La decisione della Cassazione di annullare senza rinvio il maxisequestro da 8,1 miliardi di euro
e restituire il tesoro ai Riva non ha solo risvolti giudiziari o
mediatici: ridisegna soprattutto scenari sempre più incerti sul futuro
del risanamento dell’Ilva di Taranto. Il commissario straordinario Enrico Bondi lo sa bene: è principalmente la sua figura che rischia di essere stata indebolita dalla decisione di ieri.
Secondo indiscrezioni, quando nei giorni scorsi insieme al subcommissario Edo Ronchi,
Bondi si è recato a trovare il pool di inquirenti della procura ionica
per consegnare la relazione trimestrale sull’avanzamento dei lavori di ammodernamento dell’Ilva,
nella sua visione del prossimo futuro le probabilità di un dissequestro
erano pressoché pari a zero. Adesso, però, dovrà fare i conti con un
tesoro di beni (principalmente immobili, ben pochi i liquidi trovati
dagli investigatori ionici) tornato in tasca ai Riva. Una serie di garanzie da offrire alle banche
praticamente sfumate. Non solo. L’ipotesi che i Riva possano rifiutare
di mettere i soldi a sua disposizione per il risanamento, ma che
decidano di impugnare dinanzi alla corte costituzionale anche l’ultimo
decreto “salva Ilva”, non è affatto una possibilità remota. Anzi. I
legali degli industriali sarebbero infatti già al lavoro per
neutralizzare gli effetti del provvedimento varato il 3 dicembre scorso
che permetterebbe a Bondi di mettere le mani sui soldi della proprietà
e, in caso di rifiuto, su quelli già sequestrati dalla procura di
Milano. Del resto perché i Riva dovrebbero permettere un prelievo
forzoso di qualche miliardo prima che qualunque processo sia definito
con una condanna irrevocabile?
E allora se la
stima dei lavori per gli adeguamenti all’Autorizzazione integrata
ambientale e all’ampliamento del piano anche alle discariche, alla
sicurezza e all’innovazione tecnologica e impiantistica, si aggira sui
tre miliardi di euro, come farà Bondi a reperirli e sistemare la
situazione nei tre anni concessi dal Governo?
Facendo
due conti, in effetti, il risultato non è incoraggiante. L’unica
certezza nelle mani del commissario, escludendo il tesoro restituito
ieri a Riva e i quasi due miliardi di euro bloccati dalla procura di
Milano sui quali la famiglia lombarda promette battaglia, resta solo
l’utile dell’Ilva. Ma tra impianti fermi per il risanamento
e la crisi del mercato, l’Ilva commissariata è ben lontana dagli anni
in cui riusciva (tirando il collo agli impianti a danno dei tarantini) a
raggiungere le vette dorate degli 800 milioni di euro. Lo stesso Bondi
nella sua relazione trimestrale ha sottolineato un calo della produzione
di circa due milioni di tonnellate d’acciaio. E allora? Bondi potrebbe
sempre rivolgersi alle banche, ma la sua permanenza al vertice dell’Ilva
è di 36 mesi poi l’azienda dovrà tornare nelle mani della famiglia e
allora perché le banche dovrebbero concedere ingenti crediti che i Riva
potrebbero decidere di non accollarsi? Chi onorerebbe quel debito? Certo
non lo Stato visto che l’Europa lo considererebbe un aiuto all’azienda.
Un quadro particolarmente complicato, quindi, nel quale il commissario
dovrà essere capace di districarsi in tempi abbastanza rapidi dato che
la presentazione del piano industriale è oramai imminente. In
alternativa ci sarebbero le dimissioni. E il disastro finanziario insieme a quello ambientale.
Fonte
Eccoli qui i risultati di un sistema che nella propria legislazione prevede solo ed esclusivamente la tutela degli interessi capitalistici, il resto vada tranquillamente a ramengo, come in effetti si sta verificando.
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