossia il dossier,
con l’indicazione dell’anno in cui era stato creato. Da quel momento,
tutte le successive informazioni venivano allegate nella cartella
originale. Persone normali si è detto, come Nichitas Zavolas, nato a
Pigadia il 15 marzo 1897, o Teorodo Costantinidi fu Costantino, medico
condotto, sul quale il 17 febbraio 1939 i carabinieri scrivono: “In
passato fu un fervente irredentista ed era tenuto in molta
considerazione dalla popolazione per l’opera che svolgeva a favore
dell’unione di queste Isole alla Grecia”. Da diversi anni però (siamo
nel 1939) “si disinteressa di politica ed affianca le autorità italiane
dando a vedere di essere un leale collaboratore […]. Non è di razza
ebraica”.
Cambiano i tempi. Siamo dopo la promulgazione delle leggi razziali in Italia. A Rodi è governatore Cesare Maria de Vecchi
conte di Val Cismon, uno dei quadrumviri della marcia su Roma. Moderato
verso gli ebrei, mantiene il Collegio rabbinico ma deve comunque
gestire il formale controllo razziale. Ai cittadini viene fornito un
questionario dove specificare, cancellando con un tratto di penna le
indicazioni che non interessano, se si appartiene alla razza ebraica
(padre o madre), se si è iscritti alla comunità israelitica o se ne
professi la religione.
Gli ebrei e gli irredentisti sono tenuti sotto controllo. Si capisce.
Ma anche gli amici, come il maggiore della polizia tedesca Rodolfo
Kaufmann, numero di protocollo 1229 categoria 2=10=15=1938, o il
presidente della compagnia di bandiera “Ala Littoria”, Umberto Klinger,
l’onorevole Klinger, che partecipò all’impresa di Fiume e durante la
seconda guerra mondiale diresse il 114º Gruppo Autonomo di
Bombardamento, protocollo 4950 categoria 2.11.1698-1937. Con lui, i
passeggeri dei voli per Rodi, tutti regolarmente segnalati.
Poi i nemici, certo, come Kermeth Arthur Noel Anderson,
maggiore comandante le truppe inglesi in Palestina, protocollo 6880
categ. 2.10.41=1933, o il deputato “irakiano” Yassin Taymore
(167:1.1-102:1939) e la certissima “agente servizio informazioni
cecoslovacco” Margaret Kis, agganciata nel 1936.
Scoppia la guerra e il Tribunale speciale per la difesa dello Stato,
la cui giurisdizione non era stata estesa alle Isole Egee, diventa a
Rodi il “Tribunale speciale per la difesa del Possedimento”, e condanna
all’ergastolo Giorgio Chirmicali per aver “portato armi contro lo Stato
italiano”. Prigioniero a Taranto, non può neanche ricevere un pacco dal
padre Elias. Sono i Carabinieri dell’Ufficio Centrale Speciale a
sconsigliarlo il 29 gennaio 1943, considerando il detenuto “non
meritevole di alcuna agevolazione” a causa della gravità del crimine
commesso.
L’epoca è complessa. Migliaia di ebrei fuggono dall’Europa, ma
milioni restano. Alcuni vanno in Francia, altri negli Stati Uniti.
Quelli cosiddetti “revisionisti”, convinti che la terra promessa sia la
Palestina, si imbarcano come possono diretti verso Haifa. Le navi
inglesi bloccano le rotte, affondano navi e carrette del mare entrano
nelle acque del Dodecaneso, fanno naufragio. Il Possedimento accoglie i
naufraghi. Alcuni ripartono subito, ma altri restano più a lungo, in
improvvisati campi profughi. E sono messi sotto controllo. Nel frattempo
l’Italia ha occupato la Grecia. I carabinieri collaborano con l’ufficio
informazioni del Comando superiore delle Forze Armate dell’Egeo, si
passano notizie e dati. Rosa Spiegel, di Bratislava, così come Eugene
Reimann, non riceveranno mai alcune lettere inviate dalla loro città
natale. Interviene la censura militare, blocca la corrispondenza,
traduce e gira ai carabinieri, che aprono nuovi fascicoli. Sono decisi,
fermi, ma alla fine trattano bene i profughi. Che nel 1942 vengono
trasferiti in Italia, a Ferramonti, in Calabria, e il 16 settembre 1943
saranno i primi ebrei europei ad essere liberati dagli Alleati.
Qualche settimana fa lavoravo al “Titolario”, il vecchio indice
dell’archivio amministrativo che fecero gli italiani nel 1942. Tra le
tante voci, mi restava come sospesa la classe G del titolo IV:
“tipografia, macchine tipografiche, gestione”. Una classe per la
tipografia? Che senso ha, quando cose apparentemente più importanti come
la costruzione di acquedotti o caserme sono una sottoclasse? Solo
osservando le “schede del nominato”, ho capito l’importanza e la
necessità di una voce separata dalle altre spese. La tipografia stampava
le schede, a Rodi, in segreto. Gestire il potere, allora, osservare
senza essere visti, significava avere anche il controllo totale di
quelle macchine.
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